Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6479 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6479 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Griggi Gianmario, n. a Premosello Chiovenda (VB), il 6/10/1960,

avverso la sentenza del 29/10/2015 della Corte di Appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Orsi, che ha
concluso per l’inammissibilità;
udito per l’imputato

RITENUTO IN FATTO

1

Data Udienza: 13/11/2015

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di
Verbania in data 11/03/2008 con cui il ricorrente era stato riconosciuto colpevole del delitto di cui
agli artt. 216, comma 1 n. 1, 219 r.d. 267/42 — perché, quale titolare dell’omonima impresa
individuale, dichiarata fallita con sentenza del 25/05/2006, distraeva dalla cassa contanti
dell’impresa la somma di euro 40.391,77 e quindi la somma di euro 681.929,70, prelievi privi di
riscontro nella contabilità per somme non utilizzate per scopi attinenti all’oggetto sociale; con
l’aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità; in Verbania il

2.Con ricorso depositato il 10/03/2015, il difensore del ricorrente, Avv.to Alberto Zanetta, ricorre
per:
2.1.Violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 lett. b) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 2
c.p., 150 d.lgs. 5/2006, 111 Cost., essendo pacifico che, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 5/2006, il
ricorrente non avrebbe più potuto essere dichiarato fallito, in quanto piccolo imprenditore ed in
quanto la procedura non avrebbe più potuto essere avviata d’ufficio; la nuova normativa era entrata
in vigore subito dopo la declaratoria di fallimento, per cui essa avrebbe dovuto essere applicata
anche al caso di specie, ex art. 2 c.p., nonostante la disposizione di cui all’art. 150 del d.lgs. 5/2006,
norma che non rende ultrattivo lo status di imprenditore fallibile, in quanto norma procedurale;
inoltre la nuova disciplina non ha comportato l’abrogazione di una norma penale, limitandosi alla
ridefinizione della qualifica di soggetto attivo
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 lett. b) ed e), c.p.p. in relazione agli artt.
216 e 217 r.d. 267/42, atteso che il ricorrente aveva fornito ampia giustificazione circa l’impiego
delle somme, il che avrebbe dovuto determinare la qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 217 r.d.
267/42.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 lett. b) ed e), c.p.p. in relazione all’art. 62
bis, c.p., essendo stata fornita una motivazione del tutto apparente circa la mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

26/05/2006.

Il ricorso va dichiarato inammissibile.
1.In relazione alla questione sollevata con il primo motivo di ricorso occorre ricordare che le
Sezioni Unite, con sentenza n. 19601 del 28/02/2008, Rv. 239398, hanno affermato che il giudice
penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo
1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto
oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni

1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano
influenza ai sensi dell’art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso. Detto indirizzo è stato poi
confermato anche in seguito (Sezione V, sentenza n. 19889 del 24/10/2013, Rv. 259837) e va
integralmente condiviso.
2. Quanto alla seconda doglianza, va ricordato come la Corte territoriale, dopo aver precisato che la
difesa non avesse dedotto la presenza di condizioni soggettive od oggettive ostative alla declaratoria
di fallimento, che avrebbero dovuto essere fatte valere con i rimedi previsti in sede civile, ha
rilevato che i prelievi effettuati dal ricorrente dalla cassa aziendale — pari ad euro 40.391,77 in una
occasione ed euro 681.929,70 in altra occasione — non solo non erano stati contestati dal ricorrente
stesso, ma erano stati imputati ad esigenze familiari; la Corte ha altresì osservato che, seppure il
ricorrente avesse dato contezza del fatto che quanto speso per sé e per la famiglia avesse
determinato il deficit dell’attività imprenditoriale, e che, nel caso di specie, si versava nell’ipotesi
tipica dell’impresa individuale, in cui, essendo il patrimonio dell’imprenditore posto a garanzia dei
crediti d’impresa, anche le scelte private dello stesso debbano essere compatibili con gli interessi
della sua impresa e dei relativi creditori, la fattispecie di cui all’art. 217 r.d. 267/1942 non poteva
comunque trovare applicazione, in quanto i prelievi in questione, seppure non sproporzionati, non
apparivano credibili, essendo la somma di euro 40.391,77 frutto di un unico esborso per dichiarate
esigenze familiari e non frutto di una somma di differenti esborsi, e la somma di euro 681.929,70
palesemente esorbitante per pretesi lavori di ristrutturazione dell’abitazione dei genitori.
Detta motivazione appare coerente ed immune da censure, in quanto in linea con le risultanze
processuali, ed ogni diversa valutazione implicherebbe un giudizio di merito favorevole ad una
interpretazione alternativa del compendi oprobatorio, come tale inammissibile in sede di giudizio di
legittimità. Va infatti ricordato che esula dal controllo della Cassazione la rilettura degli elementi di
fatto posti a base della decisione, per cui la mera prospettazione di una diversa, più favorevole,
valutazione delle emergenze processuali, non costituisce vizio comportante controllo di legittimità,
3

previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del

giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di
legittimità solo la verifica dell’iter argomentativo di detto giudice, al fine di accertare se questi
abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la
decisione ( Sezione V, sentenza n. 7569 del 21/04/1999, Rv. 213638; Sezione VI, sentenza n. 1354
del 14/04/1998, Rv. 210658).

concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza per il comportamento
disinvolto tenuto dal ricorrente nella giustificazione delle somme; ne deriva che quindi è stata
fornita una motivazione basata su precise risultanze istruttorie la cui valutazione insindacabile in
sede di giudizio di legittimità.
Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,0 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 13/11/2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

3. Quanto al terzo motivo di ricorso, va ricordato che la sentenza ha giustificato la mancata

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