Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 647 del 06/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 647 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALADINI GIANFRANCO N. IL 05/10/1949
avverso la sentenza n. 483/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
09/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
breQ, Leche ha concluso per 31,’
N,£-C-k5\.A.9

I z_ ax)

Udito, per la p’drte civile, l’Avv
Uditi dfensor Avv.

Data Udienza: 06/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1.Gianfranco PALADINI, quali amministratore unico della ‘The Great House’ srl,
dichiarata fallita il 12-2-2002, era ritenuto responsabile, con sentenza della Corte
d’Appello di Lecce del 9-11-2012 (che confermava sul punto quella del Tribunale della
stessa sede in data 10-12-2010), del reato di bancarotta fraudolenta documentale e
patrimoniale per aver tenuto i libri e le scritture contabili in modo da non rendere

esposizione non analitica nel libro degli inventari delle giacenze di merci al termine di
ogni esercizio, sicché risultava incomprensibile la destinazione delle ‘rimanenze di
merce’, riportate in contabilità per un valore di oltre 284mila euro, mentre il curatore
aveva inventariato capi di abbigliamento, per lo più senza etichetta, soltanto per un
valore di 7300 euro circa) e per aver distratto la somma di € 24.191.992 ricavata dalla
vendita di capi di abbigliamento (reato, quest’ultimo, non oggetto di ricorso né di
appello). La pena era ridotta da anni tre di reclusione ad anni due e mesi sei, per effetto
della riduzione per attenuanti generiche da tre a due anni ed aumento di mesi sei per la
continuazione tra i due reati.
2.L’imputato ha proposto ricorso a firma del difensore deducendo violazione di legge e
vizio di motivazione. Osserva da un lato che il perito nominato dal Gip, per quanto
avesse ritenuto l’irregolare ed incompleta tenuta del registro degli inventari, aveva
tuttavia accertato che le merci erano state iscritte al prezzo di acquisto (metodo
L.I.F.O., ‘ultimo entrato primo uscito’ ai sensi dell’art. 2426 n.10 cod. civ.) con
esplicazione dettagliata nella nota integrativa allegata al bilancio ex art. 2217 cod. civ.,
dall’altro che l’indicazione analitica dei beni presenti in magazzino è imposta dall’art. 15
d.P.R. 600/1973 ai soli fini fiscali, indicazione che sarebbe stata effettuata, grazie alle
distinte degli elenchi dei beni di ciascun gruppo, al momento della presentazione delle
dichiarazioni fiscali, mentre il fallimento era intervenuto prima della scadenza del
relativo termine di presentazione. Non vi era stata quindi né manipolazione delle
scritture, né una volontà in tal senso, neppure in forma di dolo generico. Un profilo di
contraddittorietà era ravvisato poi laddove la corte territoriale aveva ritenuto le
scritture contabili redatte in modo non corretto ma aveva fondato su di esse il
convincimento della distrazione o sostituzione della merce. Sotto quest’ultimo profilo il
ricorrente lamentava che la differenza tra il valore del magazzino e quello delle merci
rinvenute fosse stata ritenuta trascurando a) che quello attribuito alle stesse in sede
fallimentare è un prezzo approssimativo di realizzo in sede di esecuzione, b) che
l’assenza di etichette era dovuta, come riferito dal CT di parte, ad un accordo con i
fornitori per la sostituzione alle etichette originali di quelle della società poi fallita, c)
che poco prima della dichiarazione di fallimento i depositi della società si erano allagati
con conseguente danneggiamento delle merci ivi custodite.

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possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (in particolare per

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va disatteso.
2.

Le doglianze ruotano intorno alla reiterata prospettazione della questione dei criteri di
corretta tenuta del libro degli inventari, già affrontata e motivatamente risolta dai
giudici di merito le cui argomentazioni si integrano reciprocamente.
Così la circostanza che le merci fossero state iscritte al prezzo di acquisto (cioè con il
metodo L.I.F.O., ‘ultimo entrato primo uscito’ ai sensi dell’art. 2426 n.10 cod. civ.), con
un criterio di valutazione peraltro dettato per la redazione del conto economico, non
elide, come osservato dal tribunale, la necessità di adeguamento della tenuta delle
scritture ai principi generali in materia i quali impongono che esse costituiscano la
fotografia dello stato dell’impresa, sì da consentirne la piena visibilità in ossequio alla
trasparenza dell’operato imprenditoriale.

4.

Del resto, come pure correttamente rilevato nella sentenza di primo grado, sono le
norme sul bilancio -che rappresenta, insieme con il conto dei profitti e delle perdite, il
momento di chiusura dell’inventario (art. 2217, comma secondo, cod. civ.)-, a scolpire
il criterio generale della ‘chiarezza’ così che il bilancio stesso rappresenti in modo
veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato
economico dell’esercizio (art. 2423 cod. civ.), mentre l’art. 2423 bis cod. civ. stabilisce,
al comma primo n. 5, che ‘gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono
essere valutati separatamente’, e l’art. 2423

ter stesso codice conferma che le voci

previste dagli artt. 2424 e 2425 nello stato patrimoniale e nel conto economico devono
essere iscritte separatamente, così definitivamente avvalorando la tesi della chiarezza,
e quindi della specificità, che deve contrassegnare la tenuta dell’intera contabilità, uno
dei punti focali della tutela dei creditori.
5.

In piena coerenza con tali principi e con tali previsioni normative i giudici di merito
hanno quindi ritenuto, alla stregua di quanto sopra, che l’adozione di criteri scorretti,
ossia non corrispondenti ai principi di tecnica contabile, nella redazione della
documentazione e dei bilanci societari abbia dato luogo alla condotta materiale del
delitto di bancarotta fraudolenta documentale.

6.

Va infatti ricordato che nella specie, secondo quanto risulta dalla perizia disposta dal
Gip, il valore della merci in giacenza presso la società poi fallita desumibile dalla
documentazione contabile era pari, al 31-12-2001, a 550 milioni di lire; che dal 1-1 al
12-2-2002, data del fallimento, non erano state registrate operazioni; che nel
settembre 2002 la merce rinvenuta era stata stimata in sede di inventario fallimentare
in soli € 7.395; che, non essendo stato redatto un inventario analitico della merce in
giacenza al 31-12-2001, né alla data di dichiarazione del fallimento, era stato

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3.

impossibile determinare con esattezza il tipo, la marca e l’anno di acquisto dei beni
costituenti le rimanenze finali di magazzino.
7. La mancata analiticità del libro inventari aveva quindi creato l’impossibilità di verificare
la corrispondenza fra merci rinvenute dalla curatela e merci riportate in contabilità, a
fronte dell’enorme disparità tra il valore di queste ultime (circa 280mila euro) e quello
dei beni acquisiti al fallimento (circa 7mila euro), non spiegabile, secondo quanto
correttamente osservato in sentenza e a differenza da quanto sostenuto dal ricorrente,

maggiormente significative le osservazioni in fatto, nuovamente proposte ad ulteriore
giustificazione della predetta disparità di valore (quali l’assenza di etichette sui capi di
abbigliamento e l’allagamento, poco prima della pronuncia di fallimento, dei depositi
della società), già esaminate e motivatamente disattese in sentenza.
8. Neppure sussiste l’invocato profilo di contraddittorietà tra la valutazione di non
correttezza delle scritture contabili e la conclusione, sulla base delle stesse, della
distrazione o sostituzione della merce, avendo invece la corte, con argomentare logico
ispirato ai criteri dell’id quod plerumque accidit, concluso nel senso che lo stratagemma
della non analiticità dell’indicazione dei singoli beni aveva consentito 1″assai probabile
sottrazione di gran parte della merce esistente al momento del fallimento’, peraltro non
contestata con apposita imputazione, ma tuttavia sufficiente a far ritenere configurato il
dolo della bancarotta fraudolenta documentale.
9. Ineccepibile è pertanto la conclusione, raggiunta dai giudici di merito, che l’impossibilità
di valutare la consistenza del patrimonio della società integrava il reato in tutte le sue
componenti.
10.Visibilmente priva di consistenza è d’altro canto la doglianza mediante la quale si
pretenderebbe di legittimare la tenuta in modo sintetico del libro degli inventari, tale da
non esprimere i singoli elementi patrimoniali, solo perché l’aggettivo ‘analitico’ non è
menzionato nell’art. 2217 cod. civ., ma soltanto nella normativa fiscale. A parte la
rilevante distanza temporale tra l’introduzione nell’ordinamento delle due norme, la tesi
è tanto ardita quanto manifestamente senza fondamento se si considera che la
necessaria indicazione e valutazione delle attività e delle passività relative all’impresa,
imposte dalla norma codicistica, ne sottintende ed esige l’analiticità, essendo il concetto
stesso di inventario sintetico una contraddizione in termini, in quanto l’assenza di
analiticità è inidonea a dar conto delle attività e passività dell’impresa, facendo venir
meno la funzione del libro relativo (Cass. 39482/2013).
11. Non rileva in conseguenza l’intenzione, assertivamente prospettata dal ricorrente, di
ovviare in un secondo tempo alla sinteticità dell’inventario attraverso dettagliata
esplicazione nella nota integrativa allegata al bilancio ex art. 2217 cod. civ., e mediante
indicazione analitica da effettuare al momento della presentazione delle dichiarazioni

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soltanto con la diversità dei diversi criteri che regolano le relative stime. Né sono

fiscali, asseritamente non realizzatasi per la sopravvenuta dichiarazione di fallimento
prima della scadenza dei relativi termini.
12.AI rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P. Q. M.

Roma, 6.11.2013

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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