Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6465 del 14/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6465 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FIORE FRANCESCO N. IL 17/02/1987
avverso la sentenza n. 851/2014 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 15/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Data Udienza: 14/10/2015

Udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. G. Izzo che ha concluso chiedendo rigettarsi il
ricorso, udito il difensore dell’imputato, avv. G. Barba, che si è riportato al ricorso e ne ha
chiesto raccoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Catanzaro ha confermato la pronunzia di
primo grado con la quale Fiore Francesco fu condannato a pena di giustizia in quanto
riconosciuto colpevole del delitto ex artt. 485-61 n 11 cp, in forma concorsuale; fu viceversa
assolto dal connesso delitto ex artt. 640-61 n. 11 cp perché il fatto non sussiste.

3. Con la prima, deduce violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale,
anche sotto il profilo del travisamento della prova. Il Fiore è accusato di aver contribuito a
compilare moduli di richiesta di attivazione di servizi di telefonia mobile, corredandoli della
firma apocrifa del cliente. Ebbene, premesso che egli ha operato in tale settore per un
brevissimo periodo (circa un mese), con l’atto di appello, si era fatto rilevare che risultano altri
contratti, redatti dopo le sue dimissioni, ma recanti egualmente il suo codice identificativo. Sul
punto la sentenza di appello, che si riporta per relationem a quella di primo grado, nulla
replica. L’imputato, invero, ha anche chiarito che, dovendo apprendere il mestiere egli operò
unitamente al team leader Panza Giuseppe. Fiore invero scriveva sotto dettatura del Panza e
compilò solo una parte dei moduli. Contrariamente a quanto si legge in sentenza, Fiore si
limitò alla compilazione della sola parte anagrafica e non anche di quella bancaria (RID). Ciò
emerge dalla lettura del verbale dibattimentale e in tale discrasia consiste il travisamento della
prova. Va poi aggiunto che, per la parte compilata dal Fiore,i moduli non possono essere
considerati contratti; tali essi divennero solo dopo che, ad opera del Panza, essi furono
completati. Ancora va considerato che la falsità in scrittura privata diviene punibile con l’uso
dell’atto falso. Ebbene tale uso è avvenuto dopo che il Fiore aveva interrotto il rapporto di
lavoro e quindi non è a lui addebitabile. Solo poi all’esito del giudizio di primo grado (e quindi
con la sentenza del tribunale), il delitto ex art. 485 cp gli è stato attribuito in forma
concorsuale, con evidente lesione dell’esercizio del diritto di difesa. Per altro, non è stata
prodotta motivazione in relazione al preteso contributo causale che egli avrebbe offerto.
4. Con la seconda censura, deduce violazione di legge e carenze dell’apparato
argomentativo in relazione all’elemento psicologico del reato contestato. Data la assoluta
mancanza di esperienza del Fiore (di fatto un apprendista), si era rappresentato nell’atto di
appello che lo stesso aveva agito senza alcuna consapevolezza della falsità. Invero il Panza
aveva, di sua iniziativa, promesso al Fiore € 15 per ogni contratto che, con la sua
cooperazione, avesse concluso, ma egli si era limitato a trascrivere i dati anagrafici dei clienti o
a scrivere sotto dettatura del suo superiore.
5. Con la terza censura, deduce la particolare tenuità del fatto e invoca l’applicazione
dell’art. 131 bis cp.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Recita il capo di imputazione : “in qualità di procacciatore di affari, della ditta
, esercente attività di promozione e attivazione di
EMMEPICO, suba gente della società
, al fine di procurarsi un vantaggio e di recare ad
utenze della società di telefonia H3G spa
altri un danno, formava e faceva uso di quattro falsi contratti di abbonamento ed attivazione di

2. Ricorre per cassazione il difensore ed articola tre censure.

2. Ebbene, emerge dalla sentenza di appello che, innanzitutto, il Fiore compilò solo
parte dei moduli e in particolare quella iniziale (scil, la parte anagrafica), di talché, sembra di
comprendere, egli – contrariamente a quel che si legge nel capo di imputazione – non appose
la firma apocrifa dell’ignaro cliente (Serviddio Massimo). Certamente egli non appose la data,
né il suo (del Fiore) codice identificativo, né i dati bancari (fol. 2 della sentenza: righi da 6 a
10). Dunque l’ipotesi di accusa risulta smentita dagli stessi giudicanti che hanno in pratica
ricostruito l’accaduto in modo difforme da quanto descritto nella imputazione. Secondo il
ricorso, poi hanno errato i giudici del merito nel ritenere che l’imputato abbia compilato la
parte relativa al c.d. RID bancario (e in ciò consisterebbe, come si è anticipato, ulteriore
travisamento della prova). Ebbene, in assenza di una perizia o di una consulenza tecnica (e in
presenza di indagini e istruttoria dibattimentale alquanto manchevoli), risulta quantomeno
azzardata (e contraddittoria) la attribuzione all’imputato di (tutta) la condotta descritta nel
sopra ricordato capo di imputazione. Inoltre, non rispondendo alle censure di appello, la corte
calabrese non ha accertato per qual motivo, se non per “scaricare” sul Fiore la responsabilità
dell’accaduto, fu apposto sui moduli, ad opera di altri, il codice identificativo dell’imputato. Se a
ciò si aggiunge che, come premesso, il ricorrente fu assolto in primo grado (perché il fatto non
sussiste) dal delitto di truffa, alla cui consumazione sarebbe stato strumentale il delitto ex art.
485 cp., ne deriva la radicale (e insanabile) illogicità della sentenza ricorsa, con conseguente
necessità di annullarla senza rinvio in quanto l’imputato non ha commesso il fatto che gli è
stato attribuito.
PQM
annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere l’imputato commesso il fatto.

Così deciso in Roma, addì 14 ottobre 2015.-

, nonché di quattro
recanti rispettivamente i numeri
altrettante utenze telefoniche mobili
correlativi moduli di autorizzazione permanente di addebito in conto corrente (RID); in
particolare redigeva i relativi moduli contrattuali e i moduli RID, apponendovi la firma apocrifa
di Serviddio Massimo, che in tal modo figurava quale intestatario delle predette utenze
telefoniche e dei relativi contratti e moduli RID”.

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