Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6463 del 14/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6463 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CICENIA DONATO N. IL 05/06/1961
nei confronti di:
RINALDI GIUSEPPE N. IL 10/05/1966
SALLUSTI ALESSANDRO N. IL 02/02/1957
avverso la sentenza n. 3488/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
01/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO

Data Udienza: 14/10/2015

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Udito il PG in persona del sost.pro .gen. dott. G. Izzo che si è rimesso alla corte sul ricorso
della PC, udito il difensore della PC che si è riportato al ricorso, ne ha chiesto l’accoglimento e
ha depositato conclusioni scritte.
RITENUTO IN FATTO

2. Il 23 ottobre 2005 fu pubblicato sul quotidiano LIBERO, del quale il Sallusti era
direttore, un articolo a firma del Rinaldi dal titolo: “Sprechi da guiness a Napoli: la giunta rossa
dà 130 consulenze alla stessa persona”, nel quale si sosteneva che l’avv. Cicenia Donato,
nominato consulente del Consorzio ASI napoletano, era stato ricompensato in maniera
assolutamente sproporzionata, assommando ben 130 consulenze, ottenendo così cittadinanza
“nel gotha degli accumulatori di incarichi e consulenze” e che, avendo sottoscritto con il
medesimo Consorzio una convenzione per consulenze, ricompensato con la somma di circa lire
100 milioni all’anno, aveva poi ottenuto, appunto, altre 130 consulenze, generosamente
liquidate.
3. Il giudice di primo grado, ritenendo che la notizia giornalistica non avesse rispettato il
requisito della verità, escluse che il Rinaldi avesse validamente esercitato il diritto di critica,
condannandolo alla pena di giustizia; conseguentemente ritenne che il Sallusti non avesse
adeguatamente vigilato perché sul giornale da lui diretto non venisse pubblicato il suddetto
articolo dal contenuto ritenuto diffamatorio. Rinaldi e Sallusti furono anche condannati al
risarcimento dei danni in favore della PC, Cicenia Donato.
4. La CdA di Milano, investita della impugnazione degli imputati, ha viceversa ritenuto
che il Rinaldi avesse esercitato il diritto di critica nei limiti in cui la giurisprudenza lo riconosce.
Atteso che il diritto di critica si distingue da quello di cronaca perché ha ad oggetto valutazione
e non il racconto di fatti obiettivi, il giudice di secondo grado ha ritenuto la sostanziale
rispondenza al vero delle notizie riportate nell’articolo del 23 ottobre 2005, atteso che all’avv.
Cicenia, oltre all’incarico di consulenza, erano poi stati conferiti centinaia di incarichi di
assistenza e rappresentanza in giudizio nell’interesse del Consorzio. Al proposito, ha ritenuto la
corte di merito che, pur trattandosi di incarichi di natura diversa, tuttavia essi avevano in
comune il fatto di promanare dalla medesima Amministrazione, di talché la differenza risultava
non comprensibile per il lettore medio, rimanendo comunque accertato che il Cicenia era
comunque stato ricompensato lautamente dal Consorzio ASI. Per altro, rilevava la corte
milanese, nel prosieguo dell’articolo si leggeva la frase “facendo un po’ i conti, tra contratti di
consulenza per attività di tipo amministrativo e singole cause dinnanzi al TAR, al Consiglio di
Stato e Tribunali vari, le cifre cominciano a farsi davvero interessanti e ad arricchirsi di diversi
zeri”. Con ciò, secondo il giudice di appello, la informazione veniva integrata e corretta.
5. Ricorre per cassazione il difensore della parte civile e deduce errata applicazione della
legge penale e carenze dell’apparato motivazionale. Premesso che anche nell’esercizio del
diritto di critica è richiesto il rispetto del requisito della verità del fatto che si intende valutare
ed eventualmente censurare, anche aspramente, sta di fatto che l’articolo in questione
sostiene che al Cicenia furono conferito ben 130 incarichi di consulenza e che lo stesso fu, in
pratica, pagato più volte per la medesima attività, laddove l’incarico di consulenza aveva
durata annuale, prevedeva un compenso fisso mensile, prevedeva che il Cicenia prestasse la
sua opera con carattere di continuità e che lo stesso fosse a disposizione della Amministrazione

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Milano, in riforma della pronunzia di
primo grado, ha assolto Rinaldi Giuseppe dal delitto di diffamazione a mezzo stampa perché
il fatto non costituisce reato ed ha assolto Sallusti Alessandro dal delitto ex art. 57 cp
perché il fatto non sussiste.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto. Conseguentemente la sentenza impugnata va
annullata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
2. Costituisce, come è noto, jus receptum il principio in base al quale, anche
nell’esercizio del diritto di critica, deve essere rispettato il requisito della verità; ciò con
riferimento, come è ovvio, non al contenuto valutativo della critica, ma al suo presupposto
fattuale. Vale a dire che, una volta riferito un fatto (un avvenimento, una condotta, un’opinione
ecc.) nei suoi esatti termini (almeno in quelli che appaiono, all’esito di un diligente
accertamento, al momento in cui la notizia viene diffusa), il giornalista (come qualsiasi
cittadino) è poi libero di sottoporlo a valutazione e critica, ben potendo esser la critica aspra,
corrosiva, distruttiva, radicale ed impietosa, sempre i si intende, che ricorrano gli ulteriori
requisiti della rilevanza sociale e della continenza espressiva. La rispondenza al vero del fatto
criticato, in altre parole, costituisce il presupposto sul quale l’attività di critica si innesta, per
l’ovvio motivo in base al quale criticare un fatto non vero, non solo costituisce un inescusabile
danno nei confronti del soggetto cui ingiustamente si attribuisce un comportamento non
tenuto, ma integra anche gli estremi della “falsa comunicazione” nei confronti dei destinatari
della notizia di critica-cronaca, che, dunque, vedono, di riflesso, frustrato il loro diritto di
essere (correttamente) informati.
3. Orbene, nel caso in scrutinio, erra sicuramente la corte di Milano quando sostiene che
sostanzialmente la notizia contenuta nell’articolo di LIBERO del 23 ottobre 2005 appariva
rispondae al vero solo perché, di fatto, il Cicenia era stato destinatario delle somme
(approssimativamente ed iperbolicamente) indicate dal giornalista, non avendo rilievo (quasi si
S
trattasse di una pretestuosa distinzione) il titolo dei compensi corrsiposti. Invero, nel capo di
imputazione (che oltretutto fa riferimento all’intero contenuto dell’articolo ritenendolo come
integralmente assorbito), innanzitutto si parla di “sprechi” che sarebbero stati realizzati
attribuendo “130 consulenze alla stessa persona”, vale a dire al Cicenia che “per quel
lavoro….era stato già convenzionato dal Consorzio per la modica cifra di poco meno che di 100
milioni ecc.” lo stesso allora sarebbe stato pagato “130 volte per la stessa attività in base alla
quale era stato convenzionato”. Orbene, se accusare una Amministrazione di sprecare denaro
pubblico è senza dubbio attività valutativa e quindi di pura critica (che non è vera o falsa, ma
solo condivisibile – da taluno – o non condivisibile – ovviamente da altri), sostenere che una
persona è stata pagata 130 volte per la medesima attività è una notizia (che dunque è vera o
falsa). È pur vero che, nel prosieguo dell’articolo, come nota la corte territoriale, si legge “..
per attività di tipo amministrativo e singole cause dinanzi al TAR, al Consiglio di Stato e
Tribunali vari, le cifre cominciano a farsi davvero interessanti ecc.”, ma ciò non chiarisce il
malizioso equivoco in base al quale il Cicenia sarebbe stato pagato più volte per le medesime

per ogni questione avente ad oggetto problematiche di diritto amministrativo. Altra cosa poi
sono gli incarichi professionali conferiti al predetto in qualità di difensore della medesima
Amministrazione nei procedimenti in cui la stessa era, a qualsiasi titolo, coinvolta (dunque per
agire o resistere in giudizio). È allora falsa la notizia per la quale il suddetto professionista
sarebbe stato pagato più volte per la medesima attività, come falsa è la notizia che lo stesso
avrebbe accumulato compensi “a sei zeri”, come dimostrato dalla esibizione avvenuta, in primo
grado, della sua denunzia dei redditi; in fine falsa è la insinuazione in base alla quale egli
avrebbe ottenuto l’incarico grazie alle sue conoscenze politiche, piuttosto che alla sua
preparazione, esperienza e professionalità, come comprovato dal curriculum, sempre prodotto
innanzi al primo giudice, atteso, oltretutto, che il commissario straordinario del Consorzio fu
nominato dalla precedente giunta regionale, facente capo allo schieramento politico opposto a
quello con il quale si assume nell’articolo che il Cicenia abbia vicinanza e frequentazione.

4. Certamente non condivisibile è poi l’affermazione dei giudici di secondo grado in base
alla quetltil “lettore medio” non possa essere destinatario di distinzioni troppo sottili e, dunque,
debba accontentarsi di una informazione, per così dire, “all’ingrosso”. Si tratta di una
concezione sicuramente paternalistica (nei confronti dei destinatari della informazione) e
aprioristicamente giustificatoria (nei confronti dei diffusori della informazione), una concezione
sicuramente inaccettabile in quanto legittimante una sorta di “populismo della informazione”,
una informazione – vale a dire – scandalistica, che accomuna persone e fatti che, viceversa, il
destinatario ha un vero e proprio diritto a conoscere (per quanto possibile) nei suoi esatti
termini. L’opinione pubblica, invero, deve formarsi su notizie “chiare e distinte”;
conseguentemente i lettori hanno diritto a una informazione puntuale. Altro sarebbe stato se il
Rinaldi avesse scritto che il Cicenia, oltre ad avere avuto un incarico “fisso” di consulente del
Consorzio ASI, avesse poi monopolizzato l’assistenza giudiziaria del medesimo ente e tale
notizia avesse sottoposto a critica, consentendo al lettore di formarsi un’opinione circa la
opportunità che il medesimo professionista seguisse tutte le cause del Consorzio, ovvero se
fosse opportuno ed equo che tali incarichi fossero suddivisi tra più avvocati.
5. La ricorrente PC non ha presentato nota spese.
PQM
annulla agli effetti civili la sentenza impugnata la e rinvia al giudice civile, competente per
valore in grado di appello.

Così deciso in Roma, addì 14 ottobre 2015.-

prestazioni, anzi: ben potrebbe essere interpretato nel senso che, oltre alle consulenze
“multiple e sovrapposte”, il predetto professionista ha anche ottenuto incarichi in sede
giudiziaria. Al proposito, è appena il caso di ricordare come sia stato chiarito più volte che
l’immutatio veri ben può essere ottenuta anche con la sapiente insinuazione, l’accostamento
tendenzioso tra notizie, la maliziosa allusione.

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