Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6459 del 14/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6459 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

Data Udienza: 14/10/2015

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da

FINOCCHIARO Carmelo, nato a Catania il 05/12/1968
NARCISO Filippo, nato ad Agira il 21/06/1943

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania del 16 aprile 2013
visti gli atti, la sentenza impugnata ed i ricorsi
udita la relazione del consigliere Paolo Antonio Bruno;
sentito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Gioacchino Izzo, che ha
chiesto il rigetto dei ricorsi;
sentito, altresì, l’avv. Domenico Battista, in sostituzione dell’avv. Carmelo Peluso,
che, nell’interesse dei ricorrenti, si è riportato ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Filippo Narciso e Carmelo Finocchiaro, assieme ad altra persona, nella
qualità – in tempi diversi – di amministratore unico e legale rappresentante

pro-

tempore della società “Pulvirenti Costruzioni” srl, dichiarata fallita il 13 febbraio
2004, erano chiamati a rispondere, innanzi al Tribunale di Catania, dei reati di

bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (sia per distrazione di beni sia
per irregolare tenuta delle scritture contabili) secondo le modalità esecutive
specificamente indicate in rubrica.

2. Con sentenza del 3 novembre 2011, il Tribunale dichiarava non doversi
procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato di bancarotta fraudolenta
preferenziale contestato dal PM all’udienza del 6 maggio 2009, essendosi lo stesso

ascritti nel decreto dispositivo del giudizio del 31 gennaio 2008 e, ritenuta la
contestata aggravante, li condannava alla pena di anni quattro e mesi sei di
reclusione ciascuno, oltre consequenziali statuizioni.
3. Pronunciando sui gravami proposti dagli imputati, la Corte d’appello di
Catania, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava in parte l’impugnata
pronuncia, assolvendo il Narciso del reato di bancarotta fraudolenta di cui al n. 1
dell’imputazione per non aver commesso il fatto; qualificato il fatto della condotta
della “distrazione della somma di C 33.341,27 ricevuta dal Comune di Tolmezzo il
31 gennaio 2002 annotando fittiziamente tale somma “in compensazione di debiti
nei confronti della cassa edile” come bancarotta preferenziale, dichiarava non
doversi procedere nei confronti di Carmelo Finocchiaro perché il reato era estinto
per intervenuta prescrizione, esclusa per Filippo Narciso l’aggravante di cui all’art.
219 legge fall.; confermava nel resto e per le restanti imputazioni determinava la
pena per Filippo Narciso in anni tre di reclusione e per Carmelo Finocchiaro in anni
quattro di reclusione.

4. Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore di Carmelo Finocchiaro, avv.
Carmelo Peluso, e Filippo Narciso, personalmente, hanno proposto distinti ricorsi
per cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.
Con il primo motivo del ricorso in favore del Finocchiaro si denuncia mancanza,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione; violazione della legge penale;
inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, ai sensi dell’art. 606
lett. b) c) ed e) cod. proc. pen., con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato
di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Si lamenta, in proposito, la genericità del
capo dì imputazione relativo al reato in questione, in quanto faceva riferimento ad
attività volte a sottrarre alla garanzia dei creditori “somme o beni non rinvenuti” per
un valore complessivo di C 300.000, che secondo l’accusa costituirebbe il
“cosiddetto deficit patrimoniale a fronte di un attivo pari a circa C 90.000 ed un
passivo pari a C 406.000”. Al riguardo, richiamava il principio giurisprudenziale
secondo cui il “deficit patrimoniale” non poteva essere trasformato in qualsivoglia

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estinto per prescrizione; dichiarava gli stessi imputati colpevoli del reato loro

forma di illecita sottrazione di patrimonio, se non risultava provata una delle
condotte descritte dalla norma incriminatrice della bancarotta patrimoniale
(soppressione, distruzione, occultamento etc.). Il

deficit era connaturale ad ogni

fallimento e senza di esso sarebbe impossibile avviare una procedura concorsuale.
Pertanto, la somma di C 300.000, costituente il passivo fallimentare, non era
parametro utilizzabile ai fini dell’individuazione della condotta di banconota
fraudolenta intesa come diminuzione patrimoniale cagionata da un’illecita

che significava che avrebbero dovuto essere considerate soltanto le specifiche
attività contestate nel capo d’imputazione, tra le quali non figurava la cessione del
ramo di azienda. Erroneamente, il giudice di appello aveva ritenuto che la cessione
del ramo di azienda, come ipotesi distrattiva, fosse contestata in ragione delle
parole “cedevano

unitamente al ramo di azienda”, frase che avrebbe dovuto

essere letta correttamente, nel senso che riguardava solo il credito maturato nei
confronti dell’Università di Parma per lavori già eseguiti per C 36.151,98, ceduto
unitamente al ramo di azienda. In tutta evidenza, il riferimento alla cessione del
ramo di azienda era stato effettuato dal PM procedente solo per individuare il
contesto fattuale con il chiaro intento di circoscrivere la contestazione alla sola
cessione di tale credito, sia pure nel contesto della cessione del ramo di azienda.
Diversamente opinando, non avrebbe avuto alcun senso contestare solo un
particolare della più articolata ed ampia operazione commerciale. La sentenza
risultava, quindi, viziata da nullità ai sensi degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.
In linea subordinata, si deduce che, con riferimento alla cessione del ramo di
azienda, la sentenza era del tutto priva di motivazione. Evidente, in particolare, era
il travisamento della prova quanto alla circostanza che il valore della cessione del
ramo di azienda sarebbe stata accertato in un giudizio civile, con gli effetti
preclusivi del giudicato sul punto. Non era stata adeguatamente intesa la prova
documentale acquisita al dibattimento. Infatti, dalla sentenza emessa dal Tribunale

sottrazione di attivo né come parametro per stabilire la gravità della condotta. Il

di Catania il 16 novembre 2007, allegata al ricorso, emergeva che la curatela aveva
citato in giudizio gli amministratori, tra i quali il Finocchiaro, per un risarcimento
danni nonché per ottenere il versamento delle quote sociali, ai sensi dell’art. 150
legge fall. per C 14.150,00. Tutte le pretese della curatela erano state transatte con
il Finocchiaro, ritenendo congruo il pagamento della somma di C 45.000,00,
comprensiva della somma ingiunta ai sensi dell’art. 150 legge fallimentare e della
somma di C 5000,00 per spese legali. Il tribunale civile, pertanto, non si era mai
pronunciato sulla revocatoria dell’atto di cessione del ramo d’azienda e, quindi, il
valore dell’azienda ceduta non era stato mai accertato nel procedimento civile. In
proposito, la sentenza impugnata si era pedissequamente riportata alla motivazione
della pronuncia di primo grado e, quindi, al contenuto della relazione tecnica a firma

L

del dr. Bonomo, acquisita dal Tribunale ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. In
proposito, vi era una divergenza di valutazione tra il consulente della difesa, prof.
Patti, ed il citato consulente della curatela: l’uno aveva indicato il prezzo nella
misura di C 144.607,37, mentre l’altro l’aveva determinato in C 220.104,64. Sul
punto la sentenza impugnata era priva di motivazione, posto che la Corte
distrettuale aveva omesso di pronunciarsi sulle ragioni dedotte nell’atto di appello in
ordine alla circostanza che la differenza di valutazione dei crediti ceduti risiedeva,

differenza tra l’importo del SAL fatturato il 19 giugno 2002 (dopo la cessione) ed il
credito appostato in bilancio. Tale somma, che costituiva il compenso dei lavori
effettuati in parte dalla cedente ed in parte dalla cessionaria, avrebbe dovuto
essere ripartita fra le stesse parti secondo i criteri fissati dalla consulenza Bonomo.
In definitiva, nell’atto di appello era stato dedotto che il riparto della somma era
stato effettuato dal dr. Bonomo presumendo che il lavoro fosse stato eseguito dalle
due società succedutesi nella gestione della commessa, senza alcuna interruzione,
in un arco di tempo determinato, e ritenendo che la “Pulvirenti Costruzioni ” non
avesse mai sospeso l’attività. A riprova del fatto che la maggior parte del lavoro
fatturato con l’anzidetto SAL era stato effettuato dopo la cessione del ramo di
azienda e, quindi, che il relativo costo era da porre a carico della cessionaria, erano
state prodotte, unitamente alla relazione di consulenza Patti, le fatture relative ai
lavori eseguiti dalla ditta “Progetti e Costruzioni Industriali” per conto della
cessionaria S.C.G. srl, nel periodo successivo alla cessione ed antecedente al SAL,
per un importo di C 90.596,95, oltre Iva. Tali documenti, costituenti prova decisiva
al fine di individuare il valore del credito ceduto, erano stati assolutamente ignorati
dalla sentenza d’appello. Non si era tenuto, inoltre, conto che ì anche utilizzando i
parametri utilizzati dal dr. Bononno per stimare le immobilizzazioni materiali
dell’avviamento, ai fini della valutazione del credito effettivo maturato dalla cedente
verso l’Università di Parma, il valore dell’azienda ceduta sarebbe stato addirittura
inferiore di circa C 19.000,00 rispetto al corrispettivo stabilito con l’atto di cessione
dell’8 maggio 2002. Il che significava che la cessione era stata effettuata ad un
prezzo congruo ed aveva tenuto conto anche del valore dell’avviamento che, in
caso di fallimento della società, sarebbe stato assolutamente azzerato. Si
osservava, infine, che il curatore aveva dato atto che il prezzo indicato nel contratto
era stato interamente pagato.
La motivazione della pronuncia impugnata era comunque manifestamente
illogica e contraddittoria.
Era censurabile anche il punto della motivazione riguardante la registrazione
delle somme di lire 6.600.000 restituite al socio Scardace in violazione della
normativa civilistica. Si trattava di somma restituita al socio e registrata
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soprattutto, nell’incremento del valore reale del ramo di azienda, costituito dalla

contabilmente come prestito imputabile al conto “soci c/ versamenti infruttiferi”
solo nel bilancio, per necessità di riclassificazione secondo le direttive UE era stata
appostata come “versamenti soci c/ capitale”. In ogni caso, il versamento ad uno
dei soci, trattandosi ad ogni modo di soddisfacimento di un credito sociale, avrebbe
dovuto essere considerato come pagamento preferenziale e la relativa ipotesi
delittuosa di bancarotta sarebbe prescritta, per decorso del relativo termine
prescrizionale.

motivazione nonché violazione della legge penale relativamente al reato di
bancarotta fraudolenta documentale. Al riguardo, anche per la confusione di nomi,
era da ritenere che il giudice di appello non avesse provveduto ad un’effettiva
ricognizione della prova ed avesse espresso la propria valutazione al riguardo in
contrasto con le risultanze di causa dalle quali risultava, invece, la regolare tenuta
delle scritture contabili. Sia il curatore che il consulente contabile della curatela
avevano riferito di avere ricostruito esattamente il movimento degli affari della
società e tutto ciò che consentiva di valutare il patrimonio della stessa. In
proposito, non esisteva neppure l’ipotesi della fattispecie della bancarotta semplice
documentale, posto che il concetto di irregolarità era legato, in questo caso, alle
scritture obbligatorie previste dall’art. 2214 cod. civ. e non ad altre. Era stato,
inoltre, travisato anche il riferimento all’omesso deposito dei partitari relativi ai
singoli conti patrimoniali ed economici, considerato che lo stesso consulente tecnico
dr. Liardo aveva chiarito in dibattimento che i partitari non influivano o meglio non
impedivano la ricostruzione delle vicende societarie. L’errore era consistito nell’aver
attribuito rilevanza, ai fini della configurazione della bancarotta fraudolenta
documentale, alle “anomalie” riscontrate in merito ad alcune poste di bilancio, ove
invece occorreva tenere nettamente distinti i bilanci dalle scritture contabili.
Eventuali anomalie del bilancio potevano avere rilevanza soltanto ai fini di
eventuale bancarotta impropria societaria, ma solo in presenza di un collegamento
causale con il dissesto. Le anomalie riportate al punto 2) dell’imputazione
riguardavano le omissioni dei bilanci, che, semmai, avrebbero potuto assumere
rilevanza in riferimento agli artt. 2621 e 2622 cod. civ.
Con il terzo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà ed illogicità della
motivazione nonché violazione della legge penale relativamente al diniego delle
circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, che avrebbe
dovuto essere condizionalmente sospesa. Nella determinazione del danno per la
massa dei creditori non erano state valutate le transazioni sottoscritti dal
Finocchiaro e dal curatore fallimentare, con il consenso del giudice delegato, per
una somma che depurata delle spese legali e delle somme ingiunte ai sensi dell’art.
150 legge fall., ammontava ad appena C 30.000,00.

Con il secondo motivo si deduce mancanza, contraddittorietà ed illogicità della

Con primo motivo del ricorso proposto da Filippo Narciso si denuncia mancanza,
contraddittorietà e illogicità della motivazione nonché violazione della legge penale
in riferimento al delitto di bancarotta fraudolenta documentale. In proposito le
motivazioni addotte dal giudice di appello erano illogiche e non tenevano conto
delle risultanze probatorie. In particolare, non avevano tenuto conto di quanto
dichiarato dal curatore del fallimento avv. Zappalà il quale aveva riferito che la
consegna delle scritture contabili era stata completa e puntuale. Lo stesso

esaminati apparivano ben tenuti e consentivano, pertanto, la ricostruzione delle
vicende patrimoniali ed economiche della società fallita. Nessuna rilevanza poteva
assumere, in proposito, l’omesso deposito dei partitari relativi ai singoli conti
patrimoniali ed economici, ininfluenti ai fini della ricostruzione delle vicende
societarie.
Con il secondo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà ed illogicità
della motivazione nonché violazione della legge penale in ordine al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena nel
minimo edittale, con la concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena. Tra l’altro, non era plausibile il riferimento alla gravità dei fatti poiché
anche dal capo di imputazione era dato rilevare che il passivo fallimentare era stato
accertato in circa C 300.000,00 a fronte di C 90.000,00 di attivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo, articolato, motivo di ricorso in favore del Finocchiaro lambisce
l’area dell’inammissibilità, in quanto affidato a molteplici rilievi di merito ed a
prospettazioni difensive già agitate in sede di appello, in ordine alle quali la Corte
distrettuale ha, motivatamente, risposto.
In una prospettiva d’assieme, può osservarsi che il ribadito giudizio di
colpevolezza a carico del Finocchiaro risulta congruamente giustificato, sulla base di
un insieme argomentativo che si integra ed interseca, per quanto di ragione, con
quello della sentenza di primo grado che, stante la convergenza in punto di penale
responsabilità, forma con quella in esame una sola entità giuridica.
Il nucleo centrale della struttura motivazionale si attesta, in buona sostanza,
sul rilievo di una realtà storico-fattuale incontroversa, ossia l’intervenuta cessione
del ramo di azienda che rappresentava la sola utilità della Pulvirenti Costruzioni in
uno ad un sorprendente avviamento, rappresentato da appalti pubblici che la
società catanese riusciva ad aggiudicarsi nel Nord Italia. Detta cessione,
perfezionatasi peraltro in un momento in cui la cedente era già gravata da rilevanti
esposizioni debitorie e versava già in stato di decozione, aveva luogo – secondo
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consulente della curatela dr. Liardo aveva riferito che i libri e le scritture contabili

ricorrenti prassi fraudolente – in favore di società controllata dallo stesso
Finocchiaro e dai suoi congiunti. Alla stregua di siffatta realtà di fondo incontrovertibilmente connotata dai tratti di illiceità siccome volta al progressivo
svuotamento del patrimonio della società “in odore” di fallimento, con preordinato
pregiudizio delle ragioni creditorie – il giudice di appello ha correttamente valutato
le singole condotte ascritte all’imputato, ravvisandone, motivatamente, la portata
distrattiva. La metodologia di lettura è certamente corretta, in quanto proprio nella

piuttosto che nella prospettiva parcellizzata ancor’oggi proposta dal ricorrente.
Sicché, tutte le doglianze che mirano a contestare le singole condotte, in
termini disgiunti della visione di fondo, sono prive di fondamento, a fronte peraltro
di compiuta motivazione, che, specificamente per ciascuna di esse, ne attesta e
dimostra la natura distrattiva.
Sulla scorta di tali premesse risultano, poi, privi di fondamento i rilievi critici in
punto di diritto.
Non è, in primo luogo, condivisibile l’eccezione di pretesa violazione del
principio della contestazione, di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., sul riflesso
che non sarebbe stata specificamente contestata la cessione del ramo di azienda.
Ineccepibile è l’assunto del giudice di appello secondo cui la formulazione del capo
d’imputazione, all’apparenza relativo alla cessione di credito, aveva indubbio
carattere inglobante dell’operazione complessiva in cui quell’atto di cessione si
collocava, alla luce dell’inequivoco uso dell’avverbio “unitamente”, a parte il dato
logico dell’inscindibilità della cessione di credito dalla complessiva operazione
negoziale in cui si inseriva, con riferimento ad attività (appunto il ramo di azienda)
che esauriva, di per sé sola, la disponibilità patrimoniale della società fallita.
Le censure che toccano il punto focale del principale addebito, ossia il valore
economico del ramo di azienda ceduto, sono, decisamente, inammissibili afferendo
a questione prettamente di merito. E’ ineccepibile sul punto la motivazione che,
sulla base delle risultanze della consulenza della curatela fallimentare e delle altre
emergenze probatorie, ha riscontrato una sensibile divergenza tra l’apparente
prezzo di cessione ed il reale contenuto economico dell’operazione. Non è mancata,
poi, l’indicazione delle ragioni per le quali la relazione del consulente tecnico della
curatela (dr. Bonomo) fosse più affidabile e condivisibile di quella del tecnico della
difesa (prof. Patti), tenuto conto della diversa metodologia di stima adottata.
E’ appena il caso di osservare che, in punto valutazione del valore di cessione
del ramo d’azienda, nessuna preclusione poteva conseguire a un preteso giudicato
civile, posto che l’allegata sentenza del Tribunale di Catania si limitava a prendere
atto – quanto al rapporto processuale intercorso tra la curatela fallimentare, che
aveva esercitato azione di responsabilità nei confronti degli amministratori unici

visione d’assieme poteva apprezzarsi il coefficiente di illiceità delle singole condotte,

succedutisi nella carica sociale, ed il Finocchiaro – dell’intervenuta transazione, in
ragione della quale è stata dichiarata cessata la materia del contendere, senza
alcuna statuizione sul punto oggetto del presente giudizio.
Adeguatamente illustrata, infine, è la ritenuta natura distrattiva della rimessa di
danaro in favore di uno dei soci, tenuto conto del carattere ingiustificato di tale
restituzione, posto che il conferimento della somma era stato annotato come
versamento in conto capitale non restituibile se non alle condizioni di legge.

documentale, è privo di fondamento, posto che il giudice di appello, recependo
criticamente le argomentazioni del primo giudice, ha indicato le ragioni della
ritenuta irregolarità della tenuta delle scritture contabili, di tale rilevanza da
impedire la ricostruzione degli affari e del patrimonio sociale.
Non ha pregio la deduzione difensiva secondo cui, sia pure con difficoltà, era
stato possibile a posteriori ricostruire in qualche modo la realtà patrimoniale della
fallita. Il rilievo, infatti, è in contrasto con indiscusso insegnamento di questa Corte
regolatrice, secondo cui sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non
solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le
scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte
degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con
particolare diligenza (sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Rv. 247965; Sez. 5, n.
24333 del 18/05/2005, Rv. 232212; Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Rv.
218383).
Infondato, inoltre, è il rilievo contestativo riguardante la riscontrata irregolarità
delle scritture obbligatorie e non anche dei bilanci, in quanto gli stessi – nella
rappresentazione dello stato patrimoniale – riflettevano, certamente, le anzidette
irregolarità e, dunque, le mendaci scritturazioni.
Il terzo motivo si colloca, invece, in area d’inammissibilità, attenendo a
questione prettamente di merito, riguardante il regime sanzionatorio sub specie del
diniego delle attenuanti generiche, a fronte di motivazione idonea e formalmente
corretta, che ha spiegato compiutamente le ragioni del ribadito giudizio espresso in
primo grado in punto di non meritevolezza del reclamato beneficio, in ragione
dell’obiettiva gravità dei fatti e del comportamento processuale dell’imputato.
Con riferimento al primo motivo del ricorso proposto da Filippo Narciso,
riguardante il reato di bancarotta fraudolenta documentale, possono utilmente
richiamarsi le considerazioni sopra espresse in merito ad identica censura in favore
del Finocchiaro. Può solo aggiungersi, in risposta alle deduzioni difensive quest’oggi
formulate dal ricorrente, che il giudice di merito ha apprezzato le dichiarazioni del
curatore fallimentare e del consulente della curatela, spiegando che le stesse, nel
loro complesso, ribadivano la grave irregolarità della tenuta delle scritture contabili
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Il secondo motivo, riguardante il distinto reato di bancarotta fraudolenta

e non certo la soluzione alternativa delineata dello stesso ricorrente. Non solo, ma il
giudice di appello ha specificamente indicato le circostanza da cui è stato tratto il
pertinente giudizio, esprimendo, dunque, un apprezzamento prettamente di merito,
che, proprio perché motivatamente formulato, si sottrae al giudizio di questa Corte
di legittimità. Sicché, di nessuna manifesta contraddittorietà e di nessuna patente
illogicità risulta affetta la struttura motivazionale in esame.
Con il secondo motivo, riguardante il diniego delle attenuanti generiche,

inammissibilità di identico motivo dedotto nell’interesse del Finocchiaro. Anche per
il Narciso, infatti, il giudice di appello ha adeguatamente motivato sul punto,
indicando, correttamente, le ragioni del diniego delle attenuanti e della ritenuta
congruità della pena inflitta per la residua imputazione a suo carico.

2. Per quanto precede i ricorsi – ciascuno globalmente considerato – devono
essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 14/10/2015

valgono le stesse argomentazioni sopra addotte a fondamento della ritenuta

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