Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6456 del 01/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6456 Anno 2016
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VERDE MARCO N. IL 04/12/1983
avverso la sentenza n. 1189/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
05/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 01/10/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Aurelio GALASSO, ha concluso
chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 5 aprile 2013, ha confermato la pronunzia
di primo grado emessa dal G.U.P. del Tribunale di Fermo con la quale Marco VERDE era stato
dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 495 cod. pen., “per aver dichiarato, in sede di

appartenenti alla Polstrada di Ascoli Piceno, i quali redigevano nei suoi confronti un atto
pubblico consistito in un verbale di contravvenzione, false generalità, dichiarando di chiamarsi
Martucci Salvatore”.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore propone ricorso l’imputato, deducendo violazione di
legge e vizi di motivazione con un unico articolato motivo.
2.1. Il ricorrente censura la sentenza perché ha confermato l’affermazione di
responsabilità di quella di primo grado sulla base di una individuazione fotografica
dell’imputato fatta dai verbalizzanti, i quali avevano visionato una solo foto e tale attività era
avvenuta senza formalità.
2.2. Si duole poi il ricorrente della qualificazione giuridica del reato, avendo in sede di
appello richiesto la derubricazione nella meno grave fattispecie di cui all’art. 496 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Il ricorrente ha reiterato doglianze già proposte con l’atto di appello, sulle quali la Corte
territoriale ha reso esaustiva motivazione, esente da vizi logici censurabili in questa sede.
2. Si è sostenuto che l’individuazione fotografica dell’imputato da parte dei verbalizzanti non
sarebbe sufficiente a fondare l’affermazione di responsabilità.
L’assunto è manifestamente infondato.
Infatti, il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di Polizia Giudiziaria, non
regolato dal codice, costituisce un accertamento di fatto e, come tale, è utilizzabile nel giudizio
in base al principio della non tassatività delle prove.
La giurisprudenza di questa Corte, trattando anche del tema più ampio delle individuazioni
fotografiche effettuate da privati, ha giustificato l’uso in funzione probatoria dei verbali redatti
dalla polizia giudiziaria attestanti i riconoscimenti fotografici, di propria iniziativa o su delega
del pubblico ministero, ritenendo che costituiscano accertamenti di fatto, utilizzabili in virtù dei
principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento (Sez. 2, 22/5/1990 5/4/1991, n. 3734, Cerchi, riv. 186766; Sez. 3, 1/2- 26/3/1991, n. 3304, De Leo, riv. 186652;
Sez. 6, 28/11/1990 – 2/5/1991, n. 4943, Spanò, riv. 187070; Sez. 1, 22/4 – 8/6/1993, n.
1680, Novembrini, riv. 194416; Sez. 1, 24/11/1994 – 10/2/1995, n. 1326, Archinito, riv.
2

controllo della circolazione stradale al quale veniva sottoposto, ad ufficiali ed agenti della PS

200234; Sez. 4, 5/4 – 4/5/1996, n. 4580, Perez, riv. 204661; Sez. 5, 6/4 – 21/10/1999, n.
12027, Mandala, riv. 214872; Sez. 6, 18/4 – 12/6/2003, n. 25721, Motta, riv. 225574; Sez. 4,
n. 45496 del 14/10/2008, Rv. 242029).
Dunque, a prescindere dalle ragioni giustificatrici che legittimano tali mezzi di prova, rimane
fermo il principio dell’ammissibilità ed utilizzabilità di riconoscimenti “a forma libera”, anche se
si è pure precisato che il valore probatorio di tali atti non formali deve essere adeguatamente
verificato con riferimento sia al suo contenuto intrinseco e alle sue modalità sia ad elementi di
controllo e di riscontro che concorrano a giustificare l’affidamento sull’operato riconoscimento

12281, Milici, riv. 185268; Sez. 1, 25/3 – 23/7/1991, n. 7709, Piccolo, riv. 187807; Sez. 1,
19/6 – 29/7/1992, n. 8510, Timpani, riv. 191505).
Nel caso in esame, così come si evince dalla descrizione dei fatti operata dai giudici di merito, i
verbalizzanti hanno dato atto in maniera puntuale dell’attività compiuta visionando la foto
riportata dal cartellino fotosegnaletico dell’imputato, riconoscendolo come il soggetto che in
precedenza era stato fermato per un controllo di polizia e, dopo aver dichiarato di essere privo
di documenti, aveva fornito false generalità, poi riportate in un verbale di contravvenzione.
Peraltro, le doglianze del ricorrente sul punto finiscono per tradursi in una richiesta di
rivalutazione del compendio probatorio, inammissibile in questa sede, avendo questa Corte
chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una “rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Sez. Un. n. 41476 del
25/10/2005, Misiano; Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. Un. n. 930
del 29.1.1996, Clarke, Rv. 203428).
Non può quindi ravvisarsi nella sentenza impugnata un’errata applicazione dell’art. 192,
conuna 2, cod. proc. pen, né una mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod.
proc. pen.; né, a maggior ragione, può ravvisarsi una violazione dell’art. 125, comma 2, cod.
proc. pen., perché la sentenza impugnata ha motivatamente valutato le censure
dell’appellante, confutandone le prospettazioni probatorie.
3. Infondato è il motivo con il quale si contesta la qualificazione giuridica del reato.
Questa Sezione ha chiarito da tempo che integra il reato di cui all’art. 495 cod. pen. la
condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca nel corso di un controllo
stradale false dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni – in
assenza di altri mezzi di identificazione – rivestono carattere di attestazione preordinata a
garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare
la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495 cod. pen.,
nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496
cod. pen. (Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014, Sdiri, Rv. 262658; si vedano anche Sez. 5, n. 5622
del 26/11/2014, Cantini, Rv. 262667; Sez. 5, n. 3042 del 03/12/2010, Gorizia, Rv. 249707).
3

(Sez. 6, 16/17/1989 – 11/4/1990, n. 5349, Almiak, riv. 184009; Sez. F, 23/8 – 6/9/1990, n.

Va qui ribadito, dunque, quanto osservato nella motivazione della sentenza impugnata: deve
trovare applicazione l’art. 495 cod.pen. – e non l’art. 496 cod.pen., che è norma residuale
rispetto alla prima- quando, come nel caso di specie, la dichiarazione falsa sulle generalità si
configuri come una vera e propria “attestazione” al pubblico ufficiale, elemento quest’ultimo
presente e connotante in forma specifica soltanto la norma dell’art. 495.
E tale attestazione ricorre quando le false di dichiarazioni sulla propria identità siano fornite
agli agenti operanti che trovino il soggetto privo di documenti d’identità, di modo che, per
l’assenza di altri mezzi di identificazione, la dichiarazione del soggetto sottoposto a controllo

qualità personali. Si tratta di una argomentazione in diritto che, già esposta correttamente dal
giudice di appello, viene criticata in maniera generica dal ricorrente, oltretutto indicando come
elemento descrittivo fra le due fattispecie, quello della destinazione della dichiarazione ad
essere trascritta in un atto pubblico, invece non presente nel testo dell’art. 495 cod.pen. In
altri termini, va ribadito che il reato di false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale, anche a
seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 125 del 2008, si distingue da quello di false
dichiarazioni sulla propria identità poiché il disvalore è incentrato sulla condotta di
“attestazione falsa”, sicché, nonostante l’eliminazione del riferimento all’atto pubblico, esso
incrimina tuttora il soggetto che renda false dichiarazioni “attestanti”, ovvero tese a garantire,
il proprio stato od altre qualità della propria od altrui persona, destinate ad essere riprodotte in
un atto fidefaciente idoneo a documentarle (Sez. 4, n. 19963 del 15/04/2009, P.M. in proc.
Asiedu Agnes Ntiamoah, Rv. 244004).
Va detto, infine, che appare inconferente il richiamo fatto dalla difesa del ricorrente alla
sentenza di questa Sezione secondo la quale “non integra il delitto di falsa dichiarazione a
pubblico ufficiale sulla identità o qualità personali la condotta del conducente di un veicolo a
motore che, sorpreso a guidare senza patente, dichiari falsamente agli agenti di essere munito
della abilitazione alla guida pur di non averla al seguito” (Sez. 5, n. 4243 del 15/11/2012, De
Vito, Rv. 254564).
E’ del tutto evidente che tale decisione riguarda un caso diverso da quello in esame, giacché come chiarito nella motivazione della stessa sentenza- il rilascio della patente di guida,
concretandosi in una mera autorizzazione amministrativa, cioè in un rapporto tra il soggetto e
la pubblica amministrazione, non incide sull’identità intesa in senso lato e non attribuisce al
soggetto stesso una qualità personale rilevante ai fini degli artt. 495, 496, e 651 cod. pen
(Sez. 5, Sentenza n. 1308 del 13/12/1968,Rv. 110291; massime precedenti conformi: Sez. 5,
Sentenza n. 952 del 23/10/1968, Rv. 109625). Il principio, consolidato nella giurisprudenza,
costituisce la applicazione di quello enunciato dalle Sezioni unite secondo cui il rilascio della
patente di guida di veicoli a motore, concretandosi in una mera autorizzazione amministrativa,
cioè in un rapporto tra il soggetto e la pubblica amministrazione non incidente sulla identità,
non attribuisce al soggetto una qualità personale, rilevante ai fini degli artt. 495, 496 e 651
cod.pen. (Sez. U, Sentenza n. 1 del 04/05/1968, Rv. 108827).
4

costituisce vera e propria attestazione, finalizzata a garantire ai pubblici ufficiali le proprie

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2015
Il Presidente

Il consigliere estensore

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