Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6449 del 06/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6449 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: BIANCHI LUISA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ESERCIZIO ANTONIO N. IL 17/12/1973
avverso la sentenza n. 2007/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
27/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

Data Udienza: 06/11/2013

898/2013

L’imputato Esercizio Antonio ricorre per cassazione contro la sentenza della Corte di
appello di Napoli che ha confermato quella del Tribunale di Torre Annunziata di condanna
per il reato di cui all’art. 73 dPR 309/90. Deduce: 1) violazione di legge in relazione
all’applicazione della pena accessoria disposta senza appello del pm; 2) l’assenza di
prova del reato; l’imputato, noto tossicodipendente, all’atto della perquisizione, è stato
trovato nella sua camera intento a confezionarsi cocaina per uso personale ed ha
consegnato agli agenti anche la sostanza che aveva nel comodino; non vi è stato dunque
l’accertamento di una attività di spaccio.
Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo già la Corte di appello, del tutto correttamente, ha richiamato la
giurisprudenza di questa Corte secondo cui è legittima l’applicazione d’ufficio, da
parte del giudice di appello, delle pene accessorie non applicate in primo grado,
ancorche’ la cognizione della specifica questione non gli sia stata devoluta con il
gravame del pubblico ministero, in quanto la previsione di cui all’art. 597, comma
terzo, cod. proc. pen. – che sancisce il divieto della “reformatio in peius” quando
appellante sia il solo imputato – non contempla, tra i provvedimenti peggiorativi,
inibiti al giudice di appello, quelli concernenti le pene accessorie, le quali, ex art. 20
cod. pen., conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa (sez. V
22.1.2008 n.8280 Rv.239474: cfr. sez. un. N.8411 del 1998).
Quanto al secondo, occorre ricordare che il sindacato della Cassazione è limitato alla sola
legittimità, sì che esula dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, anche laddove venga prospettata dal ricorrente
una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali.
Nella specie, nel formulare le proprie censure il ricorrente non evidenzia, come imposto
dalla legge, manifeste carenze o illogicità della motivazione, rese immediatamente palesi
dalla lettura della sentenza impugnata, ma argomenta sulla possibile diversa
interpretazione dei dati di fatto. Né alcuna erronea applicazione di legge o illogicità è
ravvisabile nella valutazione del compendio indiziario conformemente effettuato dai
giudici dei due gradi di merito, che hanno fatto applicazione della pacifica giurisprudenza
di questa Corte secondo cui la destinanzione allo spaccio deve essere desunta dall’esame
dei parametri, fra loro non reciprocamente autonomi, indicati dall’art. 73, comma
primo – bis, lett. a),del d.P.R. n. 309 del 1990, come novellato dalla L. 21 febbraio
2006, n. 49 (nella specie, quantità di droga, situazione reddituale, natura del
confezionamento, presenza del bilancino e di accendino).
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non
emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 1000,00 (mille/00) a titolo di
sanzione pecuniaria.

p.q.m.

osserva

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di euro
1000,00 (mille/00).

Così deciso in Roma il 6.11.2013

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