Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6442 del 17/01/2017

Penale Sent. Sez. 6 Num. 6442 Anno 2017
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
A.A.

avverso la sentenza del 11/2/2016 della Corte di appello di Messina

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato il difensore, avv. Tindaro Celi, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte di appello di Messina, con la sentenza indicata in epigrafe ha
rideterminato la pena inflitta a A.A. in misura pari ad anni due e
mesi sei di reclusione, comprensiva di quella – anni uno e mesi dieci di
reclusione – relativa ai reati di cui alla sentenza del 14 gennaio 2011 del giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, irr. il 28
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Data Udienza: 17/01/2017

maggio 2015. La rideterminazione della pena è stata assunta in riforma della
sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto con la quale il A.A. era
stato condannato alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione, oltre al
risarcimento del danno in favore della parte civile, per il reato di calunnia
commesso in Barcellona Pozzo di Gotto il 26 febbraio 2008 quando il A.A.
denunciava al locale Commissariato lo smarrimento di due assegni, così
incolpando del reato di ricettazione il giratario dei titoli, assegni, viceversa,
consegnati a La Scala Giuseppe come da accordi consacrati nell’atto di

2. Il difensore del ricorrente, con il primo ed articolato motivo di ricorso,
denuncia vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 157 e 161 cod. pen.
nonché artt. 129 e 546 cod. proc. pen. poiché la sentenza della Corte di appello
è intervenuta a termini di prescrizione – non rilevata- ormai scaduti. Con il
secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge in relazione alla regola di
giudizio applicata, con riferimento all’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., onde
determinare il reato più grave ai fini dell’applicazione della continuazione fra i
fatti del presente procedimento e i fatti oggetto della sentenza irrevocabile del
28 maggio 2015, regola che trova applicazione solo in sede di esecuzione e non
anche in sede di cognizione. Deduce, pertanto, la erronea individuazione del
reato più grave in quello oggetto del presente procedimento in relazione alla
pena inflitta al A.A. in primo grado (anni due e mesi dieci di reclusione), poiché
la pena andava, invece, individuata, in relazione ai più gravi reati oggetto di
contestazione – per l’ammontare degli assegni denunciati – nel procedimento
definito con sentenza irrevocabile con la quale era stata inflitta al A.A. la pena
di anni uno e mesi dieci di reclusione, all’esito della diminuzione per il rito
abbreviato.
3. Il ricorso è infondato.
4. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso poiché, ai fini del
computo dei termini minimi e massimi di prescrizione rileva, quale circostanza ad
effetto speciale, la recidiva reiterata ( Sez. 6, n. 50089 del 28/10/2016, Lofiego
Raco, Rv. 268214). Consegue che avuto riguardo alla data del commesso reato
di calunnia (26 febbraio 2008) e alla contestata recidiva reiterata applicata dal
giudice di primo grado ed affatto esclusa dal giudice dell’impugnazione, alla data
della pronuncia della sentenza di appello non era decorso neppure il termine
ordinario di prescrizione.
5. Infondato è il secondo motivo di ricorso a fronte di una motivazione, sia
pure generica, espressa dalla Corte territoriale in ordine al giudizio di maggiore
gravità dei fatti per i quali si procede, assunti a base del calcolo della pena
inflitta per effetto della ritenuta continuazione fra reati ed individuata in quella di

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transazione del 10 settembre 2007, sottoscritto dal A.A..

anni due e mesi due di reclusione, tenuto conto della recidiva. E’ innegabile, che
la Corte territoriale, ai fini della individuazione del reato più grave, ha richiamato
la regola di giudizio dettata dall’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., che trova
applicazione in sede esecutiva laddove il giudizio di gravità ha luogo
parametrando grandezze omogenee costituite dalle pene inflitte con le statuizioni
irrevocabili rispetto alle quali si prospetta l’applicazione della continuazione fra
reati. Nella fattispecie in esame, in cui l’applicazione della continuazione opera
tra reati ancora sub iudice e reati giudicati con sentenza irrevocabile, ferma la

coperte da giudicato, la valutazione circa la maggiore gravità delle violazioni
deve essere compiuta dal decidente di merito confrontando tra loro, per un
verso, la pena inflitta per i fatti già sentenziati in via definitiva, per altro verso,
quella da infliggere per i reati sottoposti al proprio vaglio. Orbene risulta
evidente che la Corte di merito, richiamando i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
in sede di determinazione della pena posta a base del calcolo, ha inteso
individuare nel fatto ancora sub iudice, come aggravato per la ritenuta recidiva,
il fatto più grave e, deve pervenirsi alla conclusione che ha fatto uso corretto del
potere discrezionale del giudice del merito che, quando si risolva
nell’applicazione di una pena coincidente ovvero prossimo al minimo edittale come nel caso in esame – non abbisogna di specifica motivazione (Sez. 6, n.
10408 del 15/12/1988, Andreoli, Rv. 184918; Sez. 2, n. 320 del 03/06/1983
Ferrante Rv. 162112; conf. massime ivi citate Rv. nn. 179693; 167155; 165739;
148768; 162112), essendo sufficientemente motivato mediante il rinvio ai criteri
di cui all’art. 133 cod. pen.. Non senza rilevare che neppure la mancanza di
motivazione dà luogo alla illegalità della pena, tale essendo solo la pena diversa,
per specie, da quella che la legge stabilisce per un determinato reato, ovvero
inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali, nel caso rispettati.
6.Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 17 gennaio 2017

Il Consigliere

P

latore

Emilia Anna G dano

necessità di rispettare le valutazioni in punto di determinazione della pena già

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