Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6442 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6442 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: ESPOSITO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CELESTE GIUSEPPE N. IL 01/09/1975
avverso la sentenza n. 120/2013 TRIBUNALE di LUCERA, del
15/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO ESPOSITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. h trREpo PortPE0 stioL4
che ha concluso per n. Ramo pet, p.4.eomo

cr,

Udito, per la p e civile, l’Avv
Udit i dif sor Avv.

Data Udienza: 05/11/2015

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 15.10.2014, il Tribunale di Foggia – sezione distaccata di Lucera – condannava Celeste Giuseppe alla pena di C. 100,00 di ammenda in ordine al reato di cui all’art. 651
cod. pen. e lo assolveva dal reato di cui all’art. 337 cod. pen..
Le contestazioni concernevano le minacce nei confronti di tre agenti di Polizia Municipale di
Torremaggiore, che gli chiedevano i documenti della sua auto, parcheggiata in modo tale da

dell’intento di procurare loro una “brutta fine” se non si fossero allontanati (art. 337 cod. pen.)
nonché il rifiuto agli stessi di esibire documenti di identificazione ed indicazioni sull’identità
personale (art. 651 cod. pen.).
I Carabinieri intervenuti sul posto successivamente fornivano il documento d’identità al personale di Polizia Municipale, unitamente al carro attrezzi. Ciò consentiva agli agenti di identificare il predetto, che conoscevano solo di vista.
In ordine al reato di cui all’art. 337 cod. pen., il giudice di merito escludeva la possibilità di
qualificare le espressioni adoperate come minacce, ben potendo trattarsi di una mera non condivisione della decisione dei pubblici ufficiali.
In riferimento all’imputazione di cui all’art. 651 cod. pen., il Tribunale di Foggia evidenziava
che il reato si consumava col rifiuto di fornire le generalità ai pubblici ufficiali, non rilevando la
circostanza che le stesse fossero state acquisite in un momento successivo grazie ai Carabinieri
sopraggiunti nel luogo dei fatti.
Avverso la presente decisione Celeste Giuseppe proponeva personalmente ricorso per Cassazione, sotto un duplice profilo:
1. Vizio di motivazione per mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza
in ordine agli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 651 cod. pen..
Secondo il ricorrente, dall’esame della sentenza impugnata e delle risultanze istruttorie, la richiesta del pubblico ufficiale di conoscere le generalità era finalizzata alla mera elevazione di
un verbale di accertamento di una sanzione amministrativa e non, come previsto dalla fattispecie incriminatrice, per la prevenzione o la repressione di un reato o per la tutela dell’ordine
pubblico.
In proposito, rilevava che le proprie generalità erano già note agli agenti intervenuti, altrimenti non sarebbero stati in grado di citofonare a casa sua: gli erano richieste non le generalità, bensì i documenti specifici necessari per l’elevazione della contravvenzione stradale e, cioè,
la patente di guida ed il libretto di circolazione.
Secondo il ricorrente, tale vicenda emergeva con chiarezza dal “verbale di accertamento alle
norme di circolazione stradale del 13/11/2010 – verbale di contestazione”, prodotto dalla difesa
all’udienza dibattimentale del 05/06/2013, in cui si specificava che il trasgressore dichiarava
“non vi esibisco alcun documento, voi non siete dovuti a chiedermi í documenti, fate quello che

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impedire lo spostamento di altro veicolo in sosta regolare, attuate mediante la manifestazione

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volete”, intendendo con ciò rifiutarsi di esibire i documenti, non di declinare le generalità, peraltro raccolte nello stesso verbale di accertamento.
Il ricorrente asseriva la tesi dell’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, perché
era pronunziata anche l’assoluzione in ordine al reato di cui all’art. 337 cod. pen., per essere
stata ritenuta illegittima l’intera attività degli agenti.
2. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione in ordine alla mancata
concessione della sospensione condizionale della pena.

all’udienza di discussione del 15/10/2014, di concessione di ogni più ampio beneficio di legge,
l’organo giudicante non aveva riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale, senza
nessuna motivazione esplicita o implicita in ordine al diniego.
Chiedeva, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con o senza rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è parzialmente fondato.
In ordine al primo vizio prospettato, di mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza in ordine agli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 651 cod. pen., occorre rilevare che il giudice di merito, con adeguata ed esauriente motivazione, dava ampio conto della
sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie criminosa in esame.
Nel provvedimento impugnato, correttamente si rappresentava che il reato è configurabile
anche in relazione ad ipotesi in cui la richiesta di generalità sia formulata, al fine di elevare un
verbale di contravvenzione amministrativa.
Al riguardo va richiamato il condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo il quale il rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali,
che integra la condotta dell’omonima contravvenzione, non presuppone che il soggetto richiesto sia responsabile di un reato o di un illecito amministrativo (in termini, Cass.,
Sez. 1, 29/04/2011 n. 18592, De Angelis, Rv. 250269).
Inoltre, il giudice del merito chiariva che il reato in questione, di natura istantanea, si consuma immediatamente, col primo rifiuto di fornire le proprie generalità agli agenti di Polizia
Municipale, non rilevando la circostanza che solo in un momento successivo i Carabinieri intervenuti sul posto le comunicavano ai predetti.
Il reato previsto dall’art. 651 cod. pen., infatti, si perfeziona col semplice rifiuto di fornire al
pubblico ufficiale indicazioni sulla propria identità personale ed è, pertanto, irrilevante, ai fini
della configurazione dell’illecito, che tali indicazioni vengano fornite successivamente; la “ratio”
della norma incriminatrice consiste nell’evitare che l’attività della P.A. sia intralciata nell’identificazione della persona le cui generalità sono richieste nell’esercizio del potere discrezionale attribuito al pubblico ufficiale (conf. Cass., Sez. 1, 14/11/2014/09/03/2015 n. 9957, De Michele,
Rv. 262644).

Secondo la difesa, nonostante l’incensuratezza del proprio assistito e la richiesta formulata

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Inoltre, non si ravvisa nella motivazione la contraddizione prospettata dal ricorrente in riferimento alla contestuale assoluzione pronunziata dal giudice di merito in riferimento al reato di
cui all’art. 337 cod. pen., perché tale decisione si fondava esclusivamente sull’insussistenza
dell’elemento soggettivo, avendo il giudice ritenuto provato l’atteggiamento ostruzionistico del
Celeste e non riscontrato un comportamento prevaricatorio delle forze dell’ordine.
Il concorso formale tra i reati di cui agli artt. 651 e 337 cod. pen. è ammissibile, ma il reato
di resistenza a pubblico ufficiale non si configura per effetto del solo rifiuto di fornire le proprie
generalità o di esibire i propri documenti, trattandosi di fattispecie criminosa completamente

39227, Lettieri, Rv. 257083).
Tale motivo di impugnazione, pertanto, va rigettato.
E’ fondato, invece, il secondo motivo di impugnazione.
Esso riguarda la presunta mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione in
ordine al diniego di concessione della sospensione condizionale della pena, come rappresentato
dallo stesso ricorrente, dal verbale di udienza celebrata avanti al Tribunale di Foggia – atto al
quale questa Corte pure accede direttamente a fronte della natura della eccezione in oggetto risulta che in sede di discussione il difensore formulava una richiesta concernente la concessione di ogni più ampio beneficio di legge, da ritenere omnicomprensiva e, cioè, inerente sia alla
sospensione condizionale della pena che alla non menzione nel certificato del casellario giudiziale.
Tale richiesta era fondata sul rilievo dell’incensuratezza dell’imputato; l’organo giudicante
non forniva nessuna motivazione esplicita o implicita in ordine alle ragioni del rigetto.
Ebbene, l’esplicita istanza della difesa dell’imputato di applicabilità della sospensione condizionale imponeva ai giudici del merito di una puntuale seppur sintetica risposta e di pronunciarsi al riguardo. Tanto più era indispensabile tale responso, quando si osservi che la misura
della pena inflitta al ricorrente e l’assenza di precedenti penali ostativi non avrebbero precluso
la concessione del beneficio previsto dall’art. 163 cod. pen..
Nel caso in cui l’imputato abbia chiesto nelle conclusioni riportate a verbale, la concessione
della sospensione condizionale della pena e l’unico giudice del merito non abbia preso in considerazione tale richiesta, omettendo qualsiasi pronuncia sul punto, la sentenza impugnata deve
essere annullata in parte con rinvio, per difetto assoluto di motivazione, involgendo la questione valutazioni di merito non surrogabili in sede di legittimità (da ultimo, v. Cass.,
Sez. 6, 09/06/2015 n. 26539, Ciancio, Rv. 263917, in tema di omessa motivazione della Corte
di Appello su richiesta di sospensione condizionale formulata nei motivi di appello).
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata limitatamente all’omessa pronunzia sulla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e va disposto il rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Foggia. A tale pronunzia conseguono altresì il rigetto del
ricorso nel resto e la pronunzia di irrevocabilità della sentenza nella parte concernente la condanna in ordine al reato di cui all’art. 651 cod. pen..

diversa in astratto ed eventualmente susseguente alla prima (cfr. Cass., Sez. 6, 30/05/2013 n.

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PQM

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa pronunzia sulla sospensione condizionale della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Foggia. Rigetta il ricorso
nel resto. Dichiara la sentenza irrevocabile nella parte che concerne la condanna.

Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 novembre 2015.

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