Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6434 del 06/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6434 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: BIANCHI LUISA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PICONE CALOGERO N. IL 01/01/1975
avverso la sentenza n. 3286/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 29/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

Data Udienza: 06/11/2013

46391/2012

La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava quella
di primo grado con la quale Picone Calogero era stato condannato alla pena di
giustizia per omicidio colposo. Osservava tra l’altro la Corte di appello che era
pacifica la responsabilità della stessa vittima che, dopo un primo incidente, si trovava
all’interno della carreggiata senza indossare il giubbotto catarinfrangente; ma era
altrettanto sicura quella del Picone che pur avendo avvistato l’incidente e la chiara
segnalazione dello stesso da parte degli agenti intervenuti, non aveva in alcun modo
rallentato la velocità e non aveva visto il pedone, che caricava sulla parte anteriore
del proprio autocarro trasportandolo per alcune decine di metri e poi proiettandolo
oltre il guard-rail.
Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione l’ imputato lamentando la manifesta
illogicità della motivazione conseguente a palese travisamento di fatto. Sostiene che
risulta frutto di travisamento l’asserto secondo cui a pochi metri della vettura presso
la quale si intratteneva la vittima vi era una chiara segnalazione del precedente
sinistro; l’auto era buia e la vettura dei Carabinieri con il lampeggiante non era in
prossimità della stessa e della vittima ma piuttosto nella piazzola della opposta
carreggiatata; la mancanza di tracce di frenata è un dato privo di significato dal
momento che il rilievo era stato operato a seguito di pioggia recente; risultava
distonicq rispetto alle risultanze processuali l’affermazione secondo cui tutti i testi
avrebbero confermato l’assunto accusatorio dal momento che i testi non ebbero
percezione visiva dell’incidente, ma sentirono solo un colpo secco; non era per tale via
dimostrabile che l’imputato manteneva una velocità eccessiva e non si accorgeva della
vittima; viceversa non era stato possibile accertare la velocità del furgone ; anche il
nesso eziologico non era stato provato.
Con successiva memoria il ricorrente illustra ulteriormente la deduzione secondo cui la
ricostruzione del fatto è in contrasto con le prove assunte, riportando stralci di alcune
testimonianze.
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.
Ai sensi dell’art. 606 lett. e) cpp i vizi della motivazione (anche il travisamento dei
fatti deducibile sotto questo profilo) devono risultare “dal testo del provvedimento
impugnato” , mentre non possono derivare da un controllo della Corte di Cassazione
sulla interpretazione e valutazione delle prove, che è compito del giudice di merito.
Anche a seguito delle modifiche introdotte alli 606, comma primo, lett. e) cod. proc.
pen. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, il ricorso non può riguardare la verifica della
rispondenza delle argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle
acquisizioni processuali e non è consentito sollecitare alla Cassazione una rilettura
degli elementi di fatto, atteso che tale valutazione è riservata in via esclusiva al
giudice del merito. Il sindacato della Cassazione è limitato alla sola legittimità, sì che
esula dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, anche laddove venga prospettata dal ricorrente una
diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali.
Nella specie, nel formulare le proprie censure il ricorrente non evidenzia, come
imposto dalla legge, manifeste carenze o illogicità della motivazione, rese
immediatamente palesi dalla lettura della sentenza impugnata, ma argomenta sulla
possibile diversa interpretazione dei dati di fatto.

Motivi della decisione

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso fa seguito l’onere delle spese del
procedimento nonché del versamento di una somma in favore delle cassa delle
ammende che, anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n.186 del 2000,
stimasi equo fissare in 1000,00 euro.
p.q.m.
– dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento nonché al versamento di 1000,00 euro in favore delle cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 6.11.2013

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