Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6426 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6426 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LOJODICE OSCAR N. IL 02/06/1955
avverso la sentenza n. 9208/2014 GIP TRIBUNALE di BARI, del
15/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ‘ (O-4ì
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che ha concluso per _e t kkl_ kOutjuZ
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Udito, per la parte civile, l’Avv

Adit i difensor Avv.

Data Udienza: 11/11/2015

Rilevato che, con sentenza del 15 luglio 2014, il GIP presso il Tribunale di Bari ha
dichiarato, ex art. 425 c.p.p., non doversi procedere nei confronti di Lojodice
Oscar in ordine al reato di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000, per aver
fraudolentemente presentato le dichiarazioni dei redditi per l’anno 2004,
omettendo il reddito imponibile da lavoro autonomo per l’importo complessivo di
euro 1.936.280,00, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
che, avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio
difensore, ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 606 lett. b)

avrebbe dovuto essere prosciolto nel merito. In sede di discussione, si era infatti
evidenziato che l’imputato non aveva commesso il fatto in quanto un documento,
presente nel fascicolo del giudice, attestava la presenza di un provvedimento di
annullamento in autotutela dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle
Entrate di Bari; considerato che detto avviso di accertamento costituirebbe
l’unico presupposto dell’imputazione, il suo annullamento implicherebbe il venire
meno del processo penale, come del resto ritenuto dalla Commissione tributaria
provinciale di Bari in ordine ai ricorsi con cui l’imputato aveva contestato i
procedimenti avviati dall’Agenzia delle Entrate e da Equitalia, che ha dichiarato
cessata la materia del contendere; di conseguenza, vi sarebbero i presupposti
per dichiarare il proscioglimento nel merito dell’imputato;

Considerato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 23260
del 29/4/2015, Gori e altro, Rv. 263668; Sez. 4, n. 40799 del 18/9/2008, P.G.
in proc. Merli, Rv. 241474) non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di
motivazione della sentenza di proscioglimento emessa dal giudice dell’udienza
preliminare per intervenuta prescrizione ai sensi dell’art. 425 c.p.p., perché
l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito, dopo la pronuncia
di annullamento, è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di
proscioglimento stabilito dall’art. 129 c.p.p. Detto annullamento, tuttavia, può
giustificarsi, ma senza rinvio, solo nel caso in cui nel pronunciare il
proscioglimento per prescrizione, il giudice dia atto della sussistenza dei
presupposti per una pronunzia di proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 425
c.p.p., c. 3, atteso che, nel vigente sistema processuale, il proscioglimento per
insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto equiparato alla mancanza
di prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a quella di
estinzione del reato;
che va ribadito qui il principio che lo scopo dell’udienza preliminare, non a caso
definita “udienza filtro”, è quello di evitare dibattimenti inutili, non quello di
accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Con la conseguenza che, il
giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a

ed e) in relazione all’art. 129, comma 2, c.p.p. A parere della difesa, l’imputato

procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza di una situazione di
innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento a seguito
dell’acquisizione di nuovi elementi di prova o di una possibile diversa valutazione
del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede
espressamente l’art. 425 c.p.p., comma 3, “gli elementi acquisiti risultano
insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in
giudizio”. In effetti, proprio tale disposizione conferma che il criterio di
valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì

che, nella giurisprudenza di questa Corte, è consolidato l’orientamento secondo il
quale il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non
luogo a procedere, ex art. 606 c.p.p. comma 1, lett. d) o lett. e), non può avere
per oggetto gli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero, ma solo la
giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e, quindi, la riconoscibilità del
criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti
(in tal senso Sez. 2, n. 28743 del 14/5/2010, Orsini, Rv. 247860; Sez. 5, n.
15364 del 18/3/2010, Caradonna, Rv. 246874; Sez. 4, n. 2652/09 del
27/11/2008, Sorbello, Rv. 242500; Sez. 5, n. 14253 del 13/2/2008, Piras, Rv.
239493);
che, pertanto, il Giudice di legittimità ha il compito di verificare se il G.U.P. abbia
fatto un corretto esercizio del suo potere di prognosi riguardo agli eventuali
sviluppi del processo, ossia alla possibilità per il giudizio dibattimentale di offrire
elementi di prova ulteriori, ovvero di acquisire dati tali da pervenire a risultati
conoscitivi che permettano di chiarire la vicenda oggetto del giudizio ed al
Pubblico Ministero di sostenere l’accusa ai fini della eventuale pronuncia di
condanna;
che, pertanto quanto il G.U.P. abbia dato adeguata e logicamente coerente
motivazione circa la propria valutazione, resta preclusa alla Corte di legittimità
ogni pòssibilità di censura della decisione adottata e, tanto meno, la possibilità di
procedere ad una rilettura dei dati acquisiti durante le indagini, anche se
eventualmente integrati nel corso dell’udienza preliminare;
che, nel caso che ci occupa, il G.U.P. presso il Tribunale di Bari ha osservato che,
per un verso non risultava in atti la prova evidente della insussistenza del fatto
contestato all’imputato, e dall’altro per ciò che riguarda il documento prodotto
dalla difesa (attestante l’avvenuto annullamento in autotutela dell’avviso di
accertamento) ha precisato che non era stato possibile conoscerne la
motivazione, con la conseguenza che non era risultato acclarato se tale
annullamento fosse stato determinato da motivi di merito o meramente formali,

l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio;

con conseguente impossibilità di dedurre da tale elemento l’evidenza della
insussistenza dell’addebito penale;
che, alla luce di ciò, la doglianza difensiva in realtà finisce per sottoporre a
giudizio di legittimità la ricostruzione fattuale e la valutazione degli elementi
probatori già operata dal G.U.P., richiedendo a questa Corte di sostituirsi al
giudizio svolto dal G.U.P., e quindi di effettuare un giudizio di merito in questa
sede precluso;
che, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente deve essere

pagamento della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali ed al

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