Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6426 del 06/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6426 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DEPRETIS LEO N. IL 08/09/1970
avverso la sentenza n. 5910/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
11/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 06/11/2013

Osserva
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Depretis Leo avverso la sentenza
emessa in data 11.5.2012 dalla Corte di Appello di Milano che, in parziale riforma di
quella in data 1.6.2011 del Giudice monocratico del Tribunale di Como- Sezione
distaccata di Cantù, con la quale il predetto era stato condannato alla pena di mesi sei
di arresto ed € 1.500,00 di ammenda con revoca della patente di guida per il reato di
cui all’art. 186 comma 2° lett.c) C.d.S., annullava la revoca della patente e disponeva

legge.
Deduce il vizio motivazionale in relazione alla ritenuta utilizzabilità dei risultati viziati
dell’accertamento strumentale quale elemento indiziario del tasso alcolemico e
l’illogicità della sentenza laddove applicava l’accertamento sintomatico e la mancanza
dei presupposti per la configurazione dell’ipotesi più grave di cui alla lett. c) del
comma 2 dell’art. 186 C.d.S..
Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate.
Il ragionamento seguito dalla Corte territoriale in ordine alla integrazione della più
grave ipotesi di cui alla lett. c) dell’art. 186, 2° comma C.d.S., riposa su
argomentazioni congrue ed esenti da vizi logici o giuridici, correttamente accostando
all’accertamento sintomatico, quale mero elemento indiziario di supporto, l’esito sia
pur parziale ed invalido (probabile frutto dell’artatamente contenuta emissione di aria
da parte dell’imputato) dell’alcoltest, che diversamente avrebbe avuto valenza di
piena prova (il primo risultato inficiato da insufficiente essufflato- segnava 1,54 g/I
mentre il secondo -regolare- 1,63 g/I).
Nel caso di specie, del resto, le censure mirano ad una improponibile rivalutazione
della prova e si risolvono in deduzioni in punto di fatto, insuscettibili, come tali, di
aver seguito nel presente giudizio di legittimità, sottraendosi la motivazione della
impugnata sentenza ad ogni sindacato per le connotazioni di coerenza, di completezza
e di razionalità dei suoi contenuti.
Invero, si rammenta che il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come
modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la
Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del
processo”, non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio
di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa
prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una
rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove
acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità
di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”, finora
ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale
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la sospensione condizione della pena e la non menzione della condanna a termini di

la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del
contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti
onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”, senza travisamenti,
all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. IV, 19.6.2006, n. 38424). Ciò peraltro vale
nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto
nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie, il limite del

devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva
motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo
giudice (Cass. pen., sez. II, 15.1.2008, n. 5994; Sez. I, 15.6.2007, n. 24667, Rv.
237207; Sez. IV, 3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
ritiene equo liquidare in C 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di
inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 6.11.2013

l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei

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