Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6424 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6424 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALISTA GIOVANNI N. IL 13/03/1973
avverso la sentenza n. 887/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 01/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vf19
che ha concluso per t,
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Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’i luglio 2014, la Corte di appello sez. distaccata di Taranto
ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto del 24 marzo 2010 che aveva
dichiarato Calista Giovanni colpevole del reato di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74
del 2000, perchè, quale titolare della ditta omonima esercente attività di
rivestimento pavimenti e muri, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul
valore aggiunto, occultava tutte le fatture attive e passive relative agli anni dal
1998 al 2004, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume

pena di mesi sei mesi di reclusione.
2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, per il
tramite del difensore, lamentando la manifesta illogicità della motivazione, la sua
contraddittorietà e mancanza, in quanto l’imputato aveva dedotto in appello la
propria estraneità all’accaduto avendo egli ceduto la ditta nel 2004 al fratello,
divenuto titolare della ditta 11 gennaio 2005, come acclarato dall’esame del teste
M.Ilo Lo Destro, per cui tutti gli adempimenti contabili omessi da tale data non
possono essergli addebitati, non potendosi condividere la considerazione operata
dalla Corte di appello in merito alla individuazione del tempus commissi delicti
alla data di accertamento .

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso risulta manifestamente infondato perché, oltre alla genericità, lo
stesso ripropone una censura già puntualmente valutata in sede di gravame con
motivazione congrua ed esaustiva, avendo i giudici di appello evidenziato, che le
fatture delle quali si contesta l’occultamento risultavano tutte emesse in data
anteriore al 15 giugno 2004, per cui gli adempimenti contabili omessi facevano
carico al ricorrente in quanto titolare della ditta, il quale era tenuto alla
conservazione.
2. Risulta peraltro del pari manifestamente infondata la doglianza in ordine alla
scorretta determinazione del momento consumativo del delitto di occultamento
della documentazione contabile. Sullo specifico tema, questa Corte ha affermato
il principio secondo il quale tale reato (art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74),
consiste nella indisponibilità (temporanea o definitiva) della documentazione
richiesta da parte degli organi verificatori ed ha natura di reato permanente,
posto che la condotta penale perdura sino al momento dell’accertamento fiscale;
ciò in quanto il reato si consuma nel momento dell’ispezione, quando gli agenti
chiedono di esaminare detta documentazione.
3. La evidente inammissibilità del ricorso, impedendo l’istaurarsi di un valido
rapporto impugnatorio, preclude la rilevazione e declaratoria del sopravvenuto
spirare (successivo all’impugnata decisione di secondo grado) del termine di

di affari (fatto accertato in Taranto il 22 giugno 2006 e lo aveva condannato alla

prescrizione per il reato ascritto al ricorrente, dovendosi considerare che,
essendo il

tempus commissi delicti coincidente, come detto, con la data

dell’accertamento, è a tale momento che si deve fare riferimento per
l’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione (tra le
altre, Sez. 3, n. 5974/13 del 05/12/2012, P.G. in proc. Buonocore, Rv. 254425;
Sez. 3, n. 3055/08 del 14/11/2007, Allocca, Rv. 238612), pertanto, considerato
il termine lungo di prescrizione (sette anni e mezzo) ed il periodo di sospensione
(dal 9 luglio 2013 luglio 2014), il reato non era affatto prescritto – come i

secondo grado.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali ed al
pagamento della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2015

Il Presidente

giudici di appello ebbero correttamente a rilevare – all’esito del giudizio di

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