Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6407 del 22/11/2012
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6407 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: SAVANI PIERO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) CORVASCE VITO N. IL 16/06/1960
avverso la sentenza n. 1324/2011 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 16/02/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;
Data Udienza: 22/11/2012
IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro, rideterminata la pena, ha confermato
nel resto, la sentenza emessa in data l° ottobre 2009 dal Giudice dell’Udienza preliminare del
Tribunale di Cosenza, appellata da CORVASCE Vito, dichiarato responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta, commesso il 30 marzo 2005.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sulla responsabilità
per non aver la Corte territoriale considerato la documentazione relativa al deterioramento della
merce non reperita dalla procedura e sull’entità della pena.
Osserva il Collegio che le censure prospettate con il primo motivo sono inammissibili in quanto
tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito e
già adeguatamente valutati sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello.
Nel caso in esame, difatti, i giudici del merito hanno osservato che la prova del fatto ascritto
all’imputato riposava nel mancato reperimento di beni che sarebbero dovuti essere nel patrimonio della fallita, mentre non se era ritrovata traccia alcuna e come non avesse particolare rilievo
l’intervenuto deterioramento di parte dei beni perché di quelli il curatore non aveva tenuto conto
nell’effettuare il raffronto fra i beni esistenti nel patrimonio della società e quelli in concreto rinvenuti.
Quanto al trattamento sanzionatorio la Corte si è attestata in modo non censurabile, almeno dall’imputato, sui minimi edittali con le diminuzioni massime per attenuanti generiche oltre al rito.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in E. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di E. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 22 novembre 2012.
”