Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6406 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6406 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORTAREZZA MATTEO N. IL 18/08/1962
avverso l’ordinanza n. 84/2007 CORTE APPELLO di BARI, del
08/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere D tt. UMBERTO
MASSAFRA;
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4Afiffiritite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 11/12/2013

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Ritenuto in fatto
Con istanza tempestivamente presentata Fortarezza Matteo chiedeva alla Corte di
Appello di Bari la liquidazione, ai sensi degli artt. 314 e segg. c.p.p, della riparazione
per l’ingiusta detenzione, subita dal 12.1.2003 al 23.6.2003 in carcere e dal 23.6.
2003 al 2.1.2004 agli arresti domiciliari, nell’ambito di un procedimento penale, in
relazione ai delitti a lui contestati, di cui agli artt. 81, 73 d.P.R. 309/90, instaurato nei
suoi confronti e definito poi con sentenza di assoluzione con formula ampia, emessa
dal Tribunale di Foggia in data 25.2.2005, divenuta irrevocabile in data 16.7.2005.

dall’istante ritenendo che il richiedente avesse contribuito, con colpa grave,
all’emissione ed al mantenimento del provvedimento restrittivo, disposto nei suoi
confronti e che pertanto non poteva essere liquidata alcuna somma a titolo di
riparazione per ingiusta detenzione.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per Cassazione Fortarezza Matteo, unitamente
al suo difensore di fiducia, deducendo che la Corte non aveva adeguatamente
motivato in ordine alla sussistenza del presupposto del dolo o della colpa grave del
richiedente che costituiva causa impeditiva per il riconoscimento dell’importo previsto
per la riparazione dell’ingiusta detenzione subita e che non era stata valutata la
possibilità che la colpa del richiedente di grado lieve e non impediva quindi la
concessione dell’indennizzo.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta in cui ha sostenuto la
fondatezza del ricorso, ha concluso, quanto al merito, per il rigetto del ricorso (palese
lapsus calami).
E’ stata depositata una memoria nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle
Finanze ad opera dell’Avvocatura generale dello Stato.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.
La Suprema Corte ha ritenuto che “in tema di riparazione per ingiusta detenzione il
giudice di merito deve valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o
violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il
giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su
mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la
perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia
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La Corte di Appello, con ordinanza in data 8.3.2012, rigettava l’istanza proposta

stato il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto” (Cass. pen. Sez. Un.
26.6.2002 n. 34559 Rv. 222263).
Inoltre, è stato affermato che la nozione di colpa grave di cui all’art. 314 comma 1
c.p.p. va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere,
per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di
leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non

nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà
personale (tra le altre, Cass. pen. Sez. IV, 15.2.2007, n. 10987, Rv. 236508).
Nel caso di specie l’ordinanza impugnata non applica correttamente tali principi.
Invero, il ricorrente era stato tratto in arresto in forza di ordinanza cautelare per il delitto
di cui agli artt. 81 e 73 e d.p.r. n.309-90. Il Tribunale di Foggia, con sentenza emessa
in data 25.2.2005, divenuta irrevocabile, aveva assolto l’istante dai delitti ascrittigli,
ritenendo che il Fortarezza era intestatario, secondo il teste Ammirati, “di un’utenza
telefonica risultata di interesse nel corso delle indagini. Non c’è tuttavia alcun
elemento sulla identificazione rimessa al riconoscimento fatto dal personale
procedente. Tale dato era assolutamente inidoneo a fondare un’affermazione di
responsabilità penale. Non si trattava di una conoscenza fondata sulla abituale
frequentazione della persona e sull’ascolto della voce ripetuta al telefono, sulla base
della quale potrebbe ritenersi attendibile il riconoscimento che comunque
assurgerebbe a valore di mero indizio”.
La Corte di Appello di Bari, però, rileva che l’emissione ed il mantenimento del
provvedimento restrittivo aveva, anche, avuto causa nella condotta gravemente
colposa del ricorrente, richiamando a tal fine il riconoscimento vocale operato dalla
Polizia giudiziaria in alcune conversazioni in atti con coimputati ribadendo che la veste
qualificata del personale investigativo postosi all’ascolto di quelle conversazioni e alla
circostanza che le stesse riguardavano un’utenza telefonica riconducibile al

voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi

Fortarezza, rendevano attendibile il riconoscimento vocale operato dalla polizia
giudiziaria, così inammissibilmente invadendo il campo di esclusiva pertinenza del
giudice del merito laddove rivaluta il materiale probatorio in modo difforme da quello,
ed il silenzio serbato dall’istante, nel corso dell’interrogatorio di garanzia e poi nel
corso del procedimento a suo carico, silenzio tale da ingenerare sospetti in ordine al
ruolo da lui svolto e sui rapporti intercorsi con i coimputati.
La Corte, nel suo provvedimento non chiarisce, però, quali siano stati i comportamenti
colposi o dolosi del ricorrente e quale sia stata, oltre alle dichiarazioni difensive ed
oltre al riconoscimento vocale, che non era stato, però, ritenuto attendibile nel corso
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del giudizio di merito, e che ha comportato come conseguenza la piena assoluzione
dell’istante.
La Corte di Appello omette di spiegare se e in qual modo il comportamento posto in
essere dal ricorrente abbia avuto efficienza causale sull’adozione o sul mantenimento
della misura cautelare dal momento che le sole dichiarazioni rese dall’imputato o il
silenzio da questi prestato, nell’ambito della sua strategia difensiva, non possono
costituire di per sé sole indice di comportamento doloso o colposo in grado di avere

sentenza di merito era pervenuta ad un giudizio assolutorio nei confronti dell’istante
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afferma l’inattendibilità del riconoscimento vocale operato dalla polizia giudiziaria,
nell’ambito delle conversazioni telefoniche poste a carico dell’istante. La Corte di
appello ha formulato la sua decisione basandosi solo sulla circostanza che l’indagato
si era avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia, senza
indicare quali siano le circostanze non indicate dall’istante e che potevano comportare
la sua immediata scarcerazione.
Peraltro, si è affermato che “in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini
dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa della colpa grave
dell’interessato, non può attribuirsi rilievo “ex se” al silenzio serbato nel corso
dell’interrogatorio, tenuto conto dell’insindacabile diritto al silenzio attribuito alla
persona sottoposta alle indagini e all’imputato; peraltro, il mancato esercizio di una
facoltà difensiva da parte dell’interessato, che si risolva nell’omessa allegazione di
fatti risolutivamente favorevoli a lui noti, pur non potendo essere da solo posto a
fondamento del giudizio di sussistenza della colpa grave, può però valere a far
ritenere l’esistenza di un comportamento omissivo causalmente efficiente nel
permanere dell’indebita detenzione, del quale può tenersi conto nella valutazione
globale della condotta in presenza d’altri elementi di colpa.” (Cass. pen. Sez. IV,
13.5.2008, n. 26686 e Sez. IV, 18.3.2003, n. 16370).
Orbene, è innegabile come non si possano rinvenire a carico del ricorrente, sulla
scorta della motivazione dell’impugnata ordinanza, altri concreti elementi di colpa,
diversi dal silenzio serbato in sede d’interrogatorio di garanzia, onde deve riconoscersi
l’insufficienza motivazionale del detto provvedimento. Invero, nello stesso non
vengono indicate le circostanze a carico dell’istante, quali siano stati i suoi rapporti
con i coindagati o suoi comportamenti colposi che potevano avere inciso
sull’emissione del provvedimento cautelare emesso. Nè la Corte ha segnalato quali
circostanze l’indagato abbia taciuto, che potevano comportare uno sviluppo delle
indagini ed una diversa valutazione degli indizi posti a suo carico: non sono state
individuate quindi le condotte dolose o gravemente colpose abbia posto in essere il
ricorrente, oltre le dichiarazioni difensive o il silenzio prestato dall’istante, che abbiano
avuto incidenza causale sull’adozione della misura cautelare dal momento che il
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incidenza sull’emissione della misura custodíale, tenuto conto, inoltre, che la stessa

riconoscimento vocale operato dalla polizia giudiziaria è stato ritenuto inattendibile dai
giudici di merito. Nel provvedimento non viene indicato inoltre se ed in che modo
l’eventuale condotta dell’istante ha influito sull’emissione ed anche sul mantenimento
del provvedimento restrittivo, disposto nei sui confronti, considerata la lunga
detenzione da questi subita (dal 12.1.2003 al 23.6.2003 in carcere e poi sino al
2.11.2004 agli arresti domiciliari).
Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di
Bari alla quale si deve rimettere anche il regolamento delle spese del presente

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Bari cui rimette anche
il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, addì 11.12.2013.

giudizio tra le parti.

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