Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6386 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6386 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Keka Shkelzen, nato in Albania il 07/05/1993
avverso l’ordinanza del 02/07/2013 del Tribunale della libertà di Trento

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola
Lettieri, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per gli imputati l’avv.

Data Udienza: 04/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 2 luglio 2013, il Tribunale della libertà di
Trento accoglieva, per quanto di ragione, l’istanza di riesame proposta
nell’interesse di Shkelzen Keka, riformando l’ordinanza di custodia cautelare in
carcere emessa dal Gip del locale Tribunale e sostituendo la misura intramuraria
con quella degli arresti domiciliari.

riferimento ai reati previsti dagli artt. 73, 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (per
aver venduto, tra l’altro ed a più riprese, sostanza stupefacente del tipo
marijuana ad Elezi Hekuran che poi quest’ultimo rivendeva in singole dosi ad
altre persone) e dall’art. 629 cod. pen. (perché, al fi ne di procurarsi l’ingiusto
profitto del negozio di cui alle precedenti cessioni in favore di Elezi Hekuran,
obbligava quest’ultimo a pagare 2.200,00 euro, materialmente erogati dalla
madre Elezi Aferdita, a saldo del debito di droga fornita da Cuberi per il tramite
del Keka, mediante minaccia consistita nel prospettargli danni alla incolumità
fisica) ed il Tribunale del riesame, siccome la gravità indiziaria fondava sulle
dichiarazioni rese da un coindagato (Elezi Hekuran) ed assunte senza le garanzie
difensive, dichiarava la inutilizzabilità di esse, limitatamente al reato di cui all’art.
73 d.P.R. 309 del 1990 ma non anche per il reato di estorsione sul rilievo che,
quanto a quest’ultima contestazione cautelare, il dichiarante fosse persona
offesa e dunque soggetto che avrebbe potuto assumere la qualità di testimone,
in mancanza di qualsiasi ipotesi di connessione o di collegamento probatorio tra
il reato di droga e quello di estorsione.
Con la conseguenza che le dichiarazioni rese da Elezi Hekuran, nella qualità
di persona offesa del reato di estorsione, dovevano ritenersi pienamente
utilizzabili quale fonte di prova di tale reato ed esse avevano trovato riscontro
convincente nelle dichiarazioni rese sul punto dal parroco Nicola Belli e dal padre
di Elezi Hekuran, il quale aveva confermato di aver corrisposto, facendoli portare
dalla propria moglie, a Keka Shkelzen la somma di 2.200,00 euro per saldare il
debito del figlio.
Confermando quindi la gravità indiziaria per la provvisoria imputazione
relativa al reato estorsivo e ritenendo che le esigenze cautelari fossero
salvaguardate con la misura degli arresti domiciliari, il Tribunale del riesame
riformava, nei sensi predetti, l’impugnata ordinanza.

2. Per il cui annullamento ha personalmente proposto ricorso per cassazione
Keka Shkelzen, sollevando due specifici motivi di gravame.

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Il provvedimento restrittivo a carico del ricorrente era stato emesso con

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. in riferimento agli articoli 63, 64, 350,
12, 371 lett. b), 500, comma 2, cod. proc. pen.
Lamenta il ricorrente come il Tribunale del riesame abbia, in ordine alle
dichiarazioni rese dal coindagato, Elezi Hekuran, ritenuto che le stesse non
fossero state assunte con le garanzie difensive, nonostante esistessero elementi
che sin dall’inizio ne imponevano l’assunzione garantita, con la precisazione che
le dichiarazioni auto ed etero accusatorie dell’indagato Elezi, assunte in assenza

spontanee e, non potendosi quindi applicare la disposizione dell’art. 350, comma
7, cod. proc. pen., dovevano ritenersi inutilizzabili; salvo poi lo stesso Tribunale
a ritenere le medesime dichiarazioni viceversa utilizzabili, con riferimento al
reato estorsivo, qualificando quelle stesse propalazioni come spontanee e
ritenendole perciò utilizzabili e valorizzabili poiché l’Elezi rivestiva la posizione di
persona offesa dal reato.
In tale modo, ad avviso del ricorrente, il Tribunale del riesame incorreva in
una grave contraddizione, ritenendo, da un lato, le dichiarazioni dell’Elezi
inutilizzabili, patologia rilevabile d’ufficio, e riteneva, dall’altro, le medesime
dichiarazioni, contenute peraltro non in un apposito verbale ma in
un’annotazione di servizio, utilizzabili in quanto dichiarazioni spontanee e
pertanto processualmente valorizzabili.
Assume il ricorrente come la motivazione del Tribunale del riesame sarebbe
anche affetta da palese illogicità, non essendo possibile che la stessa fonte
indiziaria prima sia ritenuta acquisita in violazione di legge e, immediatamente
dopo, sia ritenuta legalmente acquisita.
Neppure corretta sarebbe, secondo il ricorrente, la motivazione contenuta
nell’impugnata ordinanza nella parte in cui esclude qualsiasi connessione o
collegamento probatorio tra il reato di droga ed il reato estorsivo, risultando
dagli atti del processo, specificamente indicati, come il reato estorsivo sia la
conseguenza del mancato pagamento di un pregresso debito di droga, non
comprendendosi pertanto come il Tribunale abbia potuto ritenere detti reati tra
di loro non collegati, pur essendo il collegamento tra gli stessi ex art. 12 e 371,
comma 2, lett. b) e c), cod. proc. pen. assolutamente pacifico, come dimostrato
dalla natura della contestazione delittuosa.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b) e lett. e), cod. proc. pen. in riferimento all’art. 192 cod. proc.
pen., lamenta come le dichiarazioni indiziarie a carico del Keka, rese da
Sperandio e da Elezi Hekuran, rechino numerose contraddizioni ed
incongruenze.

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del difensore e degli avvisi di legge, neppure potevano considerarsi realmente

Hekuran si sarebbe accreditato come un consumatore ingenuo ed
occasionale di marijuana dal mese di gennaio 2012, mentre numerosi fonti di
prova, specificamente indicate, hanno tratteggiato una figura di spacciatore sin
dall’autunno del 2011.
Rileva infine il ricorrente come strana e sospetta sarebbe poi la comunanza
e la vicinanza tra l’Elezi e lo Sperandeo, il quale avrebbe a più riprese
spalleggiato il primo, con la conseguenza che la loro attendibilità intrinseca deve
ritenersi assolutamente compromessa non potendo perciò gli indizi a carico del

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato in accoglimento del primo motivo di gravame nei limiti/
sulla base delle considerazioni che seguono.

2. Il Tribunale ha, in premessa, escluso che il dichiarante, Elezi Hekuran,
abbia reso dichiarazioni spontanee alla polizia giudiziaria, essendo stato da
questa sollecitato a fornirle.
Ha pertanto dapprima ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni accusatorie
formulate nei confronti del ricorrente, nella parte in cui questi era stato accusato
di aver ceduto sostanze stupefacenti all’Hekuran, correttamente stigmatizzando
che le dichiarazioni non fossero state comunque verbalizzate ed inferendo da ciò
un ulteriore aspetto dell’inutilizzabilità di esse, ed ha successivamente escluso
che le informazioni, definite spontanee, ricevute e trasfuse in un’annotazione di
polizia fossero inutilizzabili, in mancanza di una connessione ex art. 12 cod. proc.
pen. e di un collegamento probatorio ex art. 371 bis, comma 2, lett. b), cod.
proc. pen. tra il reato di cessione a terzi di sostanza stupefacente, attribuito a
Elezi Hekuran ed i cui indizi di reità erano già emersi sin dal primo contatto con
la polizia giudiziaria, ed il reato di estorsione con riferimento al quale l’Hekuran
figurava come persona offesa perché costretto dal ricorrente a corrispondere
somme di denaro quale corrispettivo della vendita a lui fatta di sostanza
stupefacente.
2.1. A tali conclusioni, il Tribunale del riesame di Trento è giunto seguendo
l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 1282 del
09/10/1996 (dep. 13/02/1997), Carpanelli, Rv. 206846) che, quanto all’esegesi
dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., hanno sottolineato come, al fine di una
completa oltre che corretta interpretazione della norma in questione, essa vada
esaminata nel contesto delle altre disposizioni del codice di rito (art. 197 lett. a)
e b), 208, 210 cod. proc. pen.), le quali, nel disciplinare la posizione
dell’imputato e del coimputato dello stesso reato o dell’imputato di reato
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Keka fondarsi sulle dichiarazioni di tali controversi personaggi.

connesso o collegato, attuano il principio del diritto al silenzio, con la
conseguenza che l’incapacità a testimoniare di tali soggetti e la correlativa
disciplina del loro esame con le garanzie difensive e la facoltà di non sottoporvisi,
riguardano l’intero contenuto dei temi oggetto di esame, quindi sia ciò che
attiene alla propria posizione, sia i fatti che riguardano quei terzi che assumono
la veste di coimputato dello stesso reato o di imputato di reato connesso o
collegato.
Tanto sul fondamentale rilievo, evidenziato dalle Sezioni Unite Carpanelli,

nei confronti degli altri che si trovano in una posizione processuale in vario modo
legata alla propria (concorso nel reato, attribuzione di reato connesso o
collegato), può riferire circostanze che per l’intima connessione e
interdipendenza tra il fatto proprio e quello altrui, possono coinvolgere la sua
responsabilità ed indurlo, anche per questo solo motivo, ad esercitare il diritto al
silenzio, che gli viene riconosciuto per il principio «nemo tenetur se detegere».
Il che non si verifica, secondo le Sezioni Unite, nell’ipotesi in cui il soggetto sia
imputato, nello stesso o in altro processo, per un reato o per reati che non
abbiano alcun legame processuale con quelli per cui si procede, rispetto ai quali
la sua posizione è di totale estraneità e indifferenza ed è quindi quella del
testimone.
Da ciò discende che in tanto può intervenire il regime di inutilizzabilità
assoluta di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., in quanto le dichiarazioni
provengano da persona a carico della quale sussistevano indizi in ordine allo
stesso reato o a reato connesso o collegato attribuito al terzo e che tali
dichiarazioni avrebbe avuto il diritto di non rendere se fosse stato sentito come
indagato o imputato.
Restano quindi escluse dal divieto, in quanto al di fuori dell’ambito di
applicazione della norma, le dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal
dichiarante in reati diversi, non connessi o non collegati con quello o quelli in
ordine ai quali esistevano indizi a carico del dichiarante stesso, poiché in tal caso
costui assume la veste di testimone.
Da tali coordinate la successiva giurisprudenza di questa Corte non si è
discostata (Sez. 2, n. 45566 del 21/10/2009, Buonanata, Rv. 245630 e Sez. 2,
n. 10765 del 26/02/2010, Gentile, Rv. 246730) ed il Tribunale di Trento ha
evidenziato come la sanzione dell’inutilizzabilità ex art. 63, comma 2, cod. proc.
pen. sarebbe malamente invocata nei casi, come nella specie, in cui il dichiarante
non fosse indagabile per i reati commessi dai soggetti terzi a suo danno, avendo
egli denunciato fatti e reati diversi da quelli che lo riguardano ossia, nella specie,
dalla cessione delle sostanze stupefacenti (da un lato vi è infatti l’estorsione,
quantunque originata dai mancati pagamenti di pregresse forniture eseguite al
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che taluno di questi soggetti, nel momento in cui rende dichiarazioni accusatorie

dichiarante, mentre, dall’altro lato, ci sarebbero le cessioni della droga a terzi),
né fosse, con tutta evidenza, indagabile per reato connesso ex art. 12, lett. a) e
c), cod. proc. pen. a quello attribuito al terzo e neppure essendovi tra i detti reati
collegamento probatorio ex art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., perché
la prova che il dichiarante avesse successivamente ceduto a terzi la sostanza
stupefacente a sua volta acquistata dal ricorrente non prova che quest’ultimo sia
responsabile dell’estorsione e viceversa, sicché non sarebbe sostenibile che, nella
specie, la prova di un reato influisca sulla prova dell’altro o che un reato sia il

alcuna reciproca influenza tra loro e senza che l’una rafforzi o indebolisca la
valenza dell’altra.
2.2. Senonché, come fondatamente lamenta il ricorrente, il Tribunale ha
utilizzato, ai fini cautelari, dichiarazioni non verbalizzate ed inserite in
un’annotazione della polizia giudiziaria.
Va premesso come alla Corte sia stata trasmessa soltanto copia
dell’informativa della stazione Carabinieri di Canal San Bovo prot. n. 54/10/2012 del 5 novembre 2012, dalla quale si evince come le dichiarazioni rese da
Elezi Hekuran fossero confermative di altre dichiarazioni già dallo stesso riferite
alla polizia giudiziaria, che le aveva assunte, in una seconda occasione di
contatto con il dichiarante, inglobandole in una annotazione di polizia giudiziaria
costituente l’allegato 4 della suddetta informativa, allegato, al pari degli altri,
non trasmesso a corredo degli atti inviati alla Corte.
Trattandosi di fatti già precedentemente riferiti oralmente alla polizia
giudiziaria, dietro sollecitazione di questa, è da escludere che dette dichiarazioni
possano qualificarsi spontanee, risultando solo che il dichiarante abbia voluto
duplicare le occasioni per riferirle, senza che, sia nella prima che nella seconda di
tali occasioni, le stesse fossero verbalizzate o fosse nota la ragione di una tale
omessa verbalizzazione.
Dagli atti processuali neppure emerge che la polizia giudiziaria le abbia
definite spontanee o che il Tribunale abbia accertato, anche d’ufficio, sulla base
di tutti gli elementi a sua disposizione, la effettiva natura di esse, dandone atto
con motivazione congrua ed adeguata, del tutto assente nel provvedimento
impugnato.

3. Ciò posto, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte, seppure con
diverse oscillazioni, anche recenti (Sez. 2, n. 150 del 18/10/2012 (dep.
04/01/2013), Andreicik, Rv. 254678), è nel senso di ritenere, come lo stesso
Tribunale ha mostrato di condividere seppure limitatamente al reato di cui all’art.
73 legge stup., che le dichiarazioni accusatorie non verbalizzate, ma raccolte
dalla polizia giudiziaria in una nota informativa, devono considerarsi acquisite in
6

presupposto dell’altro, trattandosi di prove indipendenti le une dalle altre senza

violazione dei divieti stabiliti dalla legge e ricomprese nell’ipotesi di inutilizzabilità
patologica di cui all’art. 191 cod. proc. pen., con conseguente impossibilità che
esse fondino l’emissione di una misura cautelare (Sez. 2, n. 6355 del
25/01/2012, Barbato, Rv. 252104) perché, sulla base dei principi fondanti il
diritto delle prove penali in un sistema processuale accusatorio, le stesse non
potranno mai essere utilizzate in dibattimento e ciò rende tali dichiarazioni
inutilizzabili anche ai fini dell’emissione di una misura cautelare, in quanto deve
di regola escludersi che possano costituire il supporto motivazionale di un

prognosi di probabilità della colpevolezza dell’imputato (Sez. 6, n. 21937 del
01/04/2003, Casaburro, Rv. 225681).
Esse possono tuttavia essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari,
ma solo come indizio di reato e stimolo ed oggetto di ulteriori investigazioni,
mentre una loro utilizzazione dibattimentale, pure ai limitati fini della
contestazione di cui all’art. 503, comma 3, cod. proc. pen. è possibile soltanto se
le dichiarazioni siano state verbalizzate secondo quanto è richiesto dall’art. 357,
comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 107 del 18/01/1993, Modafferi, Rv.
194502).
Ne consegue che se tali dichiarazioni non sono suscettibili in alcun modo di
concorrere alla formazione di un quadro probatorio che sorregga in generale il
giudizio di colpevolezza dell’imputato, non possono neppure costituire il quadro
cautelare che deve sorreggere una misura limitativa della libertà personale o
reale.
Invero, senza incorrere nella violazione del principio di tassatività di cui
all’art. 191 cod. proc. pen., la giurisprudenza di questa Corte, il cui orientamento
il Collegio condivide, ha chiarito come nella disciplina della disposizione debbano
essere ricompresi tanto i divieti espliciti quanto i divieti impliciti individuati nelle
norme che subordinano il compimento o l’uso di un atto a particolari forme, casi
o presupposti, ponendo così una proibizione implicita per tutti quelli non
contemplati, in vista di una utilizzazione che incide così pesantemente sui diritti
personali e patrimoniali delle persone (Sez. 2, n. 6355 del 25/01/2012, cit.).
L’opposto orientamento fa invece leva sul fatto che la mancata
verbalizzazione da parte della polizia giudiziaria di dichiarazioni da essa ricevute,
in contrasto con quanto prescritto dall’art. 357 cod. proc. pen., non le rende
nulle o inutilizzabili in quanto nessuna sanzione in tal senso è prevista da detta
norma, sicché salvi i limiti di cui all’art. 350, commi 6 e 7, cod. proc. pen.,
l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria può fare relazione del loro contenuto
all’autorità giudiziaria e rendere testimonianza “de relato” (Sez. 2, Sentenza n.
150 del 18/10/2012, cit.).

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provvedimento cautelare in genere, non essendo idonee a formulare alcuna

Va tuttavia considerato, tanto che lo stesso Tribunale in altra parte del
provvedimento se ne è opportunamente fatto carico, come, in una materia così
delicata che involge direttamente i rapporti tra il cittadino e l’autorità di polizia,
con la quale il primo venga, neppure sua sponte, in contatto, non vada
trascurata la ratio sottesa al governo di tali rapporti, secondo i capisaldi dello
Stato di diritto e dei quali il sistema processuale non si disinteressa.
Le stesse Sezioni Unite Carpanelli hanno infatti spiegato come la sanzione
dell’inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni

contra se e contra alios sia

dovendosi evitare che siano svolte indagini informali, le quali volutamente
ignorino l’esistenza di indizi di reità a carico del dichiarante, ed anche evitare,
attraverso la deliberata omissione di attività espressamente richieste dal codice
di rito, il pericolo di ottenere dichiarazioni compiacenti o negoziate a carico di
terzi.
Ne consegue che, indipendente dall’ambito di operatività dell’art. 63, commi
1 e 2, cod. proc. pen. così come delineato dalle Sezioni Unite, alle quali il giudice
di merito si è uniformato, non è indifferente al sistema processuale, ai fini
dell’utilizzabilità o meno delle informazioni raccolte dalla polizia giudiziaria
attraverso il contatto provocato con il cittadino sia esso indagato o persona
informata sui fatti, l’inosservanza delle regole che governano il procedimento di
formazione degli elementi di prova nel corso delle indagini preliminari.
Una riprova in tal senso è fornita proprio dai casi in cui è la stessa legge
processuale (come per le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato, per le quali
è comunque prevista la documentazione ai sensi dell’art. 357, comma 2, lett. b)
cod. proc. pen.) a prevedere una utilizzazione nel corso delle indagini preliminari
di atti che, in mancanza di una espressa previsione, non lo sarebbero.
Diversamente si rischierebbe di dare rilievo processuale, come è accaduto in
altre analoghe situazioni, ad atti processuali compiuti eludendo obblighi di legge,
dunque con un tasso di legalità della “prova” più basso, mentre sarebbero in
parte inutilizzabili quelli posti in essere rispettandoli (v. Corte Cost., sentenza n.
305 del 2008).
Occorre pertanto dare continuità al segnalato orientamento (Sez. 2, n. 6355
del 25/01/2012, cit.) secondo il quale, per individuare i casi di inutilizzabilità
fissati dal legislatore nel rispetto del principio di tassatività che immancabilmente
governa l’art. 191 cod. proc. pen., bisogna considerare come “divieti”, sia le
proibizioni esplicite (del tipo «è vietato», «non è ammesso», «non possono
essere utilizzati»), quanto le norme che subordinano il compimento o l’uso di un
atto a particolari forme, casi o presupposti, ponendo in tal modo un divieto
implicito per tutti quelli che si discostino dalla fattispecie tipo.

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predisposta in funzione deterrente rispetto all’uso di prassi illiberali, distorte,

Va conclusivamente chiarito che tuttavia non possono essere colpiti dalla
sanzione dell’inutilizzabilità i casi in cui il dichiarante, legittimamente richiesto,
rifiuti di verbalizzare le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, perché in tali
ipotesi le annotazioni da questa redatte e contenenti, tra l’altro, la sintesi di
dichiarazioni direttamente percepite dall’ufficiale di polizia giudiziaria, rese
oralmente dalle parti offese di un delitto, costituiscono la doverosa
documentazione di attività di indagine, che in siffatti casi è riconducibile
all’espletamento di compiti istituzionali (Sez. 1, n. 16411 del 03/03/2005,

Nel caso di specie non risulta che tale evenienza si sia verificata, con la
conseguenza che l’annotazione di polizia sulla cui base il Tribunale ha fondato la
gravità indiziaria a carico del ricorrente deve ritenersi inutilizzabile anche ai fini
cautelari e, non potendo la Corte direttamente dare corso alla prova di resistenza
per verificare se gli ulteriori atti possano giustificare o meno il giudizio di
probabile colpevolezza, il provvedimento impugnato deve dunque essere
annullato con rinvio al Tribunale di Trento, venendo a cadere una parte
consistente degli elementi posti a base dell’ordinanza impugnata.
Il Giudice del rinvio dovrà perciò valutare se, senza tener conto degli atti di
polizia in precedenza richiamati, residuino, dagli altri elementi menzionati nel
provvedimento impugnato e/o nella primitiva ordinanza cautelare, spunti
sufficienti per sostenere l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del
Keka Shkelzen in ordine al reato estorsivo, tipica valutazione di merito che va
rimessa al giudice a quo.
Inutilizzabili le dichiarazioni rese da Elezi Hekuran, dapprima trasfuse
nell’annotazione di polizia giudiziaria e successivamente nell’informativa di reato,
il secondo motivo di gravame deve ritenersi assorbito.

P.Q.M.

Annulla con rinvio la impugnata ordinanza al Tribunale di Trento.
Così deciso il 04/12/2013

Baldassarre, Rv. 231571).

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