Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 638 del 31/10/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 638 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCIACCA LOREDANA nato il 05/05/1972 a VIBO VALENTIA

avverso l’ordinanza del 18/04/2017 del TRIBUNALE LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA

sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano
Tocci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, Avv. Roberto Rampioni e Maria Carmela Preiti, che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Sciacca Loredana ricorre per cassazione avverso l’ordinanza emessa il
18/04/2017 dal Tribunale della libertà di Reggio Calabria, che ha rigettato
l’istanza di riesame proposta avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Reggio
Calabria applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, in relazione

(IP

Data Udienza: 31/10/2017

al reato di associazione per delinquere di tipo mafioso (capo A), per aver
partecipato alla cosca “Piromalli”.
Deduce i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp.
att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
1.1. Vizio di motivazione in relazione alla gravità indiziaria del reato di cui
all’art. 416

bis c.p.: lamenta una totale svalutazione della prospettazione

difensiva ed una lettura del contenuto delle conversazioni intercettate
travisatrice dei dati probatori acquisiti; la motivazione sarebbe fondata su

selezionati’ delle conversazioni intercettate, e su una lettura personale del tenore
reale delle stesse, contrastata dal dato costituito dalle trascrizioni; sostiene che
l’ordinanza impugnata non avrebbe chiarito il valore probatorio attribuibile al
tema dei c.d. ‘pizzini’, il cui invio, peraltro, non sarebbe stato riscontrato, il
valore del contatto telefonico e dell’incontro con Stefania Pratticò, amica di
vecchia data, non partecipe del sodalizio, con la quale non vi è più stato alcun
contatto, il valore delle informazioni rese dal marito, Piromalli Antonio, in merito
alle iniziative imprenditoriali assunte, allorquando ella è mera ascoltatrice;
contesta, altresì, il valore indiziante della conversazione ambientale del 24
gennaio 2016 tra Sciacca Carmela e Giovanni Scibilia, ed il ruolo di ‘affidataria’
dei flussi comunicativi con il marito capo-cosca, non avendo ella alcun contatto
con i sodali, nessuno parli di lei, e non essendovi alcuna osservazione della p.g.
Contesta, inoltre, la dichiarazione resa il 17/01/2017 dal collaboratore di
giustizia Arcangelo Furfaro, secondo cui la Sciacca, in quanto iscritta all’Albo
degli Avvocati, avrebbe assunto la difesa del suocero, Piromalli Giuseppe, per
veicolare all’esterno del carcere le ‘imbasciate’ e gli ‘ordini’; nega che tale
nomina sia stata mai effettuata – in tal senso producendo anche gli estratti del
modello IP concernenti le nomine e revoche effettuate dal Piromalli Giuseppe dal
1999 al 2017 -, e la valenza di riscontro attribuita dall’ordinanza impugnata alla
circostanza.
Deduce l’assenza di elementi probatori idonei alla formulazione di un
giudizio di probabile colpevolezza dell’indagata.
1.2. Vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze
cautelari: deduce che con la I. 47 del 2015 alla custodia cautelare in carcere è
stato riservato il ruolo di extrema ratio, con l’intenzione di elidere le presunzioni
di pericolosità, nel solco delle decisioni della Corte costituzionale che hanno
demolito il catalogo dei delitti per i quali vige la presunzione assoluta di
adeguatezza; l’art. 275, comma 3 bis, cod. proc. pen., prescrive l’indicazione
delle specifiche ragioni per le quali la misura degli arresti domiciliari con
braccialetto elettronico non sia ritenuta idonea; lamenta che l’ordinanza

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un’argomentazione suggestiva, formulata sulla scorta della citazione di ‘brani

impugnata sia sul punto apparente, avendo fondato la valutazione delle esigenze
cautelari e della adeguatezza sulla obiettiva gravità delle condotte criminose,
deducendo che sarebbe stato idoneo ad impedire il ruolo contestato disporre la
preclusione dei colloqui con il marito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto è manifestamente infondato,
ed in quanto propone censure diverse da quelle consentite dalla legge, nella
parte in cui sollecita una rivalutazione del compendio probatorio non consentita
in sede di legittimità, limitandosi a censurare non già la motivazione, bensì la
valutazione probatoria formulata dai giudici di merito.
2.1. Giova preliminarmente rammentare i limiti del sindacato di legittimità,
evidenziando che il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare
personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di
apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame,
essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la
sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 9212
del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438); il controllo di legittimità sulla
motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà
personale, pur dopo le modifiche apportate dall’art. 8 L. 20 febbraio 2006 n. 46,
non può riguardare la verifica della rispondenza delle argomentazioni poste a
fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali,
provvedendosi così ad una rilettura degli elementi di fatto, atteso che la relativa
valutazione è riservata in via esclusiva al giudice del merito (Sez. 2, n. 19547 del
18/05/2006, Prezioso, Rv. 233772); il sindacato di legittimità non concerne,
dunque, né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito
circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori,
onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di
circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. F, n. 47748 del
11/08/2014, Contarini, Rv. 261400).

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1. Il ricorso è inammissibile.

2.2. Tanto premesso, va innanzitutto osservato che l’ordinanza impugnata
ha diffusamente motivato sul ruolo assunto da Sciacca Loredana nelle dinamiche
della cosca Piromalli, esponendo analiticamente gli elementi indiziari – costituiti
soprattutto dagli esiti delle eloquenti intercettazioni telefoniche ed ambientali emersi nei confronti dell’indagata in relazione al reato contestato
nell’imputazione provvisoria.
Il Tribunale del riesame, infatti, ha affermato il pieno e stabile inserimento
di Sciacca Loredana, con ruolo di partecipe, nell’ambito dell’associazione mafiosa

disposizione” nei confronti del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini
criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670).
Al riguardo, invero, va premesso che nell’ambito del procedimento è emerso
che il reggente della cosca, Piromalli Antonio (cl. 72), in seguito alla
scarcerazione, si era stabilito, in attuazione di una deliberata strategia di
Inabissamento’, a Milano, ove coltivava numerosi interessi imprenditoriali nei
quali reinvestiva i profitti illeciti del sodalizio, e da dove manteneva il controllo
assoluto sul territorio di origine (in particolare, Gioia Tauro), grazie ad una ‘filiera
comunicativa’ garantita dai sodali appartenenti alla sua famiglia ed alla famiglia,
storicamente intranea alla cosca, dei Mazzaferro; nell’ambito di tale ‘filiera’ viene
delineato, appunto, il ruolo di Sciacca Loredana – moglie del capo cosca Piromalli
Antonio -, componente del ‘primo livello’ della catena comunicativa con
quest’ultimo.
La motivazione del Tribunale della libertà risulta, al riguardo, immune da
censure, avendo evidenziato, sulla base di puntuali richiami del contenuto di
intercettazioni telefoniche, che Sciacca Loredana era il “punto di riferimento” del
marito, il capo cosca Piromalli Antonio – che aveva stabilito la propria base
operativa a Milano -, e fungeva da tramite per la trasmissione di ‘pizzini’ e per il
trasferimento di comunicazioni e ordini agli altri associati, adoperando un
linguaggio criptico ed allusivo, e concordando in prima persona con l’interessato
di turno gli appuntamenti che, in realtà, prendeva in sostituzione del marito,
altresì filtrando i tentativi di approccio con lo stesso.
Invero, è emerso che Piromalli Antonio non aveva alcun contatto diretto con
i sodali, che gli appuntamenti non venivano neppure annunciati, che molti affiliati
si recavano a Milano senza avere la certezza di essere ricevuti, che egli non
portava mai con sé il telefono cellulare fuori dall’abitazione, e che gli incontri
avvenivano per strada e spesso in movimento.
In tale contesto, funzionale ad assicurarsi una sorta di ‘evanescenza’ a fini
investigativi, si colloca dunque il ruolo di Sciacca Loredana, che agevolava il
marito nella attività di conduzione del sodalizio criminale.

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storicamente capeggiata dai “Piromalli”, sulla base della completa “messa a

Solo esemplificativamente, del resto, l’ordinanza ha richiamato i contatti
intrattenuti tra Sciacca Loredana e Pratticò Stefania, che hanno preceduto
l’incontro avvenuto il 23 maggio 2015 a Milano con Piromalli Antonio, la cui
valenza indiziaria è stata affermata a prescindere dal contenuto del colloquio, in
considerazione del linguaggio criptico ed allusivo adoperato per programmare
l’incontro, e delle modalità adoperate per assicurare che la presenza del marito
venisse `schermata’; al riguardo, il Tribunale della libertà, con riferimento alla
deduzione difensiva secondo cui Pratticò era una vecchia amica della Sciacca,

fosse stato lecito, non si comprenderebbe perché avesse avuto necessità di
incontrare proprio Piromalli Antonio – la cui statura criminale era nota -, peraltro
de visu, e non potesse spiegare telefonicamente le ragioni per le quali aveva
bisogno di parlargli e di incontrarlo.
In ordine al ruolo assunto nella struttura informativa della cosca da Sciacca
Loredana, l’ordinanza ha altresì evidenziato l’episodio concernente la
trasmissione di un ‘pizzino’, destinato al cognato Cordì Francesco, affidato a
Piromalli Clementina (sorella di Antonio) ed al marito Sanpaolo Giovanni, in
veste di corrieri, ed occultato all’interno di due libri da ‘aprire’, secondo la
sollecitazione dell’odierna ricorrente, con urgenza.
La piena partecipazione alle dinamiche del sodalizio, del resto, è stata
affermata sulla base della piena consapevolezza delle attività illecite della cosca,
dei proventi da esse derivanti, dei conseguenti ‘investimenti’ del marito, che
garantivano il sostentamento del tenore di vita familiare, come si evince dalla
eloquente conversazione intercorsa il 10 giugno 2016 tra Piromalli Antonio e
Sciacca Loredana, e captata in ambientale, in cui il primo sottolineava – anche
per far comprendere alle figlie, alle quali raccomandava di dedicare anche solo
un’ora del loro tempo alle ‘attività’ di famiglia – la provenienza del sostegno
economico assicurato alla moglie ed alle figlie durante la sua detenzione,
derivante non già dalla “provvidenza” (espressione che ha poi icasticamente
designato l’operazione investigativa culminata nell’adozione delle misure
cautelari oggetto di ricorso), o dal ‘provveditorato’ della Lombardia (essendo la
Sciacca un’insegnate), bensì dalle molteplici attività economiche controllate dal
sodalizio.
Del resto, la partecipazione operativa all’interno del sodalizio era patrimonio
condiviso anche tra i familiari, come si desume dal dialogo intercettato tra la
sorella dell’indagata, Sciacca Carmela, ed il marito di costei, Scibilia Giovanni,
nella quale gli interlocutori conversavano del ruolo assunto da Sciacca Loredana
durante i sette anni di detenzione del marito, soprattutto in termini di
mantenimento di determinati rapporti e cura degli interessi familiari, nonché di

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7,A

anch’ella insegnante, ha osservato che, ove la ragione dell’incontro richiesto

trasmissione delle comunicazioni del marito capo-cosca (“chi era la portavoce di
tutte queste azioni … lei! (…) quello che gli diceva lei … che parlava con lui”).
L’ordinanza impugnata ha, dunque, compiutamente delineato il fatto
partecipativo ascritto a Sciacca Loredana, che, nel ruolo di alter ego attribuitogli
dal marito Piromalli Antonio, ed agendo in consapevole sinergia con lo stesso, ha
reso possibile l’espletarsi del ruolo direttivo da quest’ultimo rivestito nell’ambito
del sodalizio mafioso.
Va, infine, osservato che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Furfaro

forense posta in essere da Sciacca Loredana per veicolare fuori dal carcere le
‘imbasciate’ del suocero Piromalli Giuseppe, detenuto in regime speciale, sono
state valutate in termini di mero riscontro dal Tribunale del riesame, che ha
espressamente fatto salvi “ulteriori approfondimenti investigativi”;
approfondimenti forniti con l’allegazione di tutte le nomine di difensori effettuate
da Piromalli Giuseppe tra il 1999 ed il luglio 2017, depositate il 12/10/2017, tra
le quali non risultano nomine dell’odierna ricorrente.
La deduzione, tuttavia, oltre a sollecitare una rivalutazione probatoria non
consentita in sede di legittimità, non è in alcun modo suscettibile di disarticolare
il ragionamento probatorio articolato dal Tribunale della libertà per affermare i
gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione di Sciacca Loredana alla
cosca ‘Piromalli’, concernendo un elemento indiziario valutato in termini di mero
riscontro al quadro indiziario già emerso dalle intercettazioni telefoniche ed
ambientali.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, dunque, appare immune da
censure, avendo evidenziato gli elementi indiziari a fondamento della valutazione
di gravità indiziaria, ed avendo correttamente qualificato le condotte accertate in
termini di partecipazione al sodalizio mafioso; al riguardo, va infatti ribadito che
è configurabile il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa nell’ipotesi in
cui l’autore della condotta svolga il ruolo di “alter ego” del soggetto di vertice di
un gruppo mafioso, ponendo in essere attività di ausilio ed intermediazione nei
suoi riguardi, con carattere continuativo e fiduciario, tali da risolversi in un
contributo causale alla realizzazione del ruolo direttivo del sodalizio, nonché alla
conservazione ed al rafforzamento di quest’ultimo (Sez. 5, n. 35277 del
16/06/2017, Panebianco, Rv. 270654).

3. Il secondo motivo, concernente le esigenze cautelari e l’adeguatezza della
misura, è manifestamente infondato, oltre che generico.
Giova, al riguardo, rammentare che, in tema di custodia cautelare in carcere
applicata nei confronti di indagato del reato di associazione per delinquere di tipo

Arcangelo, a proposito della strumentalizzazione dell’abilitazione alla professione

mafioso, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all’art. 275, comma
terzo, cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 47 del 2015, può essere
superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che
l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione
criminosa (Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016, Gerbino, Rv. 268726); in tema di
esigenze cautelari, anche dopo la novella attuata con legge 16 aprile 2015, n.
47, nei confronti di un soggetto gravemente indiziato del delitto di partecipazione
ad un’associazione mafiosa sussiste la presunzione di adeguatezza della sola

riscontrino segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio
criminale; sicché, nell’ipotesi di mancato superamento di detta presunzione, non
è consentita l’applicazione di misure diverse e meno afflittive da quella di
maggior rigore (Sez. 5, n. 48285 del 12/07/2016, Girardo, Rv. 268413); la
presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della
custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., è
prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274
cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti
dall’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere
sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del
pericolo (Sez. 3, n. 33051 del 08/03/2016, Barra, Rv. 268664).
Tanto premesso, va evidenziato che l’ordinanza impugnata, oltre a rilevare
l’assenza di elementi idonei ad elidere le esigenze cautelari (recesso del
partecipe o disarticolazione del sodalizio), ha espressamente valutato, anche in
positivo, l’attuale sussistenza del pericolo di recidiva e l’inadeguatezza di una
misura domiciliare, rilevando la gravità dei fatti contestati e l’elevata pericolosità
sociale dell’indagata, in considerazione, altresì, del ruolo operativo assunto
nell’ambito del sodalizio, e dell’esigenza di assicurare la gestione delle attività
illecite della cosca durante la detenzione dei “maggiorenti” (tra cui il marito)
della cosca.
Quanto all’asserito difetto di motivazione relativo alla richiesta di
applicazione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, le Sezioni Unite
di questa Corte hanno chiarito l’ambito di applicabilità della disposizione di cui
all’art. 275, comma 3 bis, cod. proc. pen., affermando il principio secondo cui, il
giudice deve sempre motivare sulla inidoneità della misura degli arresti
domiciliari con braccialetto elettronico, ove non si sia – come nel caso di specie al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza (Sez. U,
n. 20769 del 28/04/2016, Lovisi, Rv. 266651).

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misura della custodia cautelare in carcere, superabile unicamente nel caso si

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al
pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro
in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in
Euro 2.000,00: infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause
di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della
sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di
inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter,
disp.att. c.p.p. .

Così deciso in Roma il 31/10/2017

Il Consigliere estensore
Giuseppe Riccardi

Il Presidente
o Anto

di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen.

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