Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6377 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6377 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1. Gualbi 3aouher, nato in Tunisia il 25/06/1987
2. Galbi Mohamed Naim, nato in Tunisia il 07.12.1980
3. Ben Nja Mohamed Alì, nato in Tunisia il 13/07/1987
avverso la sentenza del 21/06/2011 della Corte di appello di Firenze

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola
Lettieri, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi;
uditi per gli imputati

Data Udienza: 04/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza emessa in data 21 giugno
2011, in parziale riforma della sentenza resa dal Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale della stessa città, assolveva per insussistenza del fatto Jaouher
Gualbi, Mohamed Naim Galbi e Mohamed Alì Ben Nja dal reato di cui all’art. 74
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e – con riguardo a Jaouher Gualbi nonché a

giudicati con sentenza in data 12 maggio 2009) – rideterminava le pene con
riferimento alle residue imputazioni, di cui all’art. 73 T.U. stup., in anni 3, mesi
6 di reclusione ed euro 10.000,00 di multa ciascuno ed infine in anni 3, mesi 10
di reclusione ed euro 12.000,00 di multa per Mohamed Alì Ben Nja.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata hanno proposto ricorso per
cassazione, con separati atti di gravame, personalmente Jaouher Gualbi, e
Mohamed Naim Galbi nonché, per il tramite del proprio difensore, Mohamed Alì
Ben Nja.
2.1. Jaouher Gualbi, affidando la doglianza ad un unico articolato motivo,
lamenta l’erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 202 e
203 cod. pen. ed all’art. 86 T.U. stup. e conseguente mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento
all’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero dal
territorio dello Stato.
Assume il ricorrente come la Corte territoriale non abbia espresso alcuna
motivazione circa il giudizio di pericolosità sociale, quale indefettibile
presupposto per l’irrogazione della misura di sicurezza in questione, in quanto la
succinta motivazione resa dalla Corte di appello si limiterebbe ad agganciare
l’imputazione alla misura di sicurezza, come se dalla condanna dovesse
automaticamente scaturire la prognosi di pericolosità.
2.2. Mohamed Naim Galbi denuncia inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale ex art. 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. ed erronea
determinazione della pena in ordine al capo 2 dell’imputazione.
Sostiene il ricorrente che, a seguito del giudizio di appello, fu assolto dal
reato di cui al capo 7, relativamente all’art. 74 T.U. stup., mentre venne
condannato per la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup. alla pena di
anni 3 e mesi 6 di reclusione oltre a 10.000 euro di multa.
Lamenta pertanto erronea applicazione della legge penale relativamente alla
pena complessivamente irrogata che, nel caso di specie, sarebbe eccessiva,
chiedendone la rideterminazione.

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Mohamed Naim Galbi (quanto a quest’ultimo ritenuta la continuazione con i reati

2.3. Mohamed Alì Ben Nja affida la doglianza a due concorrenti motivi.
Con il primo denuncia manifesta illogicità e carenza della motivazione ai
sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Assume il ricorrente come, nella parte motiva della sentenza impugnata,
non si evincano le ragioni sulla cui base sia stata ritenuta provata la
responsabilità penale, essendo pertanto la motivazione in parte qua del tutto
apparente.
Con il secondo collegato motivo, lamentando erronea applicazione della

ricorrente deduce come la Corte territoriale abbia uniformato il proprio dictum
alla pronunzia di primo grado, ritenendo provata la penale responsabilità per la
detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti, nonostante fosse emerso,
dalle risultanze dibattimentali, come le condotte contestate avessero
concretizzato una mera ipotesi di detenzione finalizzata al consumo di gruppo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate.

2. Va preliminarmente esaminata la questione relativa all’ammissibilità del
motivo di gravame proposto da Jaouher Gualbi.
Il quale non ha devoluto al giudice d’appello, con i motivi di impugnazione
proposti avverso la sentenza di primo grado, il punto della decisione riguardante
l’applicazione, con la sentenza di condanna, della misura di sicurezza disposta ai
sensi dell’art. 86 T.U. stup.
Va ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia recentemente
chiarito, con orientamento al quale occorre dare continuità, che è sottratto alla
cognizione del giudice di appello l’accertamento di ufficio della pericolosità
sociale dell’imputato, in mancanza di una specifica impugnazione della
statuizione della sentenza riguardante l’espulsione dal territorio dello Stato dello
straniero condannato per uno dei reati indicati nell’art. 86 del d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309 (Sez. 3, Sentenza n. 11599 del 06/03/2012, dep. 26/03/2012,
Rv.252495), con la conseguenza che una tale doglianza non può essere
successivamente sottoposta alla cognizione della Corte di cassazione sicché, in
mancanza di specifica censura mossa con i motivi di gravame, matura una
precisa preclusione in tal senso, quale diretta conseguenza della consumazione
del potere di impugnazione attributo ad una parte processuale.
Infatti le statuizioni della sentenza riguardanti le misure di sicurezza – pur
partecipando ad una differente disciplina rispetto alle disposizioni penali della
sentenza, attesa la natura sostanzialmente amministrative delle prime, con la
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legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., il

conseguente modificabilità e revocabilità anche dopo il passaggio in giudicato
della sentenza che le dispongono – costituiscono comunque punti della decisione,
in quanto parti della sentenza che possono essere considerate ed esaminate in
modo autonomo, derivando da ciò che ad esse si applica il regime proprio delle
impugnazioni penali, sicché la rivisitazione dei relativi provvedimenti è ammessa
nel giudizio di impugnazione a condizione che al giudice sia espressamente
devoluta la relativa questione.
A siffatta disciplina non si sottrae la misura dell’espulsione dello straniero

cost., sent. n. 58 del 1995), è soggetta, come tale, ai richiamati principi.
Né rileva che la Corte territoriale, pur non essendo stata investita del
gravame proposto dal Gualbi circa l’applicazione della misura di sicurezza ex art.
86 T.U. stup., si sia comunque pronunciata sul punto, in violazione, in parte qua,
del principio devolutivo ed incorrendo perciò nel vizio di ultrapetizione.
La Corte di merito non ha infatti modificato, con la pronuncia, il punto della
precedente statuizione e non ha pertanto innescato il meccanismo che,
legittimando la proposizione di una autonoma impugnazione, avrebbe dovuto
essere attivato dalla parte interessata alla rimozione del vizio per censurare
l’eccesso di pronuncia.
In siffatti casi il vizio di ultrapetizione, che abbia lasciato, come nella specie,
intatto un capo o un punto della decisione, non può valere, in presenza di una
maturata preclusione processuale, a rimettere la parte in termini per la
proposizione dell’impugnazione di un punto della statuizione che, non investito
dai motivi di gravame, ha già acquistato i caratteri della stabilità in virtù del
giudicato interno.
Ne consegue che il ricorso del Gualbi, investendo una questione che era
possibile dedurre in grado di appello e che in tale grado non è stata dedotta, non
attribuisce alla Corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente
al motivo proposto (art. 609 cod.proc. pen.), dovendosi ritenere integrata la
violazione del divieto di novum nel giudizio di legittimità per essere stato dedotto
un motivo di censura attinente ad un punto della decisione ormai intangibile in
quanto non investito da tempestiva doglianza nella fase di merito (Sez. 3, n.
3445 del 17/12/2008, dep. 26/01/2009, Rv. 242169), derivando da ciò
l’inammissibilità del ricorso stesso.

2. Il ricorso proposto da Mohamed Naim Galbi è parimenti inammissibile per
genericità dei motivi, non essendo in alcun modo individuabili le ragioni per cui la
sentenza impugnata sarebbe censurabile quanto alla determinazione della pena
finale irrogata e risultando perciò impedito l’esercizio del controllo di legittimità
sulla sentenza gravata.
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dal territorio dello Stato che, essendo una misura di sicurezza personale (Corte

Va ricordato che il necessario requisito della specificità dei motivi pone a
carico della parte impugnante non soltanto l’onere di dedurre le censure che
intenda muovere su uno o più punti determinanti della decisione gravata, ma
anche quello, nella specie del tutto inosservato, di individuare con chiarezza e
precisione gli elementi fondanti, sì da consentire al giudice dell’impugnazione di
individuare i rilievi proposti ed esercitare quindi il proprio sindacato ( Sez. 3, n.
5020 del 17/12/2009, dep. 09/02/2010, Rv. 245907).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di

come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell’art.
591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità (in termini, Sez. 4, n. 5191 del
29/03/2000 Ud. – dep. 03/05/2000 – Rv. 216473; conf. Sez. 5, n.11933 del
27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708).
Peraltro va aggiunto che il giudice di appello, a seguito dell’assoluzione del
ricorrente dal reato di cui all’art. 74, comma 6, T.U. stup., ha sensibilmente
diminuito la pena, sostanzialmente dimezzandola, senza che vi sia in ricorso
alcuna indicazione, pur in presenza delle plurime violazioni ex art. 73 T.U. stup.,
circa la illegittimità della pena finale irrogata.

3. I motivi di ricorso proposti da Mohamed Alì Ben Nja, in quanto tra loro
collegati, possono essere congiuntamente trattati.
Va premesso come il ricorrente, con i motivi di gravame sollevati avverso la
sentenza di primo grado abbia, al fine di escludere le proprie responsabilità dal
reato associativo, prospettato, e quindi ammesso, che le cessioni della sostanza
stupefacente rientrassero nell’ambito di un comune disegno criminoso
concordato, di volta in volta, con i coimputati, senza il ricorso ad una stabile
organizzazione, quantunque rudimentale, che fosse stata costituita e dedita al
traffico della droga, con la conseguenza che il primo motivo (ossia l’estraneità
del ricorrente alle condotte di cessione a terzi di sostanze stupefacenti) è
manifestamente infondato e che il secondo motivo (ossia l’essere le cessioni
finalizzate al consumo di gruppo) è inammissibile, in quanto nuovo perché non
proposto con l’atto di appello.
Va solo precisato come la Corte territoriale abbia ampiamente motivato le
ragioni poste a fondamento della penale responsabilità del ricorrente per il reato
ritenuto in sentenza (pag. 16 e 17 della sentenza impugnata) non solo
richiamando le complete conclusioni cui era giunto il primo giudice (pag. 24 ss.
sentenza Gup Tribunale di Firenze) ma anche evidenziando, da un lato, come
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specificità del motivo, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità,

fosse emersa in modo chiarissimo (e, in quanto tale, non contrastata neppure
dagli imputati) l’esistenza di un’intensa attività di spaccio della cocaina nei
confronti di un ragguardevole numero di consumatori, avendo il Ben Nja fornito
la propria utenza telefonica ai consumatori di droga per i loro rifornimenti e,
dall’altro, riportando, in sentenza, i nominativi dei tossicodipendenti che avevano
dichiarato di essersi riforniti dal Ben Nja per l’acquisto della sostanza
stupefacente.

4. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte

abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria per tutti i ricorsi proposti, segue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro
mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 04/12/2013

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costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che l parti

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