Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6376 del 21/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 6376 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ASTARITA SALVATORE N. IL 14/07/1973
LIBERO RENATO N. IL 15/10/1972
avverso la sentenza n. 2525/2007 CORTE APPELLO di GENOVA, del
30/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILLA
.
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. i5 % eZ,CPU A—ts,e3Lo
che ha concluso per
t

I ~meni

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

e)

Data Udienza: 21/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 30.5.2011 la Corte d’Appello di Genova ha confermato la
decisione del GIP di La Spezia che aveva ritenuto Astarita Salvatore e Libero Renato
colpevoli di violazione della normativa sugli stupefacenti di cui al DPR n. 309/1990
(illecito acquisto, detenzione e cessione di ingente quantità di pasticche di ecstasy).
La Corte di merito ha osservato che dalle intercettazioni telefoniche eseguite
sul’utenza di Pastorini Marcello (altro coimputato non ricorrente, ndr) e da quelle
ambientali risultava che il suo principale fornitore era l’Astarita il quale a sua volta

andava ogni settimana a Napoli per rifornirsi di pasticche di ecstasy che poi smerciava
al Pastorini e ad altri clienti. Ha poi ritenuto – sulla base di quanto emerso dalle
conversazioni intercettate – che si trattava di una lucrosa e professionale attività. Ha
quindi richiamato i sequestri di sostanza e l’arresto in flagranza del coimputato Libero,
ritenendo la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 del DPR n. 309/1990 per il
rilevante numero di pasticche smerciate (500 a settimana ed a volte anche 2.000). Ha
negato al Libero l’attenuante di cui al quinto comma dell’art. 73, considerando i
quantitativi di sostanza e la vastità del traffico ed ha negato altresì all’imputato la
prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva contestata; infine, ha ritenuto
corretta la revoca al Libero della sospensione condizionale della pena rilevando
l’insussistenza delle condizioni per escluderla.
2. Per l’annullamento della sentenza ricorrono in cassazione con separati ricorsi
l’Astarita (personalmente) e il Libero (mediante difensore)
CONSIDERATO IN DIRITTO
RICORSO ASTARITA
1. Col primo motivo l’Astarita denunzia, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e)
cpp, la contraddittorietà, illogicità e carenza della motivazione in ordine al numero
delle pasticche oggetto delle cessioni. Osserva che la motivazione per relationem
utilizzata dalla Corte d’Appello rende necessario il richiamo alla sentenza di primo
grado e in proposito rileva che, sulla base delle intercettazioni ambientali,
contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, non risultava dimostrata la
cessione di almeno 500 pastiglie ogni fine settimana, ma solo in una occasione;
contesta l’affermazione secondo cui si sarebbe trattato anche di 2.000 pasticche,
perché, sempre dalle intercettazioni telefoniche, si ricavava solo il proposito di
spacciare in futuro 2.000-3.000 pasticche a settimana, ma non che tale smercio già
stesse avvenendo. Ritiene che comunque il dato numerico è rilevante ai fini della pena.
Il motivo è infondato
Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene solo alla
coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo
logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo
sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
2

decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti
maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste
operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le
impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo
deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di
merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno
standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter

logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923
del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349). Ancora, la giurisprudenza ha
affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu
°culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo
logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del
20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999,
Spina, RV. 214794).
Ebbene, nel caso di specie, i giudici di merito hanno rilevato il numero delle
pastiglie che l’imputato smerciava ogni settimana (500 pasticche giungendo anche a
2000): trattasi di accertamento in fatto, insindacabile in questa sede non potendosi
procedere ad una rilettura degli atti del processo.

2. Col secondo motivo l’Astarita denunzia l’inosservanza dell’art. 80 comma 2 DPR
n. 309/1990 nonché la contraddittorietà e illogicità della motivazione, dolendosi della
ritenuta aggravante dell’ingente quantità e richiama la giurisprudenza in materia.
La censura è fondata.
Le sezioni unite, risolvendo i contrasti giurisprudenziali sorti sul concetto di
quantità ingenti di sostanze stupefacenti adoperato dal legislatore, hanno affermato il
seguente principio di diritto: in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di
sostanze stupefacenti, l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma
secondo, D.P.R. n. 309 del 1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia
inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato
per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la
discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata (cfr.
Sez. U, Sentenza n. 36258 del 24/05/2012 Ud. dep. 20/09/2012 Rv. 253150).
La Corte d’Appello ha invece motivato basandosi esclusivamente sul dato
numerico delle pasticche oggetto di commercio (500 ogni fine settimana e a volte
2000), sicché non si sottrae alla censura.

3

Consegue l’annullamento della sentenza per un nuovo esame, da parte del giudice
di rinvio, sulla applicabilità dell’aggravante, tenendo presente il principio di diritto
esposto.
RICORSO LIBERO
1. Il ricorso si articola in quattro censure. Con la prima di esse il Libero denunzia
l’inosservanza degli artt. 73 e 75 del DPR n. 309/1990 nonché la mancanza di
motivazione sulla responsabilità penale dell’imputato non essendo sufficiente, a suo
dire, il mero rinvio per relationem alla sentenza di primo grado in considerazione della

censura proposta in ordine alla mancanza di responsabilità penale sulla base dei
risultati delle intercettazioni, nel cui esame la Corte d’Appello non si è addentrata.
Il motivo è inammissibile sia per difetto di specificità (art. 581 lett. c e 591 lett. c
cpp), che per manifesta infondatezza. Sotto il primo profilo, sarebbe stato innanzitutto
preciso onere del Libero di “addentrarsi nell’esame delle intercettazioni” riproducendo
nel ricorso per cassazione quanto meno i passaggi salienti che, a suo dire, ne
escludevano il coinvolgimento nella illecita attività, ma non lo ha fatto.
Quanto al tema della motivazione per relationem, va osservato in linea di principio
che, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella
valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la
struttura motivazionale della sentenza di appello può saldarsi con quella precedente
per formare un unico complesso corpo argomentativo, sicché risulta possibile, sulla
base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della
sentenza di appello (Sez. 6, Sentenza n. 49754 del 21/11/2012 Ud. dep. 20/12/2012
Rv. 254102). E’ stato però più volte ribadito da questa Corte che manca di motivazione
la sentenza d’appello che – nell’ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice di primo
grado siano state specificamente censurate dall’appellante – si limiti a riprodurre la
decisione del primo giudice, aggiungendo la propria adesione in termini apodittici e
stereotipati, senza dare conto degli specifici motivi d’impugnazione e senza
argomentare sull’inconsistenza o non pertinenza degli stessi (cfr. Cass. Sez. 6, n.
6221/2005, Rv. 233082, Aglieri; id. n. 12540/2000, Rv. 218172, Prescia). In tal caso
non può certamente parlarsi di motivazione “per relationem”, bensì di elusione
dell’obbligo di motivare, previsto a pena di nullità dall’art. 125 c.p.p., comma 3 e
direttamente imposto dall’art. 111 Cost., comma 6, che fonda l’essenza della
giurisdizione e della sua legittimazione sull’obbligo di “rendere ragione” della decisione,
ossia sulla natura cognitiva e non potestativa del giudizio. Viola ancora più gravemente
tale obbligo, e perciò è nulla per mancanza di motivazione, la sentenza d’appello che si
limiti a copiare la decisione di primo grado, così vanificando del tutto il senso e lo
scopo dell’atto di impugnazione e del secondo grado di giudizio, che si trasforma in
una apparente e fittizia garanzia per l’imputato (così, Sez.6, Sentenza n.12148 del
12/02/2009 Rv. 242811, Giustino).
4

Da tali principi consegue logicamente che il giudice di appello può motivare la
propria decisione richiamando le parti corrispondenti della motivazione della sentenza
di primo grado solo quando l’appellante si sia limitato alla mera riproposizione delle
questioni di fatto o di diritto già espressamente ed adeguatamente esaminate e
correttamente risolte dal primo giudice, ovvero abbia formulato deduzioni generiche,
apodittiche, superflue o palesemente inconsistenti (Sez. 6, Sentenza n. 17912 del
07/03/2013 Ud. dep. 18/04/2013 Rv. 255392).
Ebbene, nel caso di specie, dal ricorso per cassazione (ed anche dalla sentenza

impugnata che sintetizza i motivi di appello) non risulta affatto che il Libero avesse
specificato la censura davanti alla Corte territoriale (pur essendovi onerato anche in
quella sede, come si desume chiaramente dai citati artt. 581 e 591 cpp che si
riferiscono in generale alle impugnazioni): egli, invero, aveva solo affermato “che dalle
intercettazioni ambientali e telefoniche non emergerebbero elementi tali da far ritenere
la penale responsabilità”,

limitandosi così a contrapporre una propria diversa

valutazione probatoria. E la stessa Corte d’Appello, del resto, aveva rilevato che le
argomentazioni difensive non presentavano nessun carattere di novità rispetto a
quanto dedotto nel giudizio di primo grado.
In ogni caso la Corte ligure, esaminando il ruolo di Libero, ha citato l’episodio del
sequestro delle 99 pasticche di ecstasy (che portò al suo arresto in flagranza con
successiva definizione separata di questa posizione) e ha poi rinviato alle numerose
intercettazioni telefoniche dettagliatamente riportate nella sentenza di primo grado.
L’obbligo di motivazione, sulla scorta dei principi esposti, può ritenersi dunque assolto.
2. Col secondo motivo il Libero denunzia l’inosservanza dell’art. 73 comma 5 DPR

n. 309/1990 nonché la mancanza e contraddittorietà della motivazione sul mancato
riconoscimento dell’attenuante della lieve entità. Secondo il ricorrente la Corte di
merito avrebbe considerato solo il dato ponderale senza valutare gli altri elementi
richiesti dalla norma e senza spiegare perché la qualità di soggetti professionali
attribuita ai fornitori possa influire sulla attenuante che dovrebbe essere valutata con
riguardo all’imputato. Rileva infine la generica indicazione dei soggetti destinatari.
Il motivo è manifestamente infondato.
In tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della
circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, D.P.R.
n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi
normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e
circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato
(quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa),
dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche
uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto
sia di ‘lieve entità (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 6732 del 22/12/2011 Ud. dep. 20/02/2012
5

Rv. 251942; Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010 Ud. dep. 05/10/2010 Rv.
24791; Sez. 4, Sentenza n. 43399 del 12/11/2010 Ud. dep. 07/12/2010 Rv. 248947).
Nella fattispecie che ci occupa, la Corte di Genova ha negato l’attenuante
considerando innanzitutto i quantitativi di sostanza ricevuti dal Libero per procedere
allo smercio nella zona (circa 220 pasticche) e quindi ha ritenuto che uno degli
elementi attinenti all’oggetto materiale del reato portasse ad escludere la lieve entità
della lesione del bene giuridico protetto. Il riferimento al contesto nel quale si inserisce
l’operazione e segnatamente alle figure di Pastorini e Astarita (ritenuti gestori continui

e professionali del vasto traffico) rientra nella valutazione degli elementi concernenti
l’azione e in particolare delle circostanze di essa: la critica, dunque, non si giustifica in
alcun modo.
3. Col terzo motivo il Libero lamenta l’inosservanza degli artt. 62 bis e 69 cp
nonché la contraddittorietà e illogicità della motivazione dolendosi della mancata
concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva. Secondo il
ricorrente non risultano esplicitati i precedenti penali ritenuti ostativi, e comunque
esiste un solo precedente penale specifico (e unito col vincolo della continuazione) e
altri di minima offensività.
Anche tale censura è manifestamente infondata e pertanto segue la sorte delle
altre.
E’ assolutamente pacifico in giurisprudenza che la concessione o meno delle
attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla
discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far
emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (tra le tante, Sez. 6, Sentenza n.
41365 del 28/10/2010 Ud. dep. 23/11/2010 Rv. 248737; Sez. 2, Sentenza n. 3609 del
18/01/2011 Ud. dep. 01/02/2011 Rv. 249163).
La Corte d’Appello di Genova ha considerato quest’ultimo aspetto sulla base delle
risultanze del certificato del casellario giudiziario dell’imputato e la motivazione succinta – appare in ogni modo conforme al predetto principio.
4. Con l’ultima censura il Libero denunzia infine l’inosservanza dell’art. 168 cp
nonché la contraddittorietà e illogicità della motivazione, dolendosi della revoca della
sospensione condizionale della pena precedentemente concessa e della motivazione
per relationem adottata anche in tal caso.

La censura è inammissibile per difetto di specificità.
Il giudice di primo grado aveva disposto la revoca del beneficio e la Corte
d’Appello ne ha condiviso la decisione, rilevando che non sussistono le condizioni per
escludere la revoca.
Orbene, a fronte di una tale motivazione, il ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto
indicare quali erano le specifiche argomentazioni da lui a suo tempo sottoposte alla
6

Corte di merito per sostenere l’erroneità della decisione e poi dolersi della motivazione
adottata per respingere la censura.
In conclusione il ricorso del Libero è inammissibile e, non ravvisandosi assenza di
colpa nella determinazione della relativa causa (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n.
186), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella
misura indicata in dispositivo.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di Astarita Salvatore, limitatamente
all’applicabilità dell’aggravante di cui all’art. 80 del DPR n. 309/1990 e rinvia sul punto
ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova. Rigetta nel resto il ricorso dell’Astarita
e dichiara inammissibile il ricorso del Libero, che condanna al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 21.11.2013.

P.Q.M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA