Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6374 del 22/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6374 Anno 2016
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: BELLINI UGO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Gaeta Davide nato a Orta Nuova il 18.8.1963
avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Bari del 3.7.2014 depositata in
data 11.9.2014
sentita la relazione fatta dal Consi g liere Dott. U g o Bellini
lette le conclusioni del PG Dott. Renato Finocchi Ghersi in data 16.7.2015 il q uale
ha richiesto ri g ettarsi il ricorso.

Data Udienza: 22/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Bari con ordinanza del 11.9.2014 rigettava la domanda di
riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall’odierno ricorrente Gaeta Davide
relativa alla detenzione carceraria da questi sofferta in periodo compreso tra il
25.9.1996 e il 9.6.1997, per giorni 26 in stato di custodia cautelare in carcere e
per giorni 237 agli arresti domiciliari in relazione al reato di cui all’art.74 DPR
309/90 commi I, II, III e IV, contestazioni dalle quali veniva assolto con sentenza

2.

La Corte di Appello di Bari assumeva che il Gaeta aveva concorso a dare

causa alla detenzione in ragione di un comportamento processuale improntato al
silenzio in sede processuale, nonché ad ambiguità e scarsa trasparenza laddove,
pure a fronte di plurime chiamate in reità di collaboratori di giustizia, i quali
indicavano il Gaeta quale referente della vendita di hashish a Orta Nuova
riferendo di plurime consegne di hashish eseguite a suo favore, lo stesso si era
avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia,
omettendo di fornire qualsiasi elemento utile a giustificazione e a chiarimento dei
contatti ad esso attribuiti e della attività dallo stesso svolta.

La condotta

descritta, improntata al rifiuto di chiarimenti in sede processuale, doveva ritenersi
gravemente colposa ed efficiente rispetto al mantenimento della cautela;
3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del
proprio difensore di fiducia Gaeta Davide deducendo violazione di legge e
manifesta illogicità della motivazione nell’accertamento del rapporto tra la
condotta del ricorrente e il provvedimento restrittivo, assumendo che risultava
viziato il provvedimento della Corte territoriale nel ritenere il Gaeta in colpa grave,
laddove la misura nei suoi confronti era stata assunta in ragione delle
dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia che lo avevano indicato
come coinvolto nel traffico di stupefacenti, né potevano essere valutati contro di
esso occasionali rapporti di frequentazione con pregiudicati e rilevava che il
ricorrente, avvalendosi della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio,
aveva esercitato un diritto costituzionalmente garantito e che comunque a fronte
di contestazioni tanto generiche, nessuna differente impostazione difensiva in
sede di interrogatorio sarebbe valsa a chiarire la posizione processuale
dell’indagato.
4. Il Sostituto Procuratore generale concludeva per il rigetto del ricorso ponendo
in evidenza la giurisprudenza del S.C. che onera l’interessato di fornire con
assoluta tempestività i chiarimenti discolpanti in presenza di frequentazioni in
contesti spazio temporali compatibili con la compartecipazione al reato e che dava

emessa dal Tribunale di Foggia in data 22.10.2008 divenuta irrevocabile.

rilievo, ai fini della colpa anche al silenzio serbato in sede di interrogatorio se
efficiente alla tenuta del quadro indiziario.
5. Si costituiva l’Avvocatura Generale dello Stato nell’interesse del Ministero della
Economia e delle Finanze con memoria depositata in data 4.12.2015 e chiedeva il
rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, il sindacato del

giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione
dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico
giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per
l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di
merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza
del dolo (v. da ultimo, Sezioni unite, 28 novembre 2013, n. 51779, Nicosia).
L’art.314 comma I c.p.p. prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con
sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto,
perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha
diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia
dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
2.

In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta

causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato
dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della
custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di
tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa
riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla
deduzione della parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002,
Guadagno, rv. 226004). In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da
tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta
detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la
sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod.
proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e
rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una
prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti,
valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod
plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano
tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento
dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in

1.

pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995 dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv.
203637) . Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve
ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa
ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,

provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già
emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008, Maisano, rv. 242034).
3. Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la
sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa
riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o
della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di
custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia
anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in
generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento
a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27.5.2010, D’Ambrosio, rv. 247664). E,
ancora, più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare
ulteriormente che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del
riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un
“errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale”
tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed
eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della
libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia
dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente
colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la
propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base
dell’istituto. (così Sez. Unite, n. 51779 del 28.11.2013, Nicosia, rv. 257606,
fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la condotta dì un soggetto che aveva
reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di
fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con
persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con
espressioni “travisanti”, aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna
di beni). ‘E stato ancora affermato che in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, la condotta gravemente colposa, per essere ostativa al
riconoscimento dell’indennizzo, deve essere potenzialmente idonea ad indurre in
errore l’autorità giudiziaria in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità con
specifico riguardo al reato che ha fondato il vincolo cautelare (sez.IV, 23.4.2015

ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un

n.33830) e che la frequentazione di soggetti dediti al reato in contesti temporali e
ambientali compatibili con la compartecipazione alla commissione del reato onera
l’interessato di fornire con assoluta tempestività i chiarimenti discolpanti (sez.IV,
29.1.2014 n.21575 Antognetti; 26.11.2013, n.1235, Calò).
4.

Nel provvedimento impugnato la Corte di Appello di Bari ha rispettato i

criteri ermeneutici sopra enucleati valorizzando il comportamento tenuto
all’indagato, il quale nella fase delle indagini preliminari era gravemente indiziato
di avere mantenuto significativi contatti anche di carattere illecito con altri

dei tempi dei luoghi e delle modalità operative con le quali sarebbero intervenuti i
contatti e i rapporti di fornitura dello stupefacente, mediante la specifica
indicazione dei soggetti che avrebbero provveduto alla consegna dell’hashish al
Gaeta, soprannominato spacca palline, specifici contatti i quali, pure non ritenuti
sufficienti dal Tribunale per la condanna del Gaeta per il reato di cui all’art.74
DPR 309/90, non risultando provato che costui operasse al’interno
dell’associazione piuttosto che quale mero operatore esterno, erano comunque
adeguatamente valutati, riconosciuti esistenti e pertanto utilizzati dal giudice della
riparazione per considerarli in termine di dolo, o quantomeno di colpa, ai fini del
riconoscimento del fattore innpeditivo di cui all’art.314 c.p.p. La Corte di Appello
peraltro segnalava che il Gaeta all’atto di interrogatorio aveva omesso di
evidenziare la propria estraneità ai fatti contestati e di fornire immediate
giustificazioni sulle proprie frequentazioni in relazione ai contatti intrattenuti sia
con i componenti dell’organizzazione delinquenziale, sia con i vertici della stessa,
cui appariva legato da frequentazioni e collegamenti. In maniera del tutto
coerente, espressa in termini logici e assolutamente aderenti ai principi del S.C.
ora evidenziati, la Corte di Appello ha ravvisato a carico del ricorrente profili di
colpa grave che hanno inciso sul mantenimento della misura custodiale sulla base
di specifici comportamenti indizianti e efficienti ai fini della misura. Si verte infatti
in ipotesi in cui l’interessato, esclusivo portatore di una conoscenza idonea a
scagionarlo ha l’onere di fornire con assoluta tempestività le spiegazioni del caso
soprattutto in ipotesi come la presente ove ricorrevano plurime, specifiche e
congruenti chiamate in correità e la mancanza di un tale contegno processuale,
sebbene a contenuto inerte e passivo, pure riconosciuto legittimo dal legislatore
in quanto espressione dell’esercizio del diritto di difesa, possa comunque essere
valutato, sulla base del diverso piano prognostico che sovraintende il
procedimento di cui all’art.314 e ss. c.p.p., quale fattore impeditivo del diritto alla
riparazione della ingiusta detenzione e pertanto quale comportamento valutabile
in termine di colpa grave a fini riparativi, quando esso si inserisca, come nella
specie, in termini contributivi alla tenuta del quadro indiziario che ha dato luogo

indagati per la gestione di un traffico di stupefacenti, con la specifica indicazione

alla adozione o al mantenimento della misura detentiva (sez.III, 2.4.2014 n.
29967, Bertuccini; sez.IV, 9.11.2011 n.44090, Messina; 18.11.2008 n.47047,
Marzola; 12.11.2008 n.47041, Calzetta e altri).
5. Il ricorso va pertanto disatteso e il ricorrente va condannato alle spese
processuali oltre alla rifusione del Ministero della Economia e delle Finanze che
vanno liquidate come da dispositivo.
PTM
La Corte rigetta il ricorso e condanna Gaeta Davide al pagamento delle spese

liquida in complessivi € 1.000.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22.12.2015.

processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che

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