Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6372 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6372 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Baccari Renzo, nato a Firenze il 19.3.65
Rushton Debra Lynn, nato a Newcastle (GB) il 4.6.62
imputati 44/b, 93 e 95 D.P.R. 380/01

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze del 21.2.13
Sentita la relazione del cons. Guicla Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Fulvio Baldi, che ha chiesto il rigetto di
entrambi i ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato — I ricorrenti sono stati accusati di
avere, come comproprietari e committenti dei lavori e, la Rushton, anche titolare dell’impresa
che li ha eseguiti, realizzato la intera ricostruzione di un solaio (abbassando la quota del primo piano
in modo da ottenere un piano di circa 100 mq., in totale assenza di
e demolendo il sottotetto)
permesso di costruire ed in violazione della normativa antisismica.
La sentenza di condanna di primo grado è stata confermata dalla Corte d’appello (che,
peraltro, ha revocato, nei confronti del Baccari, la subordinazione della sospensione condizione alla rimessione in
pristino).

Data Udienza: 07/11/2013

difetto di motivazione perché la Corte non ha indicato in base a quali
2)
elementi sia individuabile la responsabilità del ricorrente visto che, a tal fine, non è certo
sufficiente la sola confessione del Baccari (che, comunque, è stata fraintesa perché egli si era limitato ad
aiutare la sorella nell’acquisto della casa presentandole l’arch. Stefano). Al contrario, dal momento che la
Corte ha escluso la responsabilità dell’altro imputato, Stefano, si deve presumere che, se
Baccari gli aveva conferito un incarico, esso doveva avere avuto ad oggetto il frazionamento
dell’immobile, non certo l’abuso edilizio contestato.
Rushton
1) violazione di legge per erronea valutazione delle prove e, di conseguenza, vizio
della motivazione. Si ricorda, infatti, che i lavori in questione hanno conosciuto due fasi: una
prima, collocata tra ottobre 2007 e marzo 2008, in cui sono stati eseguiti i lavori abusivi, ed
una seconda, tra giugno 2008 e novembre 2009, in cui sono stati realizzati lavori leciti.
Orbene, la signora Rushton non ha nulla a che vedere con i lavori della prima fase. In
quel periodo, infatti, la Rushton è solo l’ignara proprietaria dell’immobile sito altrove a circa 40
km in linea d’aria.
Si contesta, altresì, l’affermazione dei giudici di merito secondo cui l’imputata avrebbe
avuto interesse ai suddetti lavori viste le notevoli dimensioni dell’immobile e comunque, non
essendo verosimile che ella potesse, poi, procedere alla vendita – come le si contesta – di un
immobile abusivamente realizzato.
Né può essere ascritto alla ricorrente di non essersi informata sulle possibilità
edificatorie concesse dagli strumenti urbanistici vigenti perché è provato che anche la DIA fu
presentata dall’arch. Stefano e non risulta che ella abbia firmato alcunché nella prima fase dei
lavori.
In buona sostanza, la ricorrente non ha mai avuto la disponibilità fisica del bene, non
aveva alcun interesse specifico a realizzare i lavori, non è mai stata rintracciata sul luogo dei
lavori, e l’unica volta che si è interessata è stato per incaricare un tecnico qualificato che ha
richiesto lavori di frazionamento perfettamente leciti;
2) erronea applicazione della legge penale in quanto non si può ascrivere ad un
soggetto un reato edilizio per il solo fatto che egli ne sia il proprietario. La responsabilità
penale è personale e ne deve essere anche dimostrato l’elemento psichico. Il che non è
avvenuto nella specie.
I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione manifestamente infondati.

I ricorsi sono inammissibili perché in fatto e, comunque,

2

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso,
deducendo:
Baccari
perché il reato ascritto al Baccari è
1) erronea applicazione della legge penale
un reato proprio, ascrivibile, cioè solo al titolare del permesso di costruire, al committente o al
costruttore. Nella specie, non è specificato quale sia la figura da ricondurre alla persona del
ricorrente.
L’imputazione e la sentenza di primo grado, infatti, parlano di “esecutore” mentre la
sentenza d’appello definisce il Baccari “effettivo” committente ma, in realtà, il ruolo di
committente è stato riconosciuto solo alla Rushton ed a Baccari Patrizia. Al massimo, quindi si
sarebbe potuto contestare un concorso dell’extraneus con l’intraneus ma ciò non è avvenuto
e, difettando la contestazione in tal senso, il Baccari non si è potuto difendere.;

Medesima sorte merita il suo secondo motivo di doglianza che, muovendosi nella
medesima ottica del motivo precedente, tenta di ottenere da questa corte di legittimità una
rivisitazione delle prove al fine di trarne conseguenze a lui più favorevoli.
Si tratta, però, di un auspicio frutto di un palese fraintendimento del ruolo che questa
S.C. deve svolgere, specie nel controllo della motivazione. Esso, infatti, deve essere solo
diretto a verificarne la esistenza, la corrispondenza alle risultanze probatorie e che, queste
ultime, siano state commentate in modo non manifestamente illogico né contraddittorio. In
tale verifica, non rientra certamente la possibilità di apprezzare le eventualità – pur esistente che gli stessi fatti siano suscettibili di una diversa lettura perché, se ciò si facesse, questa fase
processuale si trasformerebbe in un terzo grado di merito.
Non può quindi essere destinato ad accoglimento il tentativo del Baccari di riproporre la
sua confessione semplicemente nell’ottica, minimizzatrice, di una illustrazione del suo aiuto alla
sorella nell’acquisto della casa attraverso la presentazione dell’architetto Stefano. Peraltro,
come si sottolinea bene nella sentenza, il Baccari aveva un concreto interesse alla realizzazione
di lavori finalizzati a creare due distinte unità immobiliari, su tre piani abitabili, di cui usufruire
separatamente sì da potersi individuare in lui il vero committente dei lavori visto che – si
ricorda – «è solo con il coinvolgimento della compagna (la Rushton n.d.r.) nella operazione di
acquisto e ristrutturazione dell’immobile che la Baccari era riuscita ad ottenere il mutuo
bancario per acquistare una casa ove abitare».
Infine, ovvio ricordare che, come da contestazione, egli si era fatto carico della
esecuzione materiale dei lavori di cui aveva esperienza per essere stato titolare di una impresa
edile. È, perciò, del tutto inconferente il richiamo alle conseguenze che si dovrebbero trarre
sul piano logico dalla assoluzione dello Stefano (vale a dire, la esclusione dell’abuso), fermo restando
che, nuovamente, si tratta di un tentativo di far rivalutare i fatti in un’ottica differente.
Il tutto senza mancare di soggiungere anche una certa contraddittorietà della linea
difensiva visto che la stessa sentenza dà per incontestata l’esistenza dell’abuso (evidenziando che
tutte le difese si sono limitate ad invocare una esclusione delle rispettive responsabilità).

3.2. Per quel che attiene al ricorso della Rushton, sebbene in entrambi i motivi
sia denunciata una presunta erroneità nell’applicazione della legge (processuale, per il primo motivo
e, penale, per il secondo), è abbastanza evidente che ciò che viene con essi contestata è la
interpretazione dei fatti e delle prove data dai giudici di merito e, per l’effetto, le conclusioni
raggiunte.
Ed infatti, quanto al primo motivo, il vizio risiederebbe nella errata valutazione delle
prove e, di conseguenza nella motivazione del provvedimento ma l’errore prospettico è
evidente. Un vizio motivazionale non dà mai luogo a violazione di legge se non quando il
difetto della motivazione consista nel fatto di non esistere graficamente o di essere apparente
mentre l’eventuale illogicità manifesta può denunciarsi, nel giudizio di legittimità, soltanto
tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice
(su, 28.1.04, Bevilacqua, Rv. 226710).

Pertanto, il presente ricorso deve essere esaminato secondo i parametri, sopra indicati,
che guidano il vaglio della motivazione da parte del giudice di legittimità ed, in tale ottica, non
si può che affermare tranquillamente che la sentenza impugnata è fatta bene, è argomentata,
spiega in cosa consistono le prove a carico dell’imputata e trae delle conclusioni del tutto
coerenti con la logica e con i principi di diritto.

3

3.1. Per quel che attiene al ricorso di Baccari Renzo, deve rimarcarsi la
manifesta infondatezza della prima doglianza essendo essa sostanzialmente pretestuosa.
Nel capo di imputazione viene precisato che egli è stato chiamato in causa in quanto
“titolare della Talenti Costruzioni S.r.l.” ma, nel corpo della sentenza, il suo coinvolgimento e,
soprattutto, il suo interesse, sono chiaramente definiti attraverso l’evocazione del fatto di
essere, egli, in strette relazioni di parentela (Baccan Patrizia) e di convivenza (Rushton) con le
proprietarie dell’immobile. Peraltro, il Baccari ha reso piena confessione e le sue parole sono
state confermate dalla Rushton e dall’altro imputato, Stefano il quale ha riferito di «essere
stato incaricato da Baccari Renzo». A tale stregua, il presente tentativo di rimettere in
discussione anche le fondamenta della sua (ammessa) responsabilità, è destinata ad essere
sicuramente disattesa.

Alla Rushton, i fatti in esame vengono ascritti, invero, non solo perché proprietaria
dell’immobile oggetto dei lavori, ma anche, per avere firmato le pratiche edilizie presentate al
Comune in concomitanza con la loro realizzazione. Il tutto, senza tralasciare di sottolineare il
suo intuibile interesse alla realizzazione delle opere perché proprietaria di un bene che, grazie
ai lavori, diventava meglio utilizzabile, ma anche, perché – come già si diceva trattando la
ella ha agito insieme alla Baccari Patrizia, sorella del
posizione del convivente Baccari Renzo
compagno, vale a dire la persona che ha ottenuto il mutuo per la esecuzione delle opere che,
poi, il Baccari Renzo, titolare dell’impresa edile, avrebbe realizzato materialmente.
A fronte di siffatte rilevazioni dei giudici di merito – i quali sottolineano la ricorrenza di plurimi

elementi tra quelli ritenuti necessari a ritenere la responsabilità del proprietario non committente (Sez. m, 12.4.05, n.

la doglianza sviluppata dalla ricorrente nel primo motivo si risolve tutta in una
prospettazione dei fatti sotto una diversa angolazione al fine di delimitare la sua responsabilità
o anche, più semplicemente, in una negazione pura e semplice – e, come tale, insignificante della
esistenza di qualsivoglia interesse al compimento dei lavori.
2612) –

La manifesta infondatezza del motivo che precede si riscontra anche nell’esame del
secondo motivo cui si è in pratica già risposto trattando il precedente.
Non resta che ribadire che, secondo la giurisprudenza di legittimità in materia di reati
edilizi, certamente, il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario di un terreno o di
un immobile sul quale vengono svolti lavori edilizi illeciti, pur potendo costituire un indizio
grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale. Questa S.C. ha, però
soggiunto che, per fondare il giudizio di responsabilità, occorre considerare la situazione
concreta in cui si è svolta l’attività incriminate tenendo conto della eventuale presenza di altri
elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che il proprietario abbia in qualche
modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l’esecutore dei lavori abusivi.
Fra tali elementi vanno ricordati, in forza del principio del cui prodest, l’interesse
specifico ad effettuare una nuova costruzione (sez. III, 8.10.04, Fucciolo, Rv. 230660), la richiesta di
provvedimenti abilitativi, il regime patrimoniale, eventuali legami di parentela con l’esecutore
dei lavori (sez. III, 13.7.05, Farzone, Rv: 232200; Sez. III, 5.7.06, Laforè, Rv. 235134; Sez. III, 24.5.07, De Filippo, Rv. 237405)
o il beneficiario dell’opera) (sez. III, 22.11.07 n. 47083, Tartaglia; Sez. III, 24.5.07 n. 35376, De Filippo; Sez. III, 12.1.07,
n. 8667, Forletti; Sez. III, 5.7.06, n. 33487, Laforè; Sez. III, 4.5.04 n. 24319, Rizzato; Sez. III, 13.7.05, n. 32856, Farzone).

Come si vede, la casistica, molto ampia, propone integralmente elementi indiziari
sussistenti nel caso in esame come evidenziati in precedenza e bene sottolineati dai giudici di
merito con giudizio che si sottrae al sindacato di legittimità, in quanto di merito e non
contrastante 411P con la disciplina in tema di valutazione della prova né con le massime di
esperienza (Sez. III, 24.2.09, Damiano, Rv. 243467).
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e, ciascuno, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di
1000 C.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e,
ciascuno, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.
Così deciso il 7 novembre 2013

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

Il Presidente
(dr. Aldo Fiale)

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