Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6371 del 09/02/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 6371 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Primerano Raffaele, nato a Fabrizia, il 22/01/1971

avverso l’ordinanza del 27/07/2015 del Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Maria Francesca Loy, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Eugenio Minniti, che hanno concluso riportandosi al
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza del 27 luglio 2015 ha
confermato, in sede di riesame, il provvedimento di applicazione della
misura cautelare della custodia in carcere, adottato dal giudice delle indagini
preliminari nei confronti di Raffaele Primerano perché gravemente indiziato,
quale partecipe, del delitto di associazione di tipo mafioso avente carattere

Data Udienza: 09/02/2016

transnazionale ed aggravato dalla disponibilità di armi (art. 416 bis, commi
1-6, cod. pen.; art. 3 legge n. 146 del 2006).
Il Tribunale ha posto a fondamento del formulato giudizio gli esiti etero
ed autoaccusatori di intercettazioni telefoniche captative di conversazioni
intervenute tra sodali dell’associazione, in un più ampio contesto di prova in
cui confluivano anche gli esiti investigativi propri di distinti e connessi
procedimenti, all’interno dei quali erano stati attinti da misure cautelar’ altri
soggetti.
l’operazione denominata “Santa” (come da informative redatte dalla Polizia
federale tedesca (BKA) e dalla polizia criminale dello Stato del BadenWurttemberg (LKA) e, ancora, in Svizzera, all’interno del locale “Bocce
Club”, in applicazione della Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959 e
di rogatoria inoltrata allo Stato tedesco).
Per siffatto articolato quadro indiziario sono stati individuati soggetti,
ulteriori rispetto a quelli già segnalati da pregressi esiti investigativi, e tra
costoro Raffaele Primerano, quali partecipanti a “locali” estere di
‘ndrangheta operanti in Germania ed in Svizzera e facenti capo alla più
ampia struttura denominata Crimine.
Quest’ultima risulta articolata in mandamenti calabresi, operanti nella
Provincia di Reggio Calabria, e, per l’appunto, in ‘locali’ estere in rapporto di
dipendenza con la casa madre reggina.

2. Dai contenuti delle conversazioni intercettate, il Tribunale ritiene
l’esistenza in capo a Raffaele Primerano di gravi e concordanti indizi di un
contributo causale alla vita dell’associazione.
Il contributo, motiva il Tribunale, si è tradotto nella partecipazione
dell’indagato a decisioni di importanza strategica per l’assetto del sodalizio
nella sua proiezione internazionale, in un momento di contrasto, per mire
espansionistiche, tra le ‘locali’ tedesche e quelle svizzere.
Raffaele Primerano gode infatti della posizione di autorevolezza che gli
deriva anche dall’essere il figlio di Giuseppe Antonio Primerano, capo della
locale calabrese di ‘Fabrizia’.
Il Tribunale ha apprezzato l’esistenza delle esigenze cautelari pur nel
tempo trascorso dalle contestate condotte, risalenti agli anni 2009 e 2010,
in ragione di una indimostrata rescissione del vincolo associativo da parte
del cautelando.

2

Le indagini hanno trovato svolgimento anche in Germania per

2. Avverso l’indicata ordinanza, propongono ricorso per cassazione i
difensori di Raffaele Primerano, facendo valere travisamento della prova
tradottosi in vizi di motivazione e violazione di legge (art. 606, comma 1,
lett. b) ed e) cod. proc. pen.).
Il ricorrente denuncia in tal modo i contenuti dell’ordinanza che dispone
la misura cautelare sia per profili relativi all’affermata sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza che per quelli predicativi delle esigenze cautelari con
riferimento all’ipotesi accusatoria prospettata nel provvisorio capo di

416 bis commi 1-6 cod. pen. e 3 legge n. 146 del 2006).
La difesa fa quindi valere la carenza dei necessari gravi indizi sia in
ordine all’esistenza stessa della contestata associazione di stampo mafioso
(quanto: al vincolo di appartenenza; alla forza intimidatrice; alla condizione
di assoggettamento; ai vantaggi patrimoniali ed alle ulteriori attività illecite
dei partecipanti) che della condotta di partecipazione dell’indagato, indizi
che nella loro apprezzata esistenza avrebbero dovuto farsi carico, per
l’adottata motivazione, anche della natura permanente del reato.
Piuttosto, il carattere ambiguo dei contenuti intercettati sosterebbe,
lamenta la difesa, l’inconducenza probatoria degli stessi in quanto esito di
dichiarazioni de relato espressive, nella loro genericità, di un mero
pettegolezzo, e, ancora, in quanto non efficacemente riscontrati in esterno.
La motivazione adottata, inoltre, non avrebbe valutato gli elementi a
discarico offerti dalla difesa, dimentica di una alternativa lettura delle
conversazioni intercettate espressive, come tali, di meri rapporti familiari e
di vicende sorte e risoltesi nell’ambito degli stessi connotati rapporti.
Il provvedimento impugnato non avrebbe offerto degli esiti intercettati
un prudente apprezzamento, risultando i primi soggetti al rischio, come ogni
altra dichiarazione, di essere frutto di errore o di intento decettivo del
propalante.
La difesa evidenzia altresì come, per l’integrazione del necessario
requisito dei gravi indizi di colpevolezza, il compendio di prova non registri,
giusta il ritenuto ruolo dell’indagato, in ragione del maturato decorso del
tempo dai contestati fatti e dell’assenza di precedenti e pendenze, quelle
necessarie tracce, nel territorio della ‘locale di Fabrizia’, di acquisizioni
patrimoniali, relazioni economiche e stabili frequentazioni in capo al
Primerano.

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imputazione (artt. 273 n. 1 – lbis, 292 n. 2 c) e c) bis cod. proc. pen.; artt.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Le censure proposte, peraltro tutte di segno dubitativo dirette a
contestare il carattere di mero ‘pettegolezzo’ del dato propalato„ sono
comunque orientate nel senso di introdurre un esame del merito

che non si presta ad apprezzamento di illegittimità, dal Tribunale.
Né le ragioni addotte dal Tribunale in sede di riesame finiscono per
offrire occasione al ricorrente di condurre un’ autonoma e specifica critica
impugnatoria, incorrendo in tal modo la stessa in vizio di aspecificità.
Secondo constante indirizzo della Corte infatti la mancanza di
specificità dei motivi non evoca soltanto le categoria dell’astrattezza e
della genericità, ma anche la mancata di correlazione tra le ragioni della
decisione e quelle di critica contenute in ricorso.
L’ignoranza delle motivazioni portate nell’impugnata decisione è
destinata quindi a tradursi in vizio di aspecificità e quindi di
inammissibilità della critica stessa, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett.
c) cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta; Sez. 4, n.
34270 del 03/07/2007, Bricchetti; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014,
Lavorato).
L’apprezzato quadro indiziario coglie del ritenuto fenomeno
associativo profili dinamici che vedono l’indagato come pienamente
inserito in logiche di appartenenza secondo un già consolidato assetto di
equilibri tra le varie articolazioni.
Il linguaggio non soffre di aspecificità o di genericità quanto alli
appartenenza dell’indagato a sodalizio criminoso; lo stesso non predica,
poi, come voluto dalla difesa, di difficili e generiche sofferenze maturate
in ambito familistico (giusta esiti di indagini difensive).
L’interpretazione dell’elemento probatorio offerta dai ricorrenti non
fornisce un’ attendibile, alternativa lettura del dato indiziario e come tale
non sortisce l’effetto voluto di scardinare l’argomentare logico contenuto
nell’impugnata ordinanza.
La circostanza che ogni apprezzamento sulla contestazione provvisoria
risulti speso giusta l’ordinanza del Tribunale del riesame secondo una
cognizione di natura cautelare, sostiene in ogni caso il giudizio di
“gravità” degli indizia.

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4

cautelare, reiterando i rilievi già vagliati e disattesi, per una motivazione

Per questi ultimi infatti si richiede, pur non avendo gli stessi il
medesimo grado di certezza e di concludenza delle prove necessarie per
l’affermazione della responsabilità o anche per giustificare il giudizio
dibattimentale, una consistenza tale da far presumere, allo stato degli
atti, con qualificante probabilità, che il reato sia stato commesso
effettivamente e che di esso si sia resa colpevole la persona nei cui
confronti si procede.

.

All’adottata decisione consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in
favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, il 09/02/2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

2. Il ricorso è conclusivamente inammissibile

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