Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6361 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6361 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Zoli Lorenzo, nato a Forlì il 09/03/1978

avverso la sentenza emessa il 27/11/2012 dalla Corte di appello di Venezia

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per sopravvenuta prescrizione del reato contestato, con
conferma delle statuizioni civili;
udito per il ricorrente l’Avv. Alessandro Pinzari, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata, in
subordine la declaratoria di prescrizione del reato addebitato al proprio assistito

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 16/01/2014

Il difensore di Lorenzo Zoli ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe,
recante la conferma della sentenza di condanna del predetto imputato, emessa
dal Tribunale di Venezia il 14/12/2009, alla pena di euro 1.000,00 di multa per il
delitto di diffamazione a mezzo stampa.
I fatti si riferiscono alla pubblicazione, sul quotidiano “Il Gazzettino”,
edizione di Rovigo, di un articolo dal titolo “La casa dei sogni è abusiva: vietato
ristrutturarla”, nel corpo del quale il giornalista Zoli riferiva di una pratica edilizia
su un immobile già di proprietà di Carlo e Paola Rossi: vi si affermava, riportando

acquirenti del bene, poi oggetto di pignoramento per loro inadempimenti) che un
manufatto accessorio all’edificio principale doveva ritenersi abusivo, anche per
essere stato “tombinato” dai precedenti proprietari un canale adiacente, di
pertinenza di un consorzio di bonifica.
Secondo la Corte territoriale, come già per i giudici di primo grado, alcune
delle notizie de quibus non rispondevano alla realtà (fra l’altro, vi era stata
concessione in sanatoria, con il preesistente canale di scolo rimasto inalterato), e
sarebbe stato agevole per l’articolista verificarne l’infondatezza: non era stato
quindi rispettato il primo parametro da osservare per l’operatività del diritto di
cronaca, tanto da doversi considerare che non si fosse trattato di una inchiesta
giornalistica, bensì della mera riproposizione di tesi di parte (quelle del Lazzari e
della Andreotti, protagonisti di un sotteso contenzioso civile e nei cui confronti,
quali iniziali coimputati dello Zoli, la sentenza di condanna in primo grado era già
passata in giudicato).
Con l’odierno ricorso si deduce inosservanza ed erronea applicazione della
legge penale, sotto due profili:
1. in primis, lamentandosi anche contraddittorietà della motivazione, in
quanto il dovere del cronista di verificare l’attendibilità della notizia
avrebbe dovuto intendersi rispettato. Il difensore dello Zoli segnala che
l’imputato aveva inviato sul posto un fotografo, ed aveva anche
esaminato documentazione rilasciata dal competente consorzio di
bonifica: i rilievi fotografici avevano consentito di appurare che la casa
era puntellata e recintata, e che in loco vi era tanto di cartello con l’avviso
del pericolo di crolli, mentre in una nota scritta dell’ente citato si parlava
espressamente di fabbricato abusivo e di canale tombinato;
2. inoltre, con l’ulteriore censura della manifesta illogicità della motivazione
della sentenza impugnata, a proposito della ritenuta facilità con cui il
giornalista avrebbe potuto acquisire dati sul rilascio della concessione in
sanatoria nel frattempo emessa, trattandosi al contrario di notizie
riservate e non accessibili a terzi. Viene quindi ribadita la particolare

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anche le dichiarazioni di altri soggetti (Andrea Lazzari e Cosetta Andreotti, già

affidabilità non solo degli elementi riferiti dal legale del Lazzari e della
Andreotti circa l’esistenza di una causa civile per risoluzione, ma anche di
un documento del 16 ottobre 2003 proveniente dal consorzio di bonifica
“Polesine Adige”, ente pubblico, il cui contenuto «rafforzava nell’odierno
ricorrente la convinzione della veridicità di quanto dedotto nell’articolo di
stampa».
La difesa rileva infine l’intervenuta prescrizione del reato, maturata il

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile, giacché fondato su motivi che
riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame: detti motivi debbono perciò considerarsi non specifici, in quanto il
difetto di specificità del motivo – rilevante ai sensi dell’art. 581, lett. c), cod.
proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza, ma anche
«per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che
quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza
cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett.
c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. IL n.
29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo).
Nel caso in esame, è appena il caso di rilevare che la difesa non coglie – e
sostanzialmente non prova neppure a confutare – gli argomenti ritenuti decisivi
dalla Corte di appello, a conferma della decisione di primo grado: ad esempio, la
circostanza che nel testo dell’articolo si faceva riferimento a due distinte note del
più volte citato consorzio, non soltanto a quella del 16/10/2003, e nell’altra si
dava espressamente contezza dell’intervenuto rilascio di nulla osta alla
concessione in sanatoria; oppure il rilievo che la verifica delle complessive
informazioni necessarie per chiarire la vicenda sarebbe stata semplice, sia
perché si trattava di elementi già ricavabili dai documenti menzionati, sia perché
lo Zoli ben avrebbe potuto interpellare le controparti dei soggetti intervistati (ed
in ogni caso «la documentazione relativa alla regolarità dell’immobile era
perfettamente acquisibile da chiunque, a seguito della procedura di esecuzione»)

2. Non è pertanto possibile ritenere maturata la prescrizione del reato
addebitato al ricorrente. La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata
il 27/03/2013 (dovendosi tenere conto di giorni 18 di sospensione dei relativi

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09/03/2013.

termini, a seguito di un rinvio disposto nel giudizio di primo grado), ergo dopo la
sentenza di appello; tuttavia, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, un
ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per
altra ragione, «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De
Luca, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la prescrizione del
reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; v.

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dello Zoli al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 16/01/2014.

anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi).

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