Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6353 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6353 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Mandile Salvatore, nato a Taranto il 27/01/1970

avverso la sentenza emessa il 02/04/2012 dalla Corte di appello di Bari

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per sopravvenuta prescrizione del reato contestato;
udito per il ricorrente l’Avv. Michele Rossetti, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata, in
subordine la declaratoria di prescrizione del reato addebitato al proprio assistito

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 16/01/2014

Il difensore di Salvatore Mandile ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza di condanna del predetto imputato,
emessa dal Tribunale di Bari il 05/06/2003, alla pena di anni 2 di reclusione per il
delitto di bancarotta fraudolenta documentale: i fatti si riferiscono al fallimento
della Intel Corporation s.r.I., della quale l’imputato era stato legale
rappresentante e le cui scritture contabili risultavano in parte distrutte, in parte
sottratte e comunque non tenute dal 30/06/1996 alla data del fallimento,
dichiarato il 14/04/1997.

1. violazione di legge processuale, in quanto nel giudizio di appello il
processo era stato rinviato dal 13 febbraio al 2 aprile 2012 per un vizio di
notifica, ma la rinnovazione del decreto di citazione nei confronti
dell’imputato era avvenuta solo il 16 marzo, senza dunque il rispetto del
termine di venti giorni previsto dall’art. 601 del codice di rito (a riguardo,
nel ricorso si richiama giurisprudenza di legittimità circa la nullità assoluta
ed insanabile che deriva dall’inosservanza della norma appena ricordata);
2. inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 216 e 217 legge fall.,
nonché carenza di motivazione, circa la ritenuta sussistenza della più
grave ipotesi di bancarotta fraudolenta rispetto alla bancarotta semplice,
come invocato dalla difesa nei motivi di appello (in proposito, si sostiene
che il Mandile era subentrato ad altri nella carica di amministratore
pressoché in concomitanza con l’entrata in vigore del d.l. n. 222 del 1996,
attraverso il quale era stata regolamentata l’attività di esercizio di linee
telefoniche a pagamento con prefissi peculiari, e ne era derivata la
immediata compressione del giro di affari della società, venuta a trovarsi
non più operativa).

Ergo,

non poteva esservi prova dell’elemento

psicologico, non desumibile dalla presunta constatazione della materialità
dei fatti addebitati, ed in ogni caso le tesi difensive – la ricordata
inattività, la mancata prova che il registro dei beni ammortizzabili, in
ipotesi sottratto, fosse stato consegnato al Mandile dagli amministratori
precedenti, come pure la circostanza che parte dei libri erano stati
danneggiati da un cane – risultavano disattese in termini apodittici;
3. l’intervenuta prescrizione del reato, maturata prima del deposito della
motivazione della sentenza di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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Il ricorrente deduce:

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per manifesta infondatezza dei
motivi.
1.1 Quanto al profilo di vizio processuale evocato dalla difesa, è stato in vero
affermato – con la sentenza richiamata nell’interesse del ricorrente – che «la
notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello senza il rispetto del
termine di comparazione di venti giorni previsto dall’art. 601, comma terzo, cod.
proc. pen., determina una nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del
giudizio» (Cass., Sez. I, n. 11864 del 12/10/1995, Purde, Rv 203231). Dopo

recenti – di segno costantemente contrario, tanto da far ritenere che oramai la
giurisprudenza di legittimità sia univocamente orientata in senso opposto alle
tesi difensive.
Già nel 2001, infatti, si è rilevato che «in tema di giudizio di appello,
l’inosservanza del termine minimo di venti giorni stabilito dall’art. 601, comma 5,
cod. proc. pen., per la notifica dell’avviso al difensore non integra una nullità
assoluta ed insanabile (ex art. 178, lett. c, e 179 cod. proc. pen.), ma una nullità
relativa che deve essere dedotta nel termine previsto dall’art. 491 cod. proc.
pen. con la conseguenza che la relativa eccezione non può essere proposta per la
prima volta in sede di legittimità» (Cass., Sez. III, n. 6339 del 19/12/2001,
Altieri, Rv 221581); principio ribadito più volte, fra gli altri interventi, dalla
Sezione VI (n. 24253 del 10/03/2009, Biagioni) e da questa stessa Sezione (n.
35883 del 17/07/2009, Santagata).
1.2 Le doglianze di cui al secondo motivo di ricorso si fondano su motivi che
riproducono ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame: si
tratta perciò di censure da considerare non specifiche, in quanto il difetto di
specificità del motivo – rilevante ai sensi dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen. va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza, ma anche «per la
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non
può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen., all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. II, n. 29108 del
15/07/2011, Cannavacciuolo).
Reiterando le argomentazioni in punto di distruzione di parte delle scritture,
ad esempio, il ricorrente non si fa carico di superare l’osservazione dei giudici di
appello secondo cui l’assunto relativo al danneggiamento ad opera di un cane era
rimasto del tutto indimostrato, come pure la circostanza che durante il periodo di
gestione da parte del Mandile non fossero state compiute operazioni di sorta,

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quella isolata pronuncia, se ne rinvengono tuttavia – assai numerose, e ben più

suscettibili di annotazione nei libri contabili.

La difesa non ha neppure

considerato quanto evidenziato dalla Corte territoriale:
– in punto di richiamo delle argomentazioni del consulente tecnico del P.M., in
base alle quali l’assenza del libro dei beni ammortizzabili aveva «obiettivamente
ostacolato in modo rilevante l’esatta ricostruzione del patrimonio aziendale,
specie ove si consideri che dalla contabilità esaminata era emerso il compimento
di acquisti per oltre 90 milioni ed ammortamenti per oltre 11 milioni – cifre
rispetto alle quali non era stato possibile operare alcun tipo di riscontro – e che

corrispondenti alle voci di bilancio»;
– sulla circostanza, afferente la tenuta del libro giornale e dei registri IVA, che
«le operazioni delle quali non era stato possibile determinare l’esatta consistenza
fossero ricadute proprio nell’arco temporale con riferimento al quale le
menzionate scritture contabili erano risultate assolutamente inidonee alla
ricostruzione del movimento degli affari della società».
In punto di elemento soggettivo, è peraltro consolidata nella giurisprudenza
di legittimità l’interpretazione secondo cui «l’integrazione del reato di bancarotta
fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma primo
n. 2, legge fall., richiede il dolo generico, ossia la consapevolezza che la confusa
tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle
vicende del patrimonio, in quanto la locuzione “in guisa da non rendere possibile
la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” connota la condotta
e non la volontà dell’agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo
specifico» (Cass., Sez. V, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv 247444);
meramente allegata, del resto, è l’ipotesi che parte delle scritture non sarebbe
stata effettivamente consegnata al Mandile nel momento in cui egli subentrò ad
altri nella carica di amministratore di diritto, carica che in ogni caso poneva a suo
carico uno specifico obbligo di tenuta secondo le prescrizioni di legge.
1.3 Non è pertanto possibile ritenere maturata la prescrizione del reato
addebitato al ricorrente. La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata
1’08/08/2012 (dovendosi tenere conto di mesi 3 e giorni 25 di sospensione dei
termini, a seguito di rinvii disposti nel giudizio di primo grado), ergo dopo la
sentenza di appello; per consolidata giurisprudenza di questa Corte, un ricorso
per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra
ragione, «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De
Luca, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la prescrizione del

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in sede di inventario erano stati rinvenuti beni aziendali per valori non

reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; v.
anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Mandile al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 16/01/2014.

così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

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