Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6342 del 18/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6342 Anno 2014
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Lagrotta Vittoria, nata a Pignola il 07/11/1939

avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Potenza il 22/06/2012

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Vittoria Lagrotta ricorre avverso la pronuncia emessa a carico
della sua assistita dalla Corte di appello di Potenza il 22/06/2012, in forza della
quale risulta confermata la sentenza del Tribunale della stessa città del
16/05/2011, recante la condanna dell’imputata alla pena di anni 2 e mesi 6 di
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Data Udienza: 18/10/2013

reclusione per delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, in
ipotesi commessi relativamente alla gestione di una ditta individuale, dichiarata
fallita nel marzo 2002.
Il difensore lamenta contraddittorietà ed illogicità della motivazione con
riguardo alla affermazione della penale responsabilità dell’imputata:
quanto al reato di bancarotta per distrazione, atteso che dall’istruttoria
dibattimentale era emersa la prova dell’avvenuta vendita delle merci (capi
di abbigliamento) non rinvenute all’atto dell’inventario, con tanto di

vetustà dei capi in questione e la necessità di realizzare liquidità anche
per far fronte alle pretese creditorie (peraltro, risultava provato che con il
ricavato di poco più di 1.400,00 euro si era fatto fronte al pagamento
della tassa sui rifiuti). In proposito, nel ricorso si richiama un
orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui non è ravvisabile
il delitto qui contestato, almeno in punto di dolo, laddove un imprenditore
alieni beni al solo fine di estinguere i debiti contratti o di disporre di
congrui finanziamenti onde superare un temporaneo stato di dissesto;
quanto al reato di bancarotta documentale (vengono citati ulteriori
precedenti giurisprudenziali, afferenti sia l’elemento materiale che
l’elemento psicologico necessari per ravvisare il delitto

de quo),

rilevandosi che «non vi sono contestazioni precise, ma si accede ad un
discorso a contrario, facendo rinvenire dalla precedente imputazione la
presente. Invero, non vi sono elementi probanti e per di più dagli stessi
elementi di prova richiamati dalla contestata sentenza vi sono palesi
inadempienze della curatela, che non ha nemmeno tentato di fare
verifiche sulle rimanenze e sul loro valore, nonostante l’indagata non
avesse alcun obbligo di avere un registro magazzino e nonostante che
dalle verifiche della Guardia di Finanza non risultassero anomalie nella
contabilità che è stata consegnata in toto».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile,
1.1 Quanto al primo motivo, va rilevato che le doglianze proposte
riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame: a riguardo, è necessario precisare che il difetto di specificità del motivo
– rilevante ai sensi dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo
in termini di indeterminatezza, ma anche «per la mancanza di correlazione tra le

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regolari scontrini, vendita a prezzi particolarmente scontati data la

ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che
conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.,
all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. II, n. 29108 del 15/07/2011,
Cannavacciuolo).
Nel caso in esame, è appena il caso di rilevare che la difesa non coglie – e
sostanzialmente non prova neppure a confutare – gli argomenti ritenuti decisivi

peraltro presente che già i giudici di appello avevano evidenziato che «le
considerazioni contenute nell’atto di gravame risultano meramente ripropositive
di argomenti già ampiamente valutati nella sentenza appellata». Ad esempio,
nella motivazione della pronuncia oggetto di ricorso si legge che la ditta fallita
aveva annotato ricavi (fra il 1999 e il 2000) per circa 190 milioni di lire, a fronte
di un decremento di magazzino per quasi 900 milioni, il che avrebbe potuto
spiegarsi solo ipotizzando che l’impresa avesse praticato prezzi di vendita
addirittura inferiori dell’80% rispetto a quelli di acquisto: tesi che – oltre a non
trovare riscontri probatori significativi, ben potendo uno scontrino per importo
modesto nascondere piuttosto introiti maggiori – era sconfessata dallo stesso
consulente contabile della ditta de qua, secondo cui la valutazione delle
rimanenze era comunque fatta sul parametro del valore di acquisto dei beni.
Analogamente, la difesa della ricorrente non tiene in alcun conto l’osservazione
dei giudici lucani in base alla quale «se anche si volesse dar credito all’assunto
difensivo, la condotta correlata alla vendita della merce a condizioni di realizzo
integrerebbe ugualmente la fattispecie di reato contestata nell’ipotesi della
dissipazione, essendosi concretizzata in una serie di operazioni sistematiche,
comportamenti la perdita di beni aziendali».
1.2 II secondo motivo di ricorso, oltre ad essere parimenti generico per
obiettiva astrattezza delle doglianze proposte, è a fortiori inammissibile in quanto
– come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, esaminando l’atto di
appello – sulla condanna concernente il reato di bancarotta documentale non era
stato avanzato alcun profilo di gravame, sì da far ritenere che la sentenza di
primo grado fosse in parte qua già passata in giudicato. Rilievo che il collegio
non può che condividere, avuto riguardo al contenuto dell’appello che lo stesso
difensore propose il 05/08/2011.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna della Lagrotta al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla

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dalla Corte territoriale, a conferma della decisione di primo grado, tenendo

volontà della ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle

Ammende.

Così deciso il 18/10/2013.

spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle

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