Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6322 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6322 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI ROMA
nei confronti di:
CAPOGRASSI SERGIO N. IL 19/03/1959
avverso l’ordinanza n. 2451/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
17/08/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. fi” é
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Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 22 luglio 2015 per le indagini preliminari emetteva ordinanza di misura
custodiale nei confronti di:

BALINI Mauro relativamente ai capi A) (associazione per delinquere) ed L) (violazione
degli articoli 81 capoverso e 12 quinquies comma 1 legge numero 356/1992:

AMICUCCI Massimo relativamente ai capi A) (associazione per delinquere), H)
(riciclaggio continuato) ed I) (violazione continuata dell’art. 648 ter c.p.);

SODANO Edoardo relativamente al capi A) (associazione per delinquere);

CAPOGROSSI Sergio relativamente ai capi A) (associazione per delinquere), F) e G)
(riciclaggio continuato).

Nei confronti del provvedimento applicativo della misura presentavano istanza di riesame gli
indagati.
Il Tribunale del riesame con distinti provvedimento ( in data 7 agosto 20115 nei confronti di
BALINI Mauro e SODANO Edoardo;in data 12 agosto nei confronti di AMICUCCI Massimo; in
data 17.agosto 2015 nei confronti di CAPOGROSSI Sergio) aventi analogo contenuto riteneva
che nella vicenda in esame facesse difetto un elemento costitutivo essenziale della contestata
associazione: l’indeterminatezza del programma criminoso e la finalizzazione del sodalizio alla
consumazione di più reati.
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Rilevava che era lo stesso pubblicoYsia nel capo di incolpazione, sia nella descrizione analitica

della condotta associativa contestata, ad affermare che il sodalizio criminoso era finalizzato alla
spoliazione della fallita società e pertanto ad un solo reato, sia pure attraverso plurime
condotte di rilievo penale, analiticamente descritte dall’organo dell’Accusa nella richiesta di
misura cautelare e pacificamente e fondatamente emerse dalle complesse indagini svolte. Il
tutto per consentire al BALINI un illecito arricchimento appropriandosi dei beni sottratti alla
fallita.
In sintesi secondo il Tribunale è del tutto evidente che ciò che viene contestato agli indagati è
quello di avere progressivamente sottratto risorse immobiliari e finanziarie alla fallita sotto
l’abile e attenta regia del BALINI, al cui arricchimento personale miravano le condotte
delittuose consumate da lui e dagli altri indagati. Non c’è stata un’associazione finalizzata alla
consumazione di più reati di bancarotta, coinvolgenti più società, o alla consumazione di
ulteriori reati; neppure la complessità della struttura e degli strumenti societari utilizzati allo
scopo, secondo i giudici di merito, modifica i termini della questione rimanendo sempre unico il
reato-fine per la cui realizzazione sarebbe stata costituita l’associazione e non risultando
almeno nei termini dell’attuale contestazione che la struttura individuata dal pubblico ministero
e dal giudice per le indagini preliminari nella compagine societaria facente capo al BALINI fosse
stata ideata come destinata a sopravvivere alla realizzazione del fine ultimo dell’associazione:
1

ossia la spoliazione della Attività Turistiche Imprenditoriali S.r.l. e alla consumazione di altri
reati. Viene altresì sottolineato che non è un caso che la data di consumazione del reato
associativo (che non viene contestato come reato tuttora in corso) si identifica con la data di
consumazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ossia con la dichiarazione di
fallimento. Secondo il Tribunale non può neppure dirsi che tra i reati oggetto del presunto
programma criminoso vi fossero anche il riciclaggio e il reimpiego delle risorse finanziarie e
immobiliari sottratte alla fallita e ciò per vari ordini di motivi:
nel capo di imputazione non si fa riferimento ad attività ulteriori di riciclaggio e di
reimpiego del denaro e delle utilità provenienti dalla bancarotta fraudolenta, ma solo ad
un’appropriazione di detti beni da parte del BALINI, al quale i proventi delittuosi
vengono fatti confluire direttamente o indirettamente attraverso le numerose società a
lui riconducibili, ciò che in definitiva rappresenta elemento costitutivo del reato di
bancarotta fraudolenta;

il contestato riciclaggio di somme provenienti dal reato di cui al capo B) (bancarotta)
addebitato al CAPOGROSSI, astrattamente configurabile, secondo il Tribunale non
ricorre nel caso in esame essendo la contestato condotta di ripulitura del denaro e di
reimmissione nel circuito economico risalente al mese di ottobre 2007 e quindi
antecedente alla consumazione del reato di bancarotta fraudolenta e dello stesso reato
associativo che, come già evidenziato viene contestato come consumato alla data della
dichiarazione di fallimento, cioè il 17/4/2013. Inoltre al CAPOGROSSI era contestato di
avere ricevuto le somme illecitamente sottratte alla ATI srl che aveva trasferito alla
Brick Real Estate a titolo finanziamento soci per l’acquisto dell’immobile di via Bocche di
Bonifacio, dimora del BALINI utilizzandole, quale amministratore della Yokot Ltd. per
pagare il canone di locazione finanziaria di una lussuosa imbarcazione di fatto in uso al
BALINI. Veniva sottolineato che in tal modo il CAPOGROSSI aveva contribuito con il
dominus della fallenda a sottrarre risorse alla società. L’indagato era a conoscenza della
provenienza delle somme e della illecita sottrazione delle stesse da parte del BALINI ed
era pertanto da ritenere concorrente con il beneficiario finale dell’operazione ossia il
BALINI nella illecita distrazione di somme e altre utilità della ATI srl.

Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma deducendo
che il provvedimento impugnato è incorso:
1. manifesta illogicità e violazione dell’articolo 309 codice di procedura penale
con riferimento all’articolo 416 codice penale.

Sostiene che il Tribunale del

riesame è incorso in un clamoroso errore logico e giuridico laddove ha ritenuto che il
reato associativo fosse rivolto alla commissione del solo reato di bancarotta fraudolenta
per distrazione. Sostiene che, come appare dalla mera lettura del capo di imputazione
2

sub A), il disegno che sottendeva il reato associativo era costituito dalla commissione di
una serie di delitti dei quali la distrazione costituiva solo un tassello intermedio tra
l’emissione/utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, reati per i quali BALINI
aveva già subito condanna, e il riciclaggio /intestazione fittizia dei beni. Rilevava che il
BALINI, come si legge nella motivazione dell’ordinanza genetica, simulando una
posizione debitoria della ATI Srl attraverso le fatture passive per operazioni inesistenti
ed accollandosi il debito ha potuto così vantare un credito nei confronti della ATI e
dunque spacciare per restituzione di somme a lui dovute quelle che erano in realtà

restituzione proseguirono fino al 2010. Il programma di spoliazione della società in vista
del suo fallimento fu condotto per diversi anni in modo lucido e spregiudicato allo scopo
di impinguare, a spese del patrimonio sociale, sia il patrimonio personale del BALINI sia
quello di altre società di sua pertinenza. Il BALINI fu costantemente coadiuvato da tutti
gli indagati nelle sue molteplici attività, volte a realizzare cospicui guadagni, attraverso
la realizzazione di condotte illecite di vario tipo, finalizzate a lucrare quanto più possibile
dallo svuotamento e dal successivo fallimento della ATI Srl, nonché dal reimpiego dei
guadagni in tal modo conseguiti. Sostiene il ricorrente che il Tribunale del riesame,
contrariamente a quanto indicato nell’ordinanza applicativa, ha da un lato
apoditticamente proceduto ad un’equazione secca tra la locuzione disegno espropriativo
e bancarotta fraudolenta per distrazione che, oltre a non essere minimamente
corrispondente al contenuto dell’incolpazione, non trova neppure alcun ancoraggio al
diritto positivo, e dall’altro proceduto ad una incomprensibile mutilazione del capo di
incolpazione, estrapolando dallo stesso solo un passo (quello funzionale alla tesi
sostenuta) e amputando lo stesso di una larghissima parte descrittiva, ossia quella da
cui si evince l’articolazione del programma criminoso attraverso la commissione di più
delitti.
2. Violazione dell’articolo 392 codice di procedura penale. Lamenta che nel corso
delle indagini la determinatezza dell’imputazione subisce un processo di progressiva
raffinazione per nulla considerata dal Tribunale del riesame che ha valutato e
selezionato l’imputazione formulata come se la stessa fosse stata contestata in vista di
un vaglio dibattimentale;
3. violazione dell’articolo 416 codice penale. Lamenta che il Tribunale del riesame
ritiene che non risulta che la struttura individuata nella compagine societaria facente
capo a BALINI fosse ideata come destinata a sopravvivere alla realizzazione del fine
ultimo dell’associazione ossia la spoliazione dell’ATI S.r.l. e alla consumazione di altri
reati. Ritiene che tale assunto si fonda su un’erronea interpretazione della norma
incriminatrice. Rileva che è stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità che per la
configurabilità del reato associativo non è sempre necessario che il vincolo si instauri
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operazioni di distrazione del patrimonio sociale, in vista del fallimento. Le operazioni di

nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato e per fini di esclusivo
vantaggio dell’organizzazione stessa, ben potendo al contrario assumere rilievo forme di
partecipazione destinate “ab origine” ad una durata limitata. Lamenta che il Tribunale
del riesame ritiene che il reato associativo è contestato come consumato alla
dichiarazione del fallimento. Sostiene al contrario che il reato associativo è indicato
come commesso fino alla data del fallimento e ciò perché il programma criminoso ha
avuto inizio con l’emissione di fatture per operazioni inesistenti negli anni 2002-2004, è
proseguito con le condotte distrattive e quindi con l’intestazione fittizia e il riciclaggio.

condotta distrattiva e la dichiarazione di fallimento e a tale data che al momento del
deposito della richiesta di misura ha fatto riferimento nell’imputazione come a quella del
termine del programma criminoso, le cui condotte erano peraltro state integralmente
realizzate negli atti precedenti.
4. Violazione dell’articolo 219 legge fallimentare con riferimento all’articolo 216
comma uno numero uno e due. Rileva che, diversamente da quanto indicato dal
Tribunale, sono state contestate le condotte di bancarotta distrattativa e documentale,
prova ne è che è stata contestata l’aggravante di cui all’articolo 219 legge fallimentare
5. violazione dell’articolo 223 legge fallimentare con riferimento all’articolo 219.
Rileva che è stato contestato anche il delitto di cui all’articolo 223 comma due numero
uno legge fallimentare capo D) della imputazione, reato autonomo rispetto alla
bancarotta fraudolenta per distrazione. Sul punto richiama sentenze di questa corte;
6. violazione all’interpretazione degli articoli 648bis, 648ter codice penale.
Lamenta che il Tribunale del riesame ha sostenuto che il CAPOGROSSI e l’AMICUCCI
essendo a conoscenza della provenienza delittuosa dei beni di cui è contestato il
riciclaggio e o il reimpiego dovrebbero rispondere di concorso in bancarotta per
distrazione. Rileva che se la consapevolezza della provenienza delittuosa trasforma il
riciclaggio in concorso dell’estraneo nel reato presupposto si dovrebbe ritenere da un
lato implicitamente abrogato il delitto di ricettazione post fallimentare e dall’altro gli
articoli 648 bis e 648 ter codice penale in quanto la consapevolezza della provenienza
delittuosa dei beni costituisce il presupposto dell’elemento psicologico del reato di
riciclaggio e il suo preciso ancoraggio al principio di colpevolezza, in assenza del quale si
avrebbe una condotta oggettivamente illecita ma un fatto che difetterebbe di tipicità per
mancanza del dolo

Il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma è inammissibile perché
tardivo non applicandosi nel caso in esame la moratoria feriale dei termini.
L’ordinanza impugnata è stata depositata in data 17 agosto 2015 e comunicata in pari data a
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Rileva che il delitto di bancarotta prevede strutturalmente uno iato temporale tra la

tutte le parti, ivi compreso il ricorrente. Il ricorso è stato depositato in data 7 settembre 2015.
A norma dell’art. 2, legge 7 ottobre 1990, n. 742, come sostituito dall’art. 240-bis, disp. coord.
cod. proc. pen. e ulteriormente modificato dall’art. 21-bis, d.l. 8 giugno 1992, n. 306,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, «1. In materia penale la
sospensione dei termini procedurali, compresi quelli stabiliti per la fase delle indagini
preliminari, non opera nei procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare,
qualora essi o i loro difensori rinunzino alla sospensione dei termini. 2. La sospensione dei

criminalità organizzata (…)».
La deroga alla moratoria feriale prevista dal secondo comma dell’art. 240 bis presuppone che il
procedimento abbia ad oggetto un reato di criminalità organizzata. Formula questa che
identifica una classe di reati, mai effettivamente definita dal legislatore, pur essendo evocata in
diversi contesti normativi.
Cosa debba intendersi per “procedimenti per reati di criminalità organizzata” è dunque
questione rilevante ai presenti fini, atteso che l’applicabilità della disposizione summenzionata
dipende dalla sua soluzione.
Con riguardo al significato che il concetto assume proprio ai fini della sospensione feriale dei
termini sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza Petrarca (n. 17706
del 22/03/2005, Petrarca, Rv. 230895) che hanno affermato il seguente principio: “ai fini
dell’applicazione dell’art. 240 bis, comma secondo, disp. coord. cod. proc. pen., che prevede
l’esclusione, operante anche per i termini di impugnazione dei provvedimenti in materia di
cautela personale, della sospensione feriale dei termini delle indagini preliminari nei
procedimenti per reati di criminalità organizzata, quest’ultima nozione identifica non solo i reati
di criminalità mafiosa e assimilata, oltre i delitti associativi previsti da norme incriminatrici
speciali, ma anche qualsiasi tipo di associazione per delinquere, ex art. 416 cod. pen.,
correlata alle attività criminose più diverse, con l’esclusione del mero concorso di persone nel
reato, nel quale manca il requisito dell’organizzazione. (Fattispecie nella quale la Corte ha
annullato senza rinvio l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame aveva ritenuto
tempestivo, sull’erroneo presupposto della sospensione feriale dei termini, l’appello del P.M.
avverso un provvedimento del G.i.p. reiettivo della richiesta di misure cautelari personali nei
confronti di numerose persone indagate per associazione per delinquere finalizzata alla
commissione dei reati di ricettazione, truffa e falso diretti all’approvvigionamento e alla
cessione di farmaci ad azione dopante) (principio ribadito anche da SSUU n. 37501/2010
Rv. 247994: fattispecie relativa alla contestazione dei reati di omicidio, ricettazione e porto
d’armi con l’aggravante mafiosa, nell’ambito di un procedimento nel quale, ad altri indagati,
erano state mosse contestazioni di tipo associativo, sicché, per tale motivo, la Corte ha escluso
potesse ritenersi operante la moratoria feriale dei termini e da Sez. III, n. 36927/2015 Rv.
5

termini delle indagini preliminari di cui al primo comma non opera nei procedimenti per reati di

265023)
La sentenza Petrarca, dopo un’attenta ricognizione dei precedenti, ha espresso una piena
adesione all’indirizzo “criminologico”, affermando che la norma derogatoria in materia di
• sospensione dei termini “deve intendersi riferibile non solo ai reati di criminalità mafiosa ed
assimilata, e ai delitti associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma anche a qualsiasi
tipo di “associazione per delinquere”, ex art. 416 cod. pen., correlata alle attività criminose più
diverse. Con l’intervento del 1992, il legislatore ha inteso impedire che si fermino durante il

nell’opinione pubblica, perché incentrate sull’esistenza di “apparati organizzativi di rilievo”, ove
l’elemento strutturale, posto al servizio di progetti delinquenziali comprendenti una pluralità di
reati, assume importanza preminente rispetto alla condotta dei singoli soggetti. In questo
senso l’esistenza di una associazione per delinquere, per quanto qualificata secondo il “modello
base” del nostro ordinamento, è fattore sufficiente ad integrare una fattispecie di “criminalità
organizzata”. Fattore sufficiente ma anche necessario, perché l’assenza di una struttura
stabile, che esprima per se stessa un’autonoma caratura criminale del fenomeno considerato,
rende invece irrilevanti fatti privi di consistenza associativa, sebbene eventualmente
caratterizzati dalla cooperazione organizzata di più persone: le Sezioni unite hanno dunque
escluso, espressamente, che possano considerarsi procedimenti di “criminalità organizzata”
quelli pertinenti a semplici sequenze di reati concorsuali.
Deve aggiungersi che la sentenza Petrarca decidendo proprio sulla eventuale tardività del
differimento della presentazione dell’impugnazione cautelare del pubblico ministero al
compimento del periodo feriale, condividendo le conclusioni assunte nella sentenza Gianmaria
(sentenza n. 8 maggio 1996 (dep. 26 giugno 1996), n. 12,) ha nuovamente ribadito che
l’eccezione alla moratoria feriale prevista dal secondo comma dell’art. 240 bis per i
procedimenti di criminalità organizzata riguarda tutti i termini della fase preliminare e dunque
anche quelli relativi alle impugnazioni cautelari, precisando altresì che l’estensione all’incidente
cautelare della disciplina derogatoria non presuppone “l’esistenza di uno status custodiale”,
che, al contrario, è richiesto solo per l’operatività dell’eccezione prevista nel primo comma
dello stesso articolo.
Occorre anche ricordare che, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza
n. 37501/2010 Rv. 247994„ che, ai fini dell’applicazione della norma in argomento non conta
la situazione specifica del singolo indagato ma la sua collocazione nell’ambito di un
procedimento di criminalità organizzata, perché, come già indicato, la ratio della disciplina è
quella di evitare che le indagini preliminari subiscano pause o decelerazioni potenzialmente
pregiudizievoli del risultato dell’attività d’indagine, e tale esigenza può essere compromessa se
si consentissero, nell’ambito dello stesso procedimento, dilazioni nella definizione di procedure
incidentali riguardanti la posizione di questo o quello indagato, posto che tali procedure sono
intimamente connesse all’attività d’indagine e ne influenzano la pronta definizione
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periodo feriale i procedimenti concernenti condotte criminali che suscitano particolare allarme

Alla luce di quanto indicato è evidente che la sospensione dei termini non può trovare
applicazione nel procedimento in esame relativo anche alla violazione dell’art. 416 c.p. con
conseguente tardività del ricorso del Procuratore della Repubblica presentato oltre i termini
previsti dall’art. 311 c.p.p.
Il ricorso è pertanto inammissibile.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deliberato in Roma il 25.11.2015
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

P.Q.M.

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