Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6320 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6320 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAGLIONICO CARMINE N. IL 18/10/1979
RICCITIELLO MARIO N. IL 06/06/1987
avverso la sentenza n. 3289/2015 TRIBUNALE di MILANO, del
10/06/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
lette/site le conclusioni del PG Dott. Por2eA
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 25/11/2015

.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 10 giugno 2015 il Tribunale di Milano applicava a RICCITIELLO Mario la pena
di mesi quattro di reclusione ed C 200,00 di multa e a PIGLIONICO Carmine la pena di mesi 6 di
reclusione ed C 200,00 di multa per concorso in truffa.
Avverso tale decisione propongono ricorso per Cassazione personalmente gli imputati deducendo

anche mancata applicazione dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi
dell’articolo 131 bis cod. pen. introdotto dal decreto legislativo 16 marzo 2015 n. 28, rilevando che
trattasi di norma sostanziale con conseguente applicazione ex art. 2 co 4 c.p., come riconosciuto
dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 15449/2015
Il RICCITIELLO con il secondo motivo di ricorso si duole della mancata applicazione dell’art. 131 bis
cod. pen., disposizione introdotta dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, recante “Disposizioni in materia
di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m),
della legge 28 aprile 2014, n. 67”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 2015 e in vigore
dal 2 aprile 2015,.
Con riguardo a quest’ultima doglianza, premesso che la sentenza è successiva all’entrata in vigore
del d.lgs. 16 marzo 2015, deve rilevarsi che l’art. 131 bis prevede che nei reati per i quali è
stabilita pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero pena pecuniaria, sola o
congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per
l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di
particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L’istituto si innesta nell’ambito di una
sequela di interventi normativi che hanno una chiara finalità di deflazione del carico giudiziario. La
stessa collocazione all’interno del Titolo contenente le disposizioni relative alla “determinazione del
giudice in ordine alla pena”evidenzia come l’istituto si indirizza ad espellere dal sistema penale fatti
che abbiano già superato il vaglio della tipicità ma per i quali, in ragione della loro esigua
offensività in concreto, non si giustifichi l’irrogazione della pena né a rigore lo svolgimento del
processo. La valutazione giudiziale in ordine alla particolare tenuità dell’offesa deve infatti essere
effettuata, per espressa indicazione normativa, sulla base dei parametri inerenti alla gravità del
reato di cui al 1° co. dell’art. 133 (modalità dell’azione; gravità del danno o del pericolo; intensità
del dolo o grado della colpa).
Il legislatore del 2015 ha ritenuto, in presenza di fatti in concreto bagattellari (fattispecie che nella
loro configurazione in astratto possono essere corredate da cornici di pena anche severe, ma che
nella loro manifestazione in concreto possono dar vita a situazioni di un esiguo disvalore penale) di
rinunciare all’applicazione della pena, in ossequio in definitiva ad un principio di ultima ratio ed
avuto riguardo ad autori per cui non si pongono esigenze di prevenzione speciale. Al contempo si
sono apprestati istituti in grado di conseguire obiettivi di deflazione processuale, consentendo una
rapida fuoriuscita dal sistema penale di fatti di esigua offensività che non giustificherebbero la
celebrazione del processo. In questa prospettiva la soluzione contenuta nel decreto legislativo si è
fatta carico di entrambe le esigenze costruendosi la particolare tenuità del fatto in chiave di non

carenza di motivazione con riguardo alla pronuncia di colpevolezza, RICCITIELLO Mario deduce

punibilità ma prevedendo la possibilità di rilevare la causa già nel corso delle indagini preliminari in
sede di richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero.
Il decreto legislativo delegato n. 28 del 2015 ha infatti dettato una disciplina relativa alle modalità
applicative del nuovo istituto esclusivamente per la fase precedente la pronuncia del decreto di
archiviazione (art. 2) e della sentenza di proscioglimento pre-dibattimentale ex art. 469 cod. proc.
pen. (art. 3, comma 1, lett. a). All’art. 3, comma 1, lett. b, è stata regolamentata in modo
espresso anche l’efficacia (nei giudizi civili ed amministrativi) della sentenza di proscioglimento per
particolare tenuità del fatto emessa “in seguito a dibattimento” o a giudizio abbreviato “a norma

Niente è stato invece stabilito per il patteggiamento. Con riferimento a detto rito alternativo, in
assenza di disposizioni espresse, il potere del giudice di pronunciare una decisione liberatoria è
quindi ancorato esclusivamente alla disposizione di cui all’art. 129 cod. proc. pen. I possibili esiti
della richiesta di applicazione della pena concordemente formulata delle parti sono infatti
rappresentati, alternativamente, dal suo accoglimento, dal suo rigetto, ovvero dalla pronuncia di
una sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129. Regola che prevede l’obbligo dell’immediata
declaratoria di determinate cause di non punibilità che il giudice “riconosce” come già acquisite agli
atti.
E’ evidente quindi che nel procedimento disciplinato dall’art. 444 le cause che possono dare luogo
ad un proscioglimento non debbono discendere da un esame nel merito della fattispecie, dal
momento che questo può avvenire solo in contraddittorio ovvero nel giudizio, al quale le parti, col
formulare la richiesta di applicazione della pena, hanno rinunciato.
Ciò detto deve rilevarsi che, come già indicato, il legislatore, attraverso l’art. 131 bis c.p., ha
privato alcune fattispecie di reato, individuate sulla base di un criterio quantitativo, del loro
disvalore non già in astratto, ma soltanto all’esito di una valutazione giudiziale “personalistica”,
dovendosi avere riguardo alla particolare tenuità del fatto, articolata in due “indici-requisiti” che
sono la modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, e la non abitualità del
comportamento,con la conseguenza che il nuovo istituto non può prescindere da un accertamento
nel merito ( in tal senso Cass. N. 32989/2015).
Si ritiene pertanto che l’istituto in argomento, in assenza di specifiche disposizioni di legge, non
possa trovare applicazione nel procedimento ex artt. 444 c.p.p. Il proscioglimento ex art. 129 è
infatti possibile soltanto se ictu ocu/i risulti la sussistenza di una causa di non punibilità senza
necessità di alcun approfondimento probatorio e di ulteriori acquisizioni. In dottrina viene
sottolineato, per ritenere che tale norma non possa essere richiamata per la non punibilità di cui
all’art. 131 bis c.p., il fatto che il legislatore (contrariamente a quanto inizialmente previsto nello
schema di decreto legislativo presentato dal governo alle Camere) non è intervenuto a modificare
l’art. 129 c.p.p.
Deve comunque rilevarsi che il ricorrente ha invocato la non punibilità per particolare tenuità del
fatto, in maniera del tutto generica, senza indicare alcun elemento specifico al riguardo non
esaminato dal primo giudice.
Generica è anche la doglianza sollevata con il primo motivo, considerato che il giudice,
nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato al contenuto nell’accordo tra le parti e

dell’art. 442 “, prevedendola quindi come possibile esito decisorio di questi.

dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art. 129 c.p.p., facendo riferimento in
particolare, al verbale di arresto e alle ammissioni degli imputati in sede di convalida.

Tale

motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della
pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di
decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. un. 27 marzo 1992, Di
Benedetto; Sez. un. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un. 25 novembre 1998, Messina).
I ricorsi devono essere respinti e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processu
Così deliberato in Roma il 25.11.2015
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

P.Q.M.

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