Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6311 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6311 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

Data Udienza: 11/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PILERI SERGIO N. IL 28/11/1959
avverso l’ordinanza n. 1356/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
14/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
Péisentite le conclusioni del PG Dott. Ftt
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C1)–;

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza in data 12 luglio 2015 il Tribunale del riesame di Roma respingeva l’appello
proposto da PILERI Sergio avverso il provvedimento del Tribunale di Roma che il 10 aprile
2015 aveva rigettato l’istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare in carcere
disposta nei suoi confronti perchè imputato di concorso in tentato riciclaggio.
Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, deducendo che il provvedimento
impugnato è incorso in:

del giudicato cautelare. Lamenta che nel caso di specie il tribunale del riesame ha
sostenuto che si fosse consumato il giudicato cautelare in ordine alla sussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza in considerazione delle precedenti ordinanze del
medesimo tribunale e delle valutazioni effettuate dalla Suprema Corte. L’ imputato
non avrebbe apportato alcuna novità probatoria capace di superare tale preclusione.
Contesta di avere fornito almeno tre elementi di prova mai valutati dagli organi
giudiziari di merito e di legittimità che in precedenza erano stati sollecitati in ordine
alla permanenza della misura coercitiva personale. Il primo elemento è
rappresentato dalla sentenza del tribunale civile di Palermo richiamata integralmente
nell’atto di appello cautelare in ordine alla quale il tribunale del riesame si è limitato
ad affermare che la stessa non è irrevocabile e quindi non poteva spiegare alcun
effetto nella verifica degli elementi a discarico. Il secondo elemento sarebbe
rappresentato dalla parziale attività istruttoria dibattimentale, in particolare
dall’escussione dei consulenti tecnici del pubblico ministero. Il terzo elemento viene
individuato negli elementi di prova documentale prodotti in dibattimento e che erano
già stati posti a sostegno delle ragioni accolte dal tribunale civile.
2. Mancanza assoluta di motivazione, motivazione apparente e manifesta illogicità. Una
volta superato la questione del giudicato cautelare lamenta il ricorrente che il
tribunale del riesame non si è confrontato con le nuove emergenze (sentenza del
giudice civile, documenti prodotti dalla difesa) con riguardo alle singole vicende
esaminate. Rileva che il tribunale avrebbe potuto anche respingere le doglianze
difensive ma con una sufficiente ed adeguata motivazione. Era stata infatti segnalata
la mancata valutazione da parte dei consulenti del pubblico ministero e
conseguentemente del gip che ha emesso l’ordinanza genetica e dei giudici che
successivamente hanno avuto modo di esaminare le vicende cautelare dei cosiddetti
“patti parasociali” il cui contenuto viene riportato in ricorso.
3. Violazione dell’articolo 274 codice di procedura penale. Lamenta l’erronea
interpretazione della norma denunciata in tema di ricorrenza di rischio di recidivanza.
Rileva che il tribunale del riesame si è limitato a richiamare il proprio giudizio di
persistenza dei presupposti per il mantenimento in carcere dell’imputato facendo
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1. violazione dell’articolo 606 comma 1lett.C) codice di procedura penale. Insussistenza

proprie le considerazioni già espresse nel precedente provvedimento. Evidenzia che
con tale richiamo il tribunale del riesame ha escluso che nella valutazione del rischio
di recidiva debba essere considerata “l’attualità” del pericolo, considerato che la
valutazione espressa nel provvedimento richiamato è riferita ad un momento assai
lontano nel tempo

I primi due motivi di riscorso, seppure da diverse angolature investono la medesima doglianza:
mancata valutazione di quelli che il ricorrente definisce elementi di novità in grado di superare

del giudice civile, nella parziale attività istruttoria espletata (escussione dei consulenti tecnici
del pubblico ministero) e nei documenti prodotti dalla difesa.
Ciò detto deve rilevarsi che correttamente il tribunale del riesame ha ritenuto che la sentenza
del tribunale civile di Palermo (avente ad oggetto la richiesta di risarcimento danni avanzata
dall’amministrazione giudiziaria della Sirco spa nei confronti del prevenuto e dei coimputati nel
medesimo procedimento penale pendente) che ha rigettato tutte le domande attrici non poteva
considerarsi un elemento di novità, a fronte del gravissimo compendio indiziario che grava sul
prevenuto in ragione, non solo della non ancora divenuta irrevocabilità della stessa, ma
soprattutto delle diverse finalità perseguite nel processo civile e nel processo penale, dei
diversi criteri di formazione della prova e della quasi completa autonomia e separazione tra i
due processi voluta dal legislatore. Questa Corte ha avuto modo di affermare con riguardo a
sentenza civile definitiva che l’intangibilità degli effetti del giudicato civile è ancorata
all’oggetto specifico della controversia civile, come delimitato dagli ordinari elementi costitutivi
(soggetti, petitum e causa petendi), ma non impedisce, anche in difetto dell’esperimento
dell’impugnazione straordinaria della revocazione, che in sede penale si proceda ad
accertamenti di tipo diverso ( Cass. N. 35235 del 2007 Rv. 237858 n. 27062 del 2015 Rv.
263949). Con esclusione delle questioni di stato o di cittadinanza (art. 3 cod. proc. pen.), il
giudicato civile non fa stato rispetto alle questioni che il giudice penale è chiamato
autonomamente a decidere, con la conseguenza che è improponibile un sistema di
pregiudizialità civile e di rilevanza penalistica del giudicato civile come il ricorrente prospetta.
Con riguardo alle ulteriori doglianze non può che rilevarsi che, secondo costante giurisprudenza
di legittimità (ex multis SS.UU. 12 ottobre 1993 – 11 gennaio 1994, n. 23), soltanto un
successivo apprezzabile mutamento del fatto evita l’effetto preclusivo di un precedente giudizio
cautelare. Ne consegue che le questioni dedotte,in difetto di nuove acquisizioni probatorie che
implichino un mutamento della situazione di fatto sulla quale la decisione era fondata, restano
precluse nel procedimento cautelare attivato da una richiesta di revoca della misura
dell’indagato
Ciò detto deve rilevarsi che con le ulteriori questioni il ricorrente lungi dal prospettare specifici
elementi probatori in grado di determinare un mutamento della situazione di fatto posta a
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la preclusione del giudicato cautelare. Elementi di novità che sono individuati nella sentenza

fondamento della misura, chiede una rivalutazione della gravità indiziaria alla luce della iniziata
istruttoria dibattimentale e del compendio probatorio documentale allegato dalla difesa.
E’ infatti discutibile che esami dibattimentali di consulenti di parte, peraltro genericamente
richiamati nei motivi d’appello, possano determinare un apprezzabile mutamento del fatto che
consenta di superare il così detto giudicato cautelare. Le consulenze al pari delle perizie si
limitano infatti a fornire al giudice ed alle parti soltanto nuovi argomenti per interpretare i fatti.
Con riguardo agli elementi documentali deve rilevarsi che gli stessi sono stati genericamente

provvedimento di rigetto aveva tralasciato di considerare una importante porzione
dell’istruttoria: la produzione di diversi faldoni, sia da parte del pubblico ministero che da parte
delle difese, contenenti decine di migliaia di pagine relative ai documenti sopra indicati, i quali
già da soli forniscono un forte segnale di novità rispetto alla situazione presente al momento di
applicazione della misura.
Si è trattato pertanto di motivi di gravame del tutto generici.
Non è pertanto annullabile per difetto di motivazione l’ordinanza in argomento per il fatto che
ha omesso di prendere in esame un motivo di impugnazione che, per essere privo del requisito
della specificità, avrebbero dovuto essere dichiarato inammissibile. Sussiste, infatti, un
effettivo interesse dell’imputato a dolersi della violazione solo quando l’assunto difensivo posto
a fondamento del motivo sia in astratto suscettibile di accoglimento.( Cass. N. 2415 del 1984
Rv. 163169, N. 154 del 1985 Rv. 167304, N. 16259 del 1989 ; Cass Sez. 4 n. 1982/99; Cass
Sez. 4 n. 24973/09)
Solo in sede di ricorso viene fatta menzione ai patti parasociali dei quali si chiede a questa
Corte una valutazione, al solo fine di verificare se in astratto l’esame di tale documento
avrebbe potuto incidere sull’esito del giudizio
Sul punto deve rilevarsi che il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è
delineato dall’art. 609 c.p.p., comma 1, il quale ribadisce in forma esplicita un principio già
enucleato dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di
ricorso proposti.
Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e
degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581 c.p.p., comma 1,
lett. c), e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto
della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al
ricorso per cassazione.
La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con quella dell’art. 606 c.p.p.,
comma 3 nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non
prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la
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prospettati al Tribunale del Riesame dove è stato solo indicato che il Tribunale di Roma nel

proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un
rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento
impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di
appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di
motivazione del relativo provvedimento con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio
perché mai investito della verifica giurisdizionale.
Correttamente il Tribunale del Riesame ha ritenuto che nessun elemento nuovo era stato

indiziaria, ma anche le esigenze cautelari.
Anche in questa sede il ricorrente non indica elementi nuovi in grado di incidere sulle esigenze
cautelari limitandosi a richiamare sostanzialmente il decorso del tempo che è condotta di per
sé non sintomatica di resipiscenza.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali, e al versamento della somma di 1.000,00 euro in favore
della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e al versamento della somma di 1.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Si
provveda a norma dell’art. 94 Disp. Att. c.p.p.
Così deliberato in Roma 1’11.11.2015
Il Consigliere estensore
Giov nna VERGA

avanzato con riguardo al giudicato cautelare che investiva non solo la sussistenza della gravità

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