Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6309 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6309 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TARABUGI GRAZIANO N. IL 23/04/1959
avverso l’ordinanza n. 1/2015 CORTE APPELLO di GENOVA, del
29/04/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
lette/senti:te le conclusioni del PG Dott.

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4Z-

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 11/11/2015

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorre per Cassazione TARABUGI Graziano avverso l’ordinanza emessa in data 29 aprile
2015 dalla corte d’appello di Genova con la quale veniva respinta l’istanza di ricusazione
avanzata nei confronti del Dott. Alessandro RANALDI, presidente del collegio del
Tribunale di LA SPEZIA che doveva giudicare il ricorrente
A fondamento del ricorso si sostiene violazione di legge e vizio della motivazione.
Lamenta il ricorrente di essere già stato giudicato dal Dott. RANALDI per fatti relativi ad

Lamenta che la corte territoriale ha offerto una motivazione carente e contraddittoria
nella parte in cui ha affermato la non comparabilità tra l’ipotesi di concorso formale e
quella di reato continuato, proprio alla luce delle decisioni della corte costituzionale citate
nell’istanza di ricusazione
Il ricorso è infondato
E’ indubbio il carattere tassativo delle cause di ricusazione, la cui eccezionalità è
giustificata dalla considerazione che esse sono limitative del potere giurisdizionale e
consentono un’ingerenza delle parti in materia di ordinamento giudiziario, attinente al
rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice e quindi sottratta d’ordinario alla
disponibilità delle parti e dello stesso giudice ( N. 1606 del 1997 Rv. 207491, N. 2798 del
1999 Rv. 214340 N. 3920 del 2000 Rv. 215315; N. 15861/2001 Rv. 218669) . Proprio
in quest’ottica, la Corte costituzionale, con sentenza 14-7-2000 n 283, ha affermato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 37 c.p.p., comma 1 nella parte in cui non prevede che
possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di
un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di
merito sulla stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto.
Al riguardo è stato rilevato dai giudici delle leggi che non è sufficiente, ai fini della
individuazione dell’attività pregiudicante, che il giudice abbia in precedenza avuto mera
cognizione dei fatti di causa, raccolto prove, ovvero si sia espresso solo incidentalmente e
occasionalmente su particolari aspetti della vicenda processuale sottoposta al suo giudizio
(v. la costante giurisprudenza costituzionale in materia e, in particolare, le sentenze nn.
131 e 155 del 1996 e le decisioni in queste richiamate, nonchè, da ultimo, le ordinanze
nn. 444, 153, 152, 135 e 29 del 1999, 206 e 203 del 1998 e la sentenza n. 364 del
1997).
E’ quindi necessario che le funzioni esercitate dal giudice nei due procedimenti – quello
pregiudicante e quello pregiudicato – comportino una valutazione di merito collegata alla
decisione finale della causa e non abbiano carattere meramente delibatorio, incidentale o
si sostanzino in una semplice raccolta di prova. Sulla base di tali principi è stata ritenuta
irrilevante la mera connessione probatoria fra due procedimenti, non comportando essa,
come correttamente rilevato dal RG., una valutazione di merito sullo stesso fatto e nei
1

imputazioni connesse ex art. 81 cpv c.p. con quelle relative al procedimento in corso.

confronti del medesimo soggetto (Cass n. 14/2014) Così come è stato negato possa
essere dedotta, quale causa di ricusazione dei giudici di un collegio, la già intervenuta
valutazione, da parte dei detti magistrati, dell’attendibilità delle dichiarazioni dei
chiamanti in correità, in occasione di altri procedimenti (Sez. 6, 9-3-1999, Craxi, rv. n.
213666).
Nel caso di specie risulta solo che il dottor Ranaldi ha presieduto il procedimento penale
numero 918/2011 ed emesso condanna nei confronti dell’odierno ricorrente e che il
medesimo magistrato oggi è chiamato a presiedere il procedimento numero 1313/2010

Nessuno degli elementi prospettati dalla difesa risulta però dirimente nel senso indicato
dalla corte costituzionale, ossia di una coincidenza o di una connessione in senso stretto
tra la vicenda già giudicata e quelle in corso di giudizio. A tale risultato non può condurre
il dato della comunanza delle fonti probatorie di tipo dichiarativo considerato che la
giurisprudenza è pacifica nel non ritenere la comunanza di prova dichiarativa quale
pregiudizio ai fini della compatibilità del giudice.
Può pertanto affermarsi che correttamente è stata respinta l’istanza di ricusazione sul
presupposto che non è stata fornita alcuna sicura dimostrazione della identità sostanziale
della odierna vicenda rispetto a quella già giudicata. La generica possibilità che
l’imputato, se condannato, possa vedersi applicata in sede esecutiva la disciplina della
continuazione è disattesa dagli stessi dati di fatto evidenziati nell’ordinanza impugnata
che ha messo in evidenza come i fatti oggetto dei due procedimenti sono diversi perché
realizzati con condotte distinte, posti in essere in tempi diversi e che unico elemento
comune è solo una parziale identità degli imputati.
Il ricorso deve pertanto essere respinto

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deliberato in Roma 1’11.11.2015
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il Prs.ente
Anto

SPOSITO

nell’ambito del quale è avanzata richiesta di ricusazione.

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