Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6307 del 11/11/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 6307 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZIPPO FRANCESCO MASSIMO N. IL 23/07/1974
avverso l’ordinanza n. 3278/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
22/06/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
telt/sentite le conclusioni del PG Dott. p–„e”,

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 11/11/2015

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorre per Cassazione ZIPPO Francesco Massimo verso l’ordinanza del tribunale del
riesame di Napoli che in data 22 giugno 2015 ha confermato l’ordinanza del giudice per le
indagini preliminari del locale tribunale in data 13 maggio 2015 gli ha applicato la misura
cautelare degli arresti domiciliari con riguardo al reato di concorso in estorsione
continuata aggravata anche dal metodo mafioso.
Deduce il ricorrente:

alla ritenuta aggravante del metodo mafioso. Lamenta ricorrente che il tribunale
ha ritenuto sussistente l’aggravante in argomento sulla scorta di una soggettiva
percezione che della provenienza delle minacce aveva avuto una persona offesa
dal reato, piuttosto che in ordine alle modalità con le quali le minacce medesime
erano state prospettate;
2. vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza con riguardo al reato di cui al capo B) sub 55 travisamento del fatto.
Rileva che dagli atti è emerso che l’indagato non ha mai profferito minaccia e che
per la prestazione il Reccia aveva avuto regolare fattura

Il ricorso è inammissibile perché i motivi in esso dedotti sono manifestamente infondati e
ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame.
Il ricorrente contesta la sussistenza del grave quadro indiziario con riguardo all’estorsione
di cui al n. 55 del capo B) e la sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991,
art. 7.
Con riguardo alla gravità indiziaria deve osservarsi che le conclusioni del Tribunale
risultano adeguatamente giustificate attraverso una puntuale valutazione delle
emergenze investigative. I giudici di merito hanno dato atto dell’operatività del clan dei
casalesi nel settore del racket pubblicitario richiamando le dichiarazioni di numerosi
collaboratori di giustizia, già aderenti a detto sodalizio, che sono concordi nel riferire che
il clan traeva gran parte dei proventi estorsivi dal sistema pubblicitario spiegandone
anche le modalità. Ogni anno in autunno partiva la campagna per la vendita dei gadget
pubblicitari realizzati presso tipografie prescelte dal clan che gli imprenditori erano
costretti ad ordinare per le festività natalizie, pagandoli a volte il doppio rispetto al prezzo
di mercato, somme che confluivano nelle casse del sodalizio. L’accettazione da parte
degli imprenditori, nel racconto dei collaboratori, è condizionata dalla forza di
intimidazione del clan e tesa ad evitare ritorsioni. Dette dichiarazioni sono riscontrate
dalle intercettazioni, soprattutto ambientali, che confermano la dedizione allo specifico
settore estorsivo di numerosi giovani variamente imparentati con i capi storici del clan, il
cui compito era proprio quello di presentarsi nei vari esercizi commerciali mostrando le
1

1. violazione dell’articolo 7 legge numero 203/91. Vizio della motivazione in ordine

diverse tipologie di gadget realizzabili e riceverne gli ordinativi. A detti elementi si
aggiungevano gli esiti delle perquisizioni presso la ADV Services, società che serviva per
le fatturazioni, dove sono state sequestrate delle vere proprie liste riportanti i nome di
circa 300 commercianti, e le dichiarazioni degli stessi commercianti che, seppure con
reticenza, hanno ammesso di avere acquistato e di essersi determinati all’acquisto per
non avere problemi o ancora in considerazione della caratura criminale dell’offerente. Il
coinvolgimento dell’indagato anche con riguardo al capo B55 è attestato dalle
dichiarazioni di Reccia Nicola, riscontrate dalle conversazioni intercettate.

il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione del materiale
indiziario compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da
validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza non
è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio
di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di
qualunque elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità
sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non
devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art.
192, comma 2, cod. proc. peri. (per questa ragione l’art. 273, comma ibis, cod. proc.
pen. richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del
medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli
indizi)( N. 118 del 2005 Rv. 232627, N. 37878 del 2007 Rv. 237475, N. 36079 del
2012 Rv. 253511, N. 7793 del 2013 Rv. 255053, N. 18589 del 2013 Rv. 255928; N
22345 del 2014 Rv. 261963)
Il ricorrente con le sue doglianze formula censure di merito improponibili in sede di
legittimità, prospettando sostanzialmente una rilettura in fatto degli elementi indiziari già
presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva gravità dal
Tribunale del riesame che ha dato adeguatamente conto delle ragioni che giustificavano
la conferma della gravità del quadro indiziario, con una motivazione coerente e lineare,
conforme ai principi di diritto che governano le risultanze probatorie ed esente da
contraddizioni e manifeste illogicità
Quanto, infine, alla ritenuta sussistenza sul piano indiziario dell’aggravante prevista dal
D.L. n. 152 del 1991, art. 7, la Corte rileva che nell’ordinanza impugnata si fa riferimento
puntuale alle modalità tipicamente camorristiche della condotta, realizzata sfruttando
l’appartenenza dell’autore della richiesta al clan, di cui le vittime erano consapevoli. Detta
motivazione appare esaustiva, anche in considerazione dell’intenso effetto intimidatorio
ottenuto. Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte che il collegio condivide, nel
reato di estorsione integra la circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso
l’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche “silente”, cioè privo di richiesta, qualora
2

pJ

Tanto basta per rendere l’ordinanza impugnata incensurabile in questa sede non essendo

l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo
l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di
violenza e minaccia (Cass. sez. n. 38964/2013; Sez. 2, n. 20187/2015 ) Rv. 263570).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

processuali e al versamento della somma di 1.000,00 euro in favore della Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 Disp.Att. c.p.p.
Così deliberato in Roma 1’11.11.2015
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA