Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6301 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6301 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROSINI SERGIO N. IL 28/09/1953
PICCINNO LUIGI N. IL 10/07/1959

avverso la sentenza n. 2106/2013 CORTE APPELLO di MILANO,
del 10/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.Fulvio Baldi
che ha concluso per l’annullamemto con rinvio per entrambi.
Uditi i difensori: Avv. Angelo Luigi Matteo Giarda che chiede in via
pricipale l’annullamento con rinvio e, in subordine la sospensione del
procedimento con rinvio alla Corte Europea di Strasburgo.
L’avv.to Sergio Santese si associa alla richiesta del Procuratore
Generale e, in subordine chiede la sospensione del procedimento.

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 10 gennaio 2014 la Corte d’Appello di Milano, decidendo in sede di rinvio
dalla Suprema Corte di Cassazione, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale che il
4 maggio 2010 aveva condannato PICCINNO Luigi e ROSINI Sergio per concussione,
qualificato il fatto, come indicato dalla sentenza rescindente, ai sensi dell’articolo 319 quater
codice penale, rideterminava la pena inflitta agli imputati in anni tre e mesi otto di reclusione
ciascuno.

perché, PICCINNO Luigi in qualità di ispettore della Guardia di Finanza subordinato al ROSINI
e capo pattuglia della verifica, ROSINI Sergio in qualità di luogotenente della Guardia di
Finanza, direttore della verifica, con minaccia di chiudere una verifica fiscale in modo
sfavorevole alla società verificata Minitransport Sri, nonché, con la minaccia di estendere gli
accertamenti fiscali ad ulteriori società facenti capo del gruppo Ministransport Spa, pur
essendo la verifica finalizzata ad un progetto di emersione del sommerso da lavoro,
richiedendo inizialmente la somma di C 300.000 pari al 10 % del totale dell’ importo degli
acquisti – di cui si minacciava la verifica ai fini delle imposte indirette – inducevano
MOSTONI Livio, legale rappresentante della Minitransport Spa, a promettere indebitamente a
lui (il ROSINI) ed al PICCINNO, la somma di C 40.000, prima tranche di ulteriori pagamenti,
che effettivamente veniva consegnata in data 5.11.2009 in Legnano (Ml).
La Corte di Cassazione con sentenza n. 13047 del 25.2.2013 accoglieva i ricorsi limitatamente
alla diversa qualificazione giuridica dei fatti alla luce delle nuove disposizioni in tema di reati
contro la P.A.
Riteneva che i fatti contestati al ROSINI e al PICCINNI, così come accertati, andavano
inquadrati nella nuova figura di reato di cui all’articolo 319 quater cod. pen., così come
richiesto anche dal ROSINI nei motivi aggiunti presentati in data 6.3.2013. Rilevava che tutta
la condotta dei due imputati era consistita nel prospettare l’esercizio di attività in sé legittime
individuando irregolarità fiscali sia nell’azienda in cui erano in esecuzione le attività di verifica
che nelle altre aziende del gruppo. Il pagamento della somma pretesa era stato presentato
come alternativa ad un danno non certamente qualificabile come ingiusto. Condotta che al
momento della pronuncia rientrava nel reato di induzione indebita. Veniva pertanto disposto
l’annullamento con rinvio della sentenza dovendo il giudice di rinvio rideterminare la pena alla
luce della nuova disposizione, applicabile in quanto più favorevole della previgente.
Ricorrono per Cassazione gli imputati:
ROSINI Sergio deduce:

1. mancanza di motivazione con riferimento alla mancata rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale alla luce delle indicazioni della Corte Suprema di Cassazione. Lamenta
che con i motivi aggiunti presentati in vista dell’udienza del 10 gennaio 2014 avanti la
Corte d’Appello la difesa aveva avanzato richiesta di rinnovazione dell’istruttoria
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Ai ricorrenti era stato originariamente contestato il reato di concussione ex art. 317 cod. pen.

dibattimentale alla luce delle rivelazioni del procedimento penale che si era aperto a
carico, tra gli altri, di Mostoni Livio avanti alla procura della Repubblica presso il
Tribunale di Como. La scelta di rinnovazione era fondata sul fatto che la corte di
cassazione nella sentenza di annullamento aveva affermato che

“per valutare

l’inattendibilità del Mostoni il ricorrente con i motivi aggiunti aveva formulato anche
delle vere e proprie richieste istruttorie in ragione di un procedimento penale a carico
del predetto. Al riguardo non poteva che ritenersi del tutto inammissibile il primo
motivo aggiunto in quanto si richiedevano attività di merito precluse in sede di

proposte nel giudizio di rinvio”. Sostiene il ricorrente che tale indicazione non può
essere considerata senza implicazioni. Ritiene che i giudici d’appello avrebbero dovuto
operare un giudizio di rilevanza in ordine a tali prove ai fini della valutazione della
sussistenza del reato, così come riqualificato, e non limitarsi ad affermare che la
richiesta di rinnovazione era assolutamente preclusa per effetto del contenuto della
sentenza di annullamento parziale e quindi del giudicato parziale ormai avvenuto;
2. vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena. Lamenta che sul punto la
Corte d’Appello si è sostanzialmente limitata a fornire un dato numerico con riguardo ad
una pena che, tra l’altro, è sostanzialmente identica a quella in precedenza comminata
per il più grave reato di concussione. Nella motivazione la pena finale di anni tre mesi
otto, determinata dall’effetto della diminuente per il rito, sulla base di una pena di anni
cinque mesi sei, è giustificata dovendo apprezzare la gravità della condotta dei due
imputati, che hanno lungamente contrattato la somma richiesta, avendo alla fine
ragione dell’opposizione manifestata dal Mostoni, e l’entità della somma consegnata al
solo Piccinno. Sostiene che si tratta di due elementi che non possono in alcun modo
essere riconducibili all’attuale ricorrente, come emerge dalla ricostruzione dei fatti
richiamati nel ricorso.

PICCINNO LUICII deduce:
1. violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione del paragrafo 3 lettera a) e
b) dell’articolo 6 Cedu combinato con il paragrafo 1 dello stesso articolo e degli articoli
117 e 24 costituzione in relazione all’articolo 627 comma tre codice di procedura penale
nella parte in cui è stata emessa la sentenza gravata senza avere attribuito all’odierno
ricorrente il diritto di interloquire, discutere e difendersi dalla nuova qualificazione del
reato operata a sorpresa nei suoi confronti dalla Suprema Corte nonostante che egli, al
contrario del coimputato nei suoi motivi di ricorso non avesse proposto il tema della
qualificazione giuridica poi effettivamente operatagli dal supremo collegio, avuto
riguardo al rispetto del principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la
sentenza ex articolo 521 codice di procedura penale con particolare riferimento alle
statuizione fissate nella nota sentenza Drassich contro la Repubblica italiana secondo la
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legittimità.” Ma aveva aggiunto “se del caso, eventuali nuove prove potranno essere

quale l’imputato non deve essere sorpreso da una qualificazione giuridica del fatto,
operata dal giudice, diversa da quella enunciata nell’ imputazione, senza aver avuto
l’opportunità di discutere su tale qualificazione. Sostiene che il fatto che il coimputato
aveva sollevato il problema della diversa qualificazione non può eludere il suo inviolabile
diritto a non essere sorpreso da una diversa qualificazione giuridica del fatto
2. illogicità della motivazione nella parte in cui la sentenza lo ha condannato allo stesso
trattamento sanzionatorio del coimputato, pur in presenza di una loro diversa presunta
capacità a delinquere, desumibile dal testo del provvedimento impugnato con

In data 9.11.2015 ROSINI Sergio depositava un motivig aggiunto con il quale ulteriormente
argomentava in ordine alla mancata motivazione sulla richiesta di rinnovazione relativa
all’acquisizione di documentazione processuale rinvenuta in altro fascicolo di indagine
strettamente collegato alla vicenda processuale oggetto del presente procedimento e chiedeva
differimento in attesa di ottenere autorizzazione dal Pubblico Ministero di Como all’estrazione di
copia degli atti di diverso procedimento

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi, seppure presentano motivi apparentemente distinti, meritano una trattazione
congiunta perché entrambi investono, seppure con finalità differenti, il problema della diversa
qualificazione giuridica del fatto operata dalla Corte di Cassazione con la sentenza 25.2.2013.
La sentenza di annullamento ha accolto i ricorsi limitatamente alla diversa qualificazione
giuridica dei fatti, questione sollevata anche dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni,
alla luce delle nuove disposizioni in tema di reati contro la P.A.
Si legge nella sentenza che quanto ai motivi relativi alla qualificazione giuridica del fatto,
sviluppati dal ROSINI, sia nel ricorso originario che nei motivi aggiunti (dove aveva rilevato
come il fatto ascritto rientrasse nella nuova ipotesi di reato di cui all’articolo 319 quater
cod. pen. introdotto con la legge 190/2012), poteva farsi una valutazione congiunta con i
motivi del PICCINNO che aveva posto il tema della configurabilità del reato di concussione
affermando che, sulla base di quanto accertato, era invece configurabile un fatto di
corruzione.
Riteneva la Corte rescindente che per la decisione doveva farsi riferimento alla ricostruzione
del fatto di cui alla sentenza impugnata, essendosene già rilevata la corretta motivazione,
dovendosi solo discutere della qualificazione giuridica alla luce delle nuove disposizioni in
materia di corruzione e concussione.
Dava atto quindi di condividere gli argomenti con i quali la Corte di Appello aveva
confermato che la vicenda non poteva, sulle premesse di fatto acquisite, configurarsi quale
ipotesi di corruzione.
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particolare riferimento al comportamento processuale susseguente il presunto reato.

Evidenziava quindi che la legge n. 190/2012, nel modificare l’articolo 317 cod. pen. che
definiva la concussione come la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico
servizio che, “abusando della sua qualità o dei suoi poteri” , “costringe o induce taluno a dare o
a promettere indebitamente”, aveva estrapolato la condotta di “induzione” per porla a base
della nuova ipotesi di reato di cui all’articolo 319 quater. Sottolineava quindi che tale ultima
disposizione, pur a fronte di una rubrica che non usa il termine “concussione” bensì definisce il
reato quale “induzione indebita a dare o promettere utilità” , descriveva una condotta simile a
quella dell’articolo 317 c.p: “abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce

il fatto costituisca più grave reato”.
La Corte riteneva quindi, anticipando quelle che saranno anche le conclusioni delle SSUU
(sentenza n. 12228/2014) che la condotta di induzione rilevante ai fini dell’articolo 319 quater
cod. proc. pen. deve essere certamente caratterizzata da una condizione di

metus publicae

potestatis e da una forma di pressione psicologica, ma la stessa deve essere più propriamente
una forma di persuasione, di prospettazione della convenienza del cedere alla richiesta del
pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio piuttosto che la minaccia in senso tecnico
(art. 612 cod. pen.). Le SSUU di questa Corte con la sentenza del 24.10.2013 hanno ribadito
questa impostazione affermando che la nuova normativa introdotta dalla legge n. 190/2012
ha inteso differenziare nettamente il comportamento, ritenuto più grave, integrato
dall’atteggiamento prevaricatore dell’agente nella sua forma più aggressiva della costrizione
del soggetto passivo e inquadrabile nello schema della concussione di cui al novellato art. 317
cod. pen., rispetto a quella forma più sfumata di condotta attuata mediante un’attività di
persuasione, di suggestione o di inganno e che è ora confluita nella fattispecie della induzione
indebita di cui all’introdotto art. 319-quater cod. pen. Si è inteso, in sostanza, bilanciare i
diversi valori tutelati dalle due norme e proporzionare le corrispondenti pene, come
espressamente affermato dal Guardasigilli, in risposta alla presentazione di emendamenti,
nella seduta del 10maggio 2012 delle Commissioni riunite I e II della Camera dei Deputati: «
… la concussione è stata circoscritta ai soli casi in cui la condotta dell’autore del reato abbia
determinato una vera e propria costrizione in capo al privato, e quindi la soggettività attiva e la
conseguente punibilità sono state limitate al pubblico ufficiale in quanto titolare dei poteri
autoritativi atti ad incutere il metus publicae potestatis. Le condotte di induzione [ ] sono
state invece scorporate in un’autonoma fattispecie di reato, quella di indebita induzione a dare
o promettere denaro o altra utilità, nella quale sono soggetti attivi tanto il pubblico ufficiale
quanto l’incaricato di pubblico servizio e la punibilità è estesa anche al privato, in quanto questi
non è costretto, ma semplicemente indotto alla promessa o dazione, cioè mantiene un margine
di scelta tale da giustificare l’irrogazione di una pena nei suoi confronti, seppure in misura
ridotta rispetto a quella prevista per il pubblico agente»; ed ancora, intervenendo nella seduta
del 29 ottobre 2012 della Camera dei Deputati in occasione della discussione del disegno di
legge, il Guardasigilli sottolineava, tra l’altro, che « nel nostro ordinamento si può creare
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taluno a dare o a promettere indebitamente” seppure con la clausola di riserva “salvo che

una certa confusione tra chi è certamente vittima del reato e chi in qualche modo ha
contribuito allo stesso. E’ per questo che abbiamo introdotto la fattispecie intermedia della
concussione per induzione». La

ratio

della riforma sta quindi proprio nell’esigenza,

ripetutamente manifestata in sede internazionale e sollecitata anche da una situazione
emergenziale interna, di chiudere ogni possibile spazio d’impunità al privato che, non costretto
ma semplicemente indotto da quanto prospettatogli dal pubblico funzionario disonesto, effettui
in favore di costui una dazione o una promessa indebita di denaro o di altra utilità. In questo
contesto ha trovato la sua genesi il reato di induzione indebita di cui all’art. 319-quater cod.

In sintesi ricorre la induzione indebita in quei casi in cui al privato non venga minacciato un
danno ingiusto e possa, anzi, avere persino una convenienza economica al cedere alle
richieste del pubblico ufficiale laddove costui “induca” al pagamento quale alternativa alla
adozione di atti legittimi della amministrazione, dannosi per il privato.
La correità necessaria insita nell’illecito di cui all’art. 319-quater cod. pen. ha certamente
innovato, sotto il profilo normativo, lo schema della vecchia concussione per induzione, che
però, con riferimento alla posizione del pubblico agente trova continuità nel novum, venendo
così scongiurata l’operatività della regola di cui all’art. 2, comma secondo, cod. pen„ come
affermato dalle SSUU di questa Corte nella sentenza richiamata che, ritenuto il rapporto di
piena continuità normativa, hanno affermato che compito del giudice intertemporale, per la
valutazione dei fatti pregressi, deve essere solo quello di applicare, ai sensi dell’art. 2, comma
quarto, cod. pen., la

lex mitior, che va individuata nella norma sopravvenuta, perché più

favorevole in ragione dell’abbassamento (al momento della pronuncia) di entrambi i limiti
edittali di pena. Il co 4 dell’art. 2 disciplina infatti la successione di leggi penali meramente
modificative, ossia di quelle leggi che si limitano a modificare la disciplina in precedenza
applicabile ad un determinato fatto che continua ad essere reato.
Ciò detto deve rilevarsi che nella sentenza di annullamento di questa Corte del 25.2.2013
viene affermato che era indubbio che nel processo in argomento non si discuteva della
prospettazione di un male ingiusto in quanto era stato accertato che i pubblici ufficiali
richiedevano denaro per non compiere attività dell’ufficio consistente nel rilievo degli illeciti
che coinvolgevano l’azienda. Proprio per questo i fatti contestati ai ricorrenti ed accertati
sono stati inquadrati nella nuova figura di reato di cui all’articolo 319 quater cod. pen. Si
legge infatti che “tutta la condotta dei due imputati è consistita nel prospettare l’esercizio di
attività in sé legittime individuando irregolarità fiscali sia nell’azienda in cui erano in esecuzione
le attività di verifica che nelle altre aziende del gruppo. Il pagamento della somma pretesa
veniva comunque presentato come alternativa ad un danno non certo qualificabile ingiusto”.

Non investe pertanto il caso in esame il controverso tema dei limiti del potere del giudice di
dare al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione e da
quella accolta nelle decisioni emesse nei precedenti gradi di giudizio, alla luce dell’elaborazione
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, vedendosi in un caso di successione di leggi penali.
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pen.

Il primo motivo della difesa PICCINNO è pertanto manifestamente infondato.
La Corte rescindente sul presupposto che: 1) i fatti contestati ai ricorrenti, così come
accertati nella sentenza impugnata, di cui ha rilevata la corretta motivazione, andavano
inquadrati nella nuova figura di reato di cui all’articolo 319 quater cod. pen; 2) vi è continuità
normativa con riguardo alla posizione dell’agente pubblico, fra la vecchia concussione e il
reato di cui all’art. 319 quater; ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata
dovendo il giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 2 co 4 c.p., rideterminare la pena alla luce della
nuova disposizione, applicabile in quanto più favorevole della previgente, valutando i fatti così

Il rinvio è stato pertanto disposto per le determinazioni in ordine alla pena demandando al
nuovo giudice d’appello una nuova valutazione, alla luce della diversa qualificazione giuridica,
dei fatti già accertati al solo fine del trattamento sanzionatorio.
Correttamente pertanto la Corte d’Appello ha ritenuto che il rinvio era limitato esclusivamente
alla pena, ritenendo preclusa dal dictum della sentenza di annullamento la richiesta di
rinnovazione che investiva la sussistenza del reato, così come riqualificato. E’ vero che, come
riconosciuto dal giudice d’appello, a pag 10 della sentenza di annullamento si legge “per
valutare l’Inattendibilità (del Mostoni) il ricorrente con i motivi aggiunti ha formulato anche
delle vere e proprie richieste istruttorie in ragione di un procedimento penale a carico del
predetto. AI riguardo non può che ritenersi del tutto inammissibile il primo motivo aggiunto in
quanto si richiedono attività di merito precluse in sede di legittimità. Se del caso, eventuali
nuove prove potranno essere proposte nel giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento che
verrà pronunciato per le ragioni che saranno indicate”, ma è pur vero che l’annullamento è
stato disposto solo in punto trattamento sanzionatorio, e che dispositivo e motivazione della
sentenza rescindente danno in maniera esplicita per accertata la condotta tenuta dagli
imputati, individuata nella prospettazione al Mostoni dell’esercizio di attività in sé legittime a
seguito dell’individuazione di irregolarità fiscali sia nell’azienda in cui erano in esecuzione le
verifiche che nelle altre aziende del gruppo, e nella richiesta del pagamento di una somma di
denaro come alternativa ad un danno non certo qualificabile come ingiusto. Ne consegue che
correttamente i giudici d’appello hanno escluso la richiesta di rinnovazione che investiva, come
sottolineato dal ROSINI, anche nel presente ricorso, la sussistenza del reato.
Sussistenza del reato già accertata in sede di giudizio rescindente.
Il primo motivo della difesa ROSINI è pertanto manifestamente infondato.
Manifestamente infondati sono anche i motivi sollevati dai ricorrenti in punto pena. Gli imputati
non possono dolersi della mancata motivazione in ordine alla fissazione della pena quando,
come nel caso di specie, il giudice ha indicati in sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o
determinanti nei confronti di ciascuno nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di
tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p.. In particolare è stato valutato in un’ottica particolarmente
negativa il comportamento processuale in considerazione del tentativo del ROSINI di scaricare
ogni responsabilità sul PICCINNO e del pervicace tentativo di quest’ultimo di accreditare un
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come già accertati.

inesistente complotto, denunciato perfino alle più alte cariche dello stato. E’ stata inoltre
sottolineata la spregiudicatezza degli imputati rilevando che non sono mancati abboccamenti
con il Mostoni persino negli uffici della Guardia di Finanza.
I ricorsi sono pertanto inammissibili e i ricorrenti deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

ciascuno della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 25.11.2015
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e

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