Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6293 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6293 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOLENT LILIANA N. IL 27/11/1950
avverso la sentenza n. 1408/2012 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
04/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. e ■:’1,0
che ha concluso per )2,
cA—0.

Ce;

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.
Q.-Cuo

(1-A3L-

Data Udienza: 17/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Trieste conferma la condanna della Molent per il delitto
di danneggiamento aggravato e per la contravvenzione prevista dall’art. 651
cod. pen. alle pena di mesi due di reclusione ed euro 100 di multa.

2.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione

il difensore

dell’imputata che deduceva:

dall’Epiro, persona offesa ed agente di polizia penitenziaria, posta alla base
dell’accertamento di responsabilità era contraddittoria.

In particolare si

segnalava la non coerenza delle due dichiarazioni testimoniali rese / entrambe
utilizzabili in quanto l’imputata aveva scelto il rito a prova contratta.
2.2. violazione dell’art. 635 cod. pen e degli artt. 533, 530, 546 cod. proc. pen.
si deduceva la violazione delle regole di giudizio che governano l’accertamento
di responsabilità. Le prove raccolte, ed in particolare la testimonianza dell’Epiro,
sarebbe contraddittoria e non consentirebbe di affermare la colpevolezza della
imputata “oltre ogni ragionevole dubbio”;
2.1. violazione dell’art. 651 cod. pen.:si deduceva che l’Epiro, agente di polizia
penitenziaria, fuori servizio all’atto della richiesta dei documenti, li avesse
richiesti per un interesse privato e non per una funzione pubblica

3. Con motivo aggiunto il ricorrente chiedeva il riconoscimento della lieve entità
del fatto. A sostegno della richiesta si evidenziava che i fatti ascritti erano puniti
con pena inferiore ai cinque anni, che il comportamento dell’imputata non è
stato ritenuto abituale, che la condotta attribuita è minimamente offensiva
anche tenuto conto del fatto che l’episodio di danneggiamento era avvenuto
nell’ambito di una vertenza possessoria e poteva essere inquadrato come « gesto
dimostrativo dettato dall’esasperazione»

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 primi due motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
1.1.Gli stessi si risolvono in una critica della valutazione di attendibilità della
testimonianza della persona offesa con specifico riferimento al fatto che la stessa
nel corso della progressione dichiarativa in atti (pienamente utilizzabile in quanto
l’imputatq ha chiesto di essere giudicatq con le forme del rito abbreviato)
presenta delle disomogeneità e le due dichiarazioni rese non risultavano
perfettamente sovrapponibili. Si rimarcavano le differenze in relazione

2.1. violazione dell’art. 635 cod. pen.; si deduceva che la testimonianza resa

all’utilizzo di una bicicletta da parte della Molent ed al fatto che il querelante non
aveva visto in mano all’imputato alcun oggetto appuntito idoneo a produrre il
lamentato danneggiamento.
In materia di valutazione della attendibilità delle persone offese il collegio
condivide la consolidata giurisprudenza secondo cui le regole dettate dall’art.
192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della
persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa

dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in
tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono
sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (in motivazione la Corte ha
altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte
civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri
elementi: Cass. sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214).
La Corte di Cassazione, peraltro, anche quando prende in considerazione la
possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso
attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di
“opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice di merito un ampio
margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel
caso concreto. Le sezioni unite hanno infatti affermato che «può essere
opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la
persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una
specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento
della responsabilità dell’imputato» (nello stesso senso Cass. Sez. 1, n. 29372
del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Cass. Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004,
Patella, Rv. 229755). Peraltro costituisce principio incontroverso nella
giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della attendibilità
della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una
propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non
può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in
manifeste contraddizioni (ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.;
Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del
04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del
13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv.227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003,
Assenza, Rv. 225232).
1.2. Nel caso di specie la Corte territoriale ha effettuato la valutazione di
attendibilità in coerenza con i parametri interpretativi indicati. Venivano infatti
individuati numerosi elementi di conferma alle dichiarazioni accusatorie dell’Epiro
3

verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del

nelle dichiarazioni di Toffolo Katia e di Zatti Liliana; si rilevava inoltre che
analoghi episodi di danneggiamento erano stati consumati nei pressi della
abitazione della Moment nei confronti di persone che erano andate in visita dalla
Zatti, ovvero la persona con la quale l’imputata aveva una vertenza civile in
ordine alla contestazione (una servitù di passaggio.
1.3. Né sono fondate le doglianze dirette avverso la non completa
sovrapponibilità delle dichiarazioni dell’offeso utilizzate nella definizione del rito
abbreviato. La non perfetta coincidenza delle informazioni rese nel corso dello

integralmente utilizzabile nei riti a prova contratta) non è in sé indice di
inattendibilità, data la fisiologica diversità dei contenuti testimoniali raccolti nel
corso del procedimento: è infatti ragionevole che nel corso delle varie audizioni
si tenda all’approfondimento di aree tematiche non esplorate nel corso delle
originali dichiarazioni, con un fisiologico arricchimento della testimonianza.
La valutazione di inattendibilità richiede, piuttosto, la emersione di irrisolvibíli
incompatibilità in relazione a contenuti dichiarativi decisivi per l’accertamento di
responsabilità. Di contro, le divergenze derivanti dalla aggiunta piuttosto che
dalla omissione di particolari di contorno rispetto al nucleo accusatorio centrale
non possono essere automaticamente ed univocamente interpretate come
indicatori di inattendibilità del dichiarato.
1.4.Nel caso di specie dalla lettura della sentenza emerge che l’Epiro nella
seconda delle sue dichiarazioni ha confermato di avere visto l’imputata nell’atto
di graffiare la sua auto pur arricchendo di particolari la versione (nello specifico
dichiarava che la donna era in bicicletta). Il nucleo accusatorio si presenta
immutato: la Corte territoriale, con giudizio di merito privo di illogicità decisive
e manifeste, valutava attendibile il compendio dichiarativo, anche alla luce delle
numerose conferme rinvenibili in atti. Si tratta di una valutazione che non si
presta a censura in sede di legittimità, essendo coerente con le emergenze
processuali ed aderente alle linee interpretative tracciate dalla Corte di
legittimità.

2. Anche le doglìanze avanzate nei confronti dell’accertamento di responsabilità
relativo al reato previsto dall’art. 651 cod. pen. sono infondate.
La polizia penitenziaria fa infatti parte delle Forze di polizia come previsto
dall’art. 16 della legge 121 del 1981, tenuto conto del fatto che il Corpo degli
Agenti di custodia (letteralmente richiamato) è stato sciolto dall’art. 2 della I. 1512-1990, n. 395 e sostituito proprio dal Corpo della Polizia Penitenziaria.
Tali agenti devono considerarsi in servizio permanente con il dovere di
esercitare le loro funzioni anche fuori dall’orario di servizio. Gli stessi non
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sviluppo della progressione dichiarativa emersa nel corso delle indagini (ed

cessano dalla loro qualifica di pubblici ufficiali pur se liberi dal servizio, essendo
anche in tali circostanze tenuti a esercitare le proprie funzioni, laddove si
verifichino i presupposti di legge (cfr. Sez. 6, n. 52005 del 09/12/2014, dep.
12712/2014, Calabrese, Rv. 261669).
La nozione di “servizio permanente” è intrinsecamente diversa da quella di
“esercizio delle funzioni”, implicando che il pubblico ufficiale può in ogni
momento intervenire per esercitare le sue funzioni, ma non che egli le stia
concretamente esercitando in quel momento; il che implica un accertamento di

conseguenza dell’eccezionalità dei poteri riconosciuti ai pubblici ufficiali che
operano in “servizio permanente” (Cass. Sez. 2, n. 38735 del 09/07/2004, dep.
04/10/2004, P.M. in proc. Di Capua; Cass. sez. 1, n. 14811 del 25/03/2015, Rv.
263368).
Nel caso di specie, dalla sentenza emerge che l’Epiro si era qualificato esibendo
la tessera di riconoscimento prima di chiedere le generalità in occasione della
verifica del danno patito. Come rilevato conformemente dai collegi territoriali
non vi sono dubbi in ordine al fatto che la Molent avesse percepito chiaramente
la pubblica funzione esercitata dall’ Epiro nell’atto di chiedere le generalità.
Né rileva il fatto che l’agente rivestisse il ruolo di persona offesa del reato. La
tutela degli interessi collettivi che giustifica i poteri di accertamento conferiti
agli appartenenti alle forze di polizia, legittima infatti l’attivazione degli stessi
anche ìn relazione a situazioni che vedono coinvolto in prima persona l’agente
accertatore.
Peraltro, nel caso di specie, nessun dubbio residua sulla corretta percezione da
parte della Molent della qualifica rivestita dall’Epiro, il quale, come emerge dalla
motivazione della sentenza impugnata, aveva esibito il tesserino di
riconoscimento.

3. Infine: anche l’istanza volta al riconoscimento della lieve entità del fatto
presentata con i motivi aggiunti è infondata. Il collegio condivide la
giurisprudenza secondo cui l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del
fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., ha natura sostanziale ed è applicabile ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n.
28, compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte
può rilevare di ufficio ex art. 609, comma secondo, cod. proc. pen., la
sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, dovendo peraltro
limitarsi, attesa la natura del giudizio di legittimità, ad un vaglio di astratta non
incompatibilità della fattispecie concreta (come risultante dalla sentenza
impugnata e dagli atti processuali) con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto
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fatto riservato al giudice di merito, dal quale non si può prescindere, proprio in

art. 131-bis (Cass. sez. 2, n. 41742 del 30/09/2015, Rv. 264596; Cass. sez. 3,
n. 31932 del 02/07/2015, Rv. 264449)
Nel caso di specie si ritiene che non vi siano gli estremi per l’applicazione della
invocata causa di non punibilità, considerato che dalla struttura delle sentenze di
merito emerge una valutazione di gravità con essa incompatibile,come si ricava
dalla individuazione del trattamento sanzionatorio che vede un giudizio di sola
equivalenza tra le attenuanti generiche e le aggravanti contestate.

ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma, il giorno 17 novembre 2015

L’estensore

Il Presidente

4.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il

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