Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6290 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 6290 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SUC MARINO N. IL 12/02/1958
TOGNAZZI ALESSANDRO N. IL 31/03/1952
PECAR FRANCO N. IL 07/09/1968
avverso la sentenza n. 5877/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
30/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ) z.,,u_kjgaju,,,12 ■3
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 17/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Milano condannava il Suc alla pena di anni quattro e
mesi otto di reclusione ed euro 4200 di multa ed il Pecar Franco alla pena di
anni due, mesi sei di reclusione ed euro 1500 di multa. Veniva confermata la
condanna inflitta in primo grado al Tognazzi, ovvero la pena di anni cinque di
reclusione ed euro 6000 di multa. Si contestava agli imputati di avere fatto
parte di una associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di reati

ricettazione di autovetture.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore del
Tognazzi che deduceva:
2.1. erronea applicazione della disciplina sulla prescrizione. Si deduceva che il
termine di prescrizione era decorso prima della pronuncia della sentenza di
appello sia applicando la vecchia disciplina, sia facendo riferimento a quella
sopravvenuta; il termine sarebbe decorso il 24 aprile 2013 in applicazione della
disciplina previgente, ed il 24 giugno 2011 in applicazione di quella attuale:
date entrambe precedenti al 30 settembre 2013, ovvero alla data della pronuncia
della sentenza di secondo grado;
2.2. carenza di motivazione in ordine all’accertamento di responsabilità per il
reato di riciclaggio contestato al capo b) di imputazione. Si deduceva che la
presenza dell’imputato come autista, la presenza di targhe false sul mezzo,
l’essere entrato in contatto con un coimputato ed il riferimento che(facevatxp
allo stesso nelle conversazioni di alcuni coimputati non fossero elementi
sufficienti a configurare un quadro probatorio utile per l’accertamento di
responsabilità;
2.3.carenza di motivazione in ordine al reato di ricettazione contestato al capo c)
di imputazione. Si deduceva che la motivazione era carente in quanto veniva
dedotta dagli elementi di prova portati a sostegno dell’accertamento di
responsabilità relativo al capo b);
2.4. carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Si deduceva
che il trattamento sanzionatorio che veniva definito facendo riferimento a quanto
stabilito in relazione al coimputato Suc, senza autonome valutazioni
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espressamente riferite al liej~.

3. Proponeva ricorso per cassazione anche il difensore del Pecar che deduceva:
3.1. violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione. Si
deduceva che a carico del Pecar non risultavano elementi indicativi della
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contro il patrimonio ed, in particolare, dei delitti di riciclaggio, falso e

colpevolezza diversi dalla segnalazione della polizia slovena. Si rimarcava, in
particolare l’assenza di elementi di prova evincibili dalle conversazioni
intercettate;
3.2. carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo.
Si deduceva che la circostanza che l’imputato fosse stato fermato in territorio
sloveno non era sufficiente per la dimostrazione dell’elemento soggettivo.
3.3. violazione di legge nella definizione del trattamento sanzionatorio. Si
deduceva che era stato illegittimamente applicato l’aumento di pena in

non era emersa la prova che il Pecar fosse a conoscenza dell’attività delittuosa
posta in essere dai coimputati;
3.4. violazione della disciplina della prescrizione. Si deduceva che era stata
illegittimamente calcolato il termine di prescrizione tenendo conto della recidiva
reiterata. Nella prospettiva del ricorrente il cumulo delle precedenti condanne
inflitte al Pecar era inferiore all’aumento del termine di prescrizione conseguente
al riconoscimento della recidiva, sicchè avrebbe dovuto essere applicata la
disciplina prevista dall’ultimo comma dell’art. 99 cod. pen. ed il termine di
prescrizione avrebbe dovuto essere calcolato nella misura di anni nove e mesi
nove.

4. Ricorreva per cassazione anche il difensore del Suc che deduceva:
4.1. vizio di motivazione, motivazione carente o illogica. Si deduceva che la
Corte territoriale non aveva tenuto conto delle ipotesi alternative. In particolare
si deduceva la illogicità della motivazione in ordine all’affermazione di
responsabilità relativa al reato di riciclaggio che non dimostrava come il Suc
avesse agito ‘ fuori dei casi di concorso nel reato”, errche tenuto conto che le
accusa erano riferite anche alla consumazione di reati di furto;
4.2. violazione di legge. Si deduceva che il capo b)

dovesse essere

correttamente riqualificato come furto, piuttosto che come riciclaggio.
4.3. violazione della disciplina sulla prescrizione. Si deduceva che per uno dei
precedenti a fondamento del riconoscimento della recidiva era stato concesso il
beneficio della sospensione condizionale della pena, con conseguente effetto
estintivo, mentre la terza condanna riguardava un reato depenalizzato.
Si deduceva altresì che nella seconda iscrizione al casellario giudiziario la
recidiva non era stata contestata e non era stata ritenuta dal giudice. Pertanto
la recidiva del Suc dovrebbe essere semplice con le relative conseguenze in
materia di prescrizione. Erano estinti per prescrizione i reati contestati al
capo i) ed al capo b).

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relazione al riconoscimento dell’aggravante dell’art. 112 n. 1 cod. pen., anche se

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.La sentenza deve essere annullata senza rinvio nei confronti del Tognazzi e
del Suc in quanto i reati contestati risultano estinti per morte dei rei.
2. Il ricorso proposto nell’interesse del Pecar è manifestamente infondato.
2.1.11 primo ed il secondo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto
propongono alla Corte di legittimità una interpretazione delle prove alternativa
rispetto a quella offerta dalla Corte territoriale, notoriamente non consentita

motivazionale della sentenza, senza individuare una specifica carenza della
motivazione che abbia le caratteristiche di essere manifesta e decisiva.
Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere
diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve
invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico
argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità
manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione
argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli
argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle
componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
E’ noto infatti che il perimetro della giurisdizione di legittimità è limitato alla
rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi
specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l’area di
competenza della Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio
indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali per essere rilevanti
devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad
incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa. Il vizio di
motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve dunque essere
diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve
invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico
argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come
illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od
omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in
carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno
delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
Nel caso di specie, come evidenziato in premessa, il ricorrente piuttosto che
rilevare vizi decisivi della motivazione si limitava a offrire una interpretazione
degli elementi di prova raccolti diversa da quella fatta propria dalla corte di
appello in contrasto palese con le indicate linee interpretative.

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alla giurisdizione di ultima istanza. Peraltro il ricorrente critica l’intero impianto

2.2. Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso che deduce la
illegittimità del riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 112 n. 1) cod.
pen. sulla base della mancata prova della consapevolezza dell’imputato della
presenza degli altri concorrenti. Sul punto il collegio condivide la giurisprudenza
secondo cui ai fini della ravvisabilità dell’aggravante prevista dall’art. 112,
comma primo, n. 1, cod. pen., il numero delle persone deve essere valutato
oggettivamente sicché è irrilevante che i concorrenti sappiano dell’altrui
partecipazione in numero sufficiente ad integrare la detta circostanza (Cass. sez.

2.3. Manifestamente infondata è anche la doglianza relativa alla prescrizione. Il
collegio ribadisce che lo sbarramento quantitativo previsto dall’art. 99, ultimo
comma, cod. pen. – secondo il quale “l’aumento della pena non può superare il
cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del
nuovo delitto non colposo” – è applicabile a tutte le ipotesi di recidiva e non solo
a quella reiterata (cass. sez. 2, n. 43768 dell’ 08/10/2013, Rv. 257665). E
che dunque per determinare il termine di prescrizione, l’aumento di pena per la
recidiva in nessun caso può superare il cumulo delle pene risultanti dalla somma
delle condanne precedenti, comprese anche quelle a pena pecuniaria
ragguagliata a pena detentiva ex art. 135 cod. pen. (Cass. sez. 2, n. 8492 del
16/05/1985, Rv. 170553)
Nel caso di specie il termine di prescrizione di otto anni deve essere aumentato
di un anno e nove mesi in relazione alle condanne pregresse (per un totale di
anni nove mesi nove di reclusione); tale termine deve essere ulteriormente
aumentato a causa delle interruzioni, tenuto conto dellatrerareiterata
contestata, fino ad anni sedici e mesi tre, con decorso del termine ultimo di
prescrizione (sospensioni escluse) nel 2014, ovvero dopo la pronuncia della
sentenza di secondo grado.
Il collegio ribadisce che non possono trovare applicazione le norme sulla
prescrizione del reato, pur essendo maturati i relativi termini, dal momento che
secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di
impugnazione, dei requisiti prescritti dall’articolo 581 cod. proc. pen., ovvero alla
manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto
di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’articolo 129 cod. proc. pen. (cfr.: Cass., Sez.
Un., n. 21 del 11.11.1994 dep. 1995, rv 199903; Cass. Sez. Un., n. 32 del
22.11. 2000, rv 217266).

P.Q.M.
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4, n. 3177 del 27/11/1992, dep. 1993, Rv. 198436).

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Suc Marino e di
Tognazzi Alessandro in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti perché
estinti per morte dei suddetti imputati; dichiara inammissibile il ricorso di Pecar
Franco che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro 1000.00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 17 novembre 2015

Il Presidente

L’estensore

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