Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6268 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6268 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SARNO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) BELAIDI HAMADI N. IL 01/01/1981
avverso la sentenza n. 2069/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
29/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIO SARNO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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;e, ,,1<, DEPOSITATA IN CAELL.ERLA, iL - Udito, per la parte civile, l'Avv Udit i difensor Avv. 8 FEB 2013 Data Udienza: 12/12/2012 Ritenuto in fatto Belaidi Hamadi propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Milano confermava quella resa in data 21 settembre 2010 dal GUP del tribunale di Monza che aveva condannato l'imputato alla pena di giustizia per cessioni di sostanza stupefacente di tipo eroina e cocaina dal 12 gennaio al 12 marzo 2010. La corte di appello ha confermato la responsabilità dell'imputato valorizzando soprattutto il contenuto delle intercettazioni telefoniche e la frequentazione con gli altri imputati. Deduce in questa sede il ricorrente: 1) l'erronea applicazione della legge penale, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata assoluzione. Sostiene al riguardo che i giudici non avrebbero tenuto conto del fatto che altro soggetto era soprannominato Hamadi e che le telefonate si riferivano a quest'ultimo, che la frequentazione con altri imputati si spiegava con la coabitazione con costoro per brevi periodi e che la sentenza si appalesa contraddittoria nella parte in cui assume che una conversazione del 4.1.2010 avrebbe avuto ad oggetto la preparazione di quantitativi di droga che il Belaidi avrebbe dovuto preparare mentre si trovava in Marocco, omettendo di considerare che le telefonate intercorrevano tra soggetti che si trovavano sul luogo dello spaccio. Contesta inoltre l'interpretazione data in sentenza al controllo effettuato in data 12 marzo 2010, nonchè l'esito dei riconoscimenti da parte degli acquirenti; 2) nullità della sentenza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 73 comma 5 nonchè vizio di motivazione in ordine alla corretta qualificazione del reato ascritto. Si fa tra l'altro rilevare che nessun sequestro di sostanza stupefacente è stato operato e che il quantitativo non può che essere individuato sulla base delle affermazioni degli acquirenti i quali comunque riferiscono l'acquisto di singole dosi ed evidenziano il ruolo comunque modesto dell'imputato nella vicenda; 3) nullità della sentenza ed erronea applicazione dell'articolo 62 bis del codice penale nonché vizio di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche e sulla mancata esclusione della recidiva. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Si appalesa manifestamente infondato ed articolato su censure il primo motivo di ricorso. Pur dando atto che nella fase iniziale delle indagini, non vi era stata effettivamente certezza che l'Hammadi menzionato nelle telefonate fosse il Belaidi, la corte di merito spiega poi con motivazione congrua e pertinente le ragioni per le quali sia stata successivamente raggiunta la certezza che la persona menzionata nelle telefonate fosse effettivamente l'imputato, citando sul punto controlli effettuati dalla PG in concomitanza degli ascolti telefonici ed il riscontro effettuato esaminando il contenuto di altre telefonate espressamente indicate in motivazione. La sentenza rileva come la telefonata del 4 gennaio 2010 non possa avere valenza decisiva in quanto i fatti contestati decorrono dal 12 gennaio 2010. Nè in questa sede, in presenza di corretta motivazione, è possibile sindacare il contenuto delle telefonate trattandosi di accertamento di merito. E d'altronde in questa sede il ricorrente si limita solo genericamente a contestare la riferibilità alla sua persona delle telefonate. Corretta appare inoltre il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella di cui all'articolo 73 comma 5 d.p.r. 309/90. La circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta, infatti, solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio. (Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010 Rv. 247911) Nella specie i giudici di appello hanno correttamente sottolineato l'entità è l'intensità dell'attività criminosa, la metodicità della condotta di spaccio, l'organizzazione per il perseguimento delle finalità di lucro, nonché le modalità professionali per escludere l'attenuante in questione. Si appalesa dunque certamente corretta alla luce dei principi affermati, la motivazione della sentenza impugnata sul punto e si deve rilevare che le censure dedotte nel motivo di ricorso, in quanto incentrate sulla contestazione specifica e nel merito di tali parametri, attinge inevitabilmente al merito della valutazione che, com'è noto, è insindacabile in questa sede in presenza di adeguata e corretta motivazione. Di qui la manifesta infondatezza anche della seconda questione. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo. La recidiva non è stata in realtà conteggiata stando alle motivazioni di appello e le attenuanti generiche risultano essere state correttamente negate per i precedenti dell'imputato. Vi è dunque adeguata motivazione su entrambi gli aspetti dedotti con il motivo in esame. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende. Roma, 12.12.2012

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