Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6265 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 6265 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CARCANO DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI LIBERTO MATTEO N. IL 07/10/1979
avverso l’ordinanza n. 976/2015 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
14/08/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO
CARCANO;
4ette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/11/2015

I
Ritenuto in fatto.
Il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice di appello de libertate, ha rigettato
l’impugnazione proposta da Matteo Di Liberto contro l’ordinanza del giudice delle indagini
preliminari che non ha accolto la richiesta di revoca o sostituzione della custodia in carcere.
L’applicazione della custodia cautelare è stata disposta nei confronti di Matteo Di Liberto
per i reati di cui agli artt.74, commi 1, 2 e 3 del D.p.r. 309 del 1990, 7 legge n.203 del 1991,
81 cpv. c.p. e 73 d.p.r. 309 del 1990.

svolgere con regole cognitive più ampie tenuto conto della natura tipicamente devolutiva – ha
la funzione di colmare eventuali mancanze argomentative proposte già al giudice di prima
istanza.
Pertanto, le censure relative alla gravità degli indizi, non proposte con l’istanza rivolta al
giudice della misura genetica, sono inammissibili.
Unica questione da esaminare è, dunque, quella della sussistenza o meno dell’aggravante
dell’art. 7 legge n,. 203 del 1991.
Per il giudice d’appello, le acquisizioni investigative confermano la sussistenza
dell’aggravante, tenuto conto che Di Liberto da semplice pusher divenne poi “addetto di fiducia
del capo”. Assumendo poi il ruolo di alter ego di Vincenzo Giudice nei compiti più significativi
dell’organizzazione criminale e responsabile del narcotraffico.
Dalle intercettazione di sms risulta che Di Liberto aveva rapporti diretti con gli altri
associati impegnati nel traffico di sostanza stupefacente, circostanza emersa anche dai “servizi
di osservazione” svolti dagli organi investigativi. In particolare, è risultato che Di Liberto il 28
agosto 2013 ha svolto il ruolo di staffetta per il trasporto di un grosso carico di stupefacente,
organizzato da Vincenzo Giudice.
Quanto accertato è chiaro elemento della diretta collaborazione di Di Liberto con
Vincenzo Giudice, esponente di spicco dell’organizzazione dello spaccio di stupefacente, quale
reggente della famiglia mafiosa di “Villaggio Santa Rosalia”.
Circostanza quest’ultima che ab origine ha imposto la custodia cautelare in carcere e
legittima il diniego a ogni modifica di tale regime cautelare.
2.11 ricorrente propone personalmente ricorso e deduce quale motivo unico la violazione
di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 273, 274 e 275 bis c.p.p. e art. 274
d.p.r. n.309 del 1990 e art. 7 legge n 203 del 1991.
Il ricorrente rileva che la motivazione posta a fondamento dell’aggravante di cui all’art. 7
legge n. 203 del 1991 non è tale da giustificare la sussistenza degli elementi richiesti per la
configurabilità dell’anzidetta aggravante. Il giudice per le indagini preliminari si limitato a
rilevare che nulle cambiato rispetto a quanto ab origine posto a fondamento della custodia in
carcere, non considerando affatto lo stato di incolpevole ignoranza del ricorrente, come invece
ritenuto per altro ricorrente Stefano Giaconia dal giudice del riesame.

Il Tribunale – premessa la diversità tra riesame e appello, giudizio quest’ultimo da

2
Nell’istanza presentata al giudice per le indagini preliminari e nell’atto d’appello, sono
state posti in rilievo tali circostanze, contestando anche che vi sia stato un ruolo costante,
nell’ambito dell’ipotetica associazione, di collaborazione con Vincenzo Giudice.
Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che esclude la configurabilità
dell’aggravante nel caso in cui la disponibilità riguarda un singolo e non anche l’associazione.
Si aggiunge, inoltre, che vi è stato già un lungo periodo di custodia e vi è un
affievolimento delle esigenze cautelari e potrebbe essere disposta una misura custodiale

Considerato in diritto
1.I1 ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza nonché per essere le censure
dirette esclusivamente a ottenere una rilettura delle risultanze processuali e un rivalutazione
della consistenza indiziarla e delle circostanze poste dal giudice del cautelare a fondamento
dell’ordinanza cautelare, condivise e fatte proprie dal giudice dell’appello.
2.Nell’ordinanza impugnata, dunque, vi è un articolata giustificazione sulle
determinazione assunte, attraverso un’accurata e specifica descrizione e analisi degli elementi
acquisiti nel corso dell’attività di indagine.
La motivazione, sviluppata in termini coerenti e privi di ogni deficit argomentativo, rende
non ammesso alcun sindacato in sede di legittimità.
Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze in tema di procedimenti
incidentali relativi alla libertà personale non può riguardare la verifica della rispondenza delle
argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali,
provvedendosi così a una rilettura degli elementi di fatto, atteso che la relativa valutazione
é riservata in via esclusiva al giudice del merito. Valutazione, come è avvenuto nella
concreta fattispecie, da effettuare attraverso una specifica descrizione degli indizi e una loro
compiuta elaborazione volta a dimostrare la capacità di giustificazione dei fatti posti a
fondamento della ipotesi d’accusa.
Del resto, la valutazione della gravità indiziaria – avvenendo nel contesto incidentale del
procedimento de libertate

e, quindi, allo stato degli atti, cioè sulla base di materiale

conoscitivo ancora in itinere – deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la
elevata probabilità di colpevolezza dell’indagato per i reati come configurati nell’ipotesi
d’accusa.
3.Quanto al profilo delle esigenze cautelari, la motivazione dà conto, in termini sintetici,
Avi

di ogni mutamento delle esigenze cautelresistenti al momento dell’ordinanza genetica.
4.Completezza e coerenza della motivazione, in tale contesto valutativo, rendono
dunque inammissibile il sindacato richiesto a questa Corte di legittimità.
Il ricorso è dunque inammissibile e, a norma dell’art.616 c.p.p., il ricorrente va
condannato, oltre che al pagamento delle spese processuali, a versare una somma, che si
ritiene equo determinare in C 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le
condizioni richieste dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n.186.

diversa con strumenti elettronici.

3
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento di C 1000,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli
adempimenti di cui all’art.94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015
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