Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6264 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 6264 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cesena
avverso la sentenza emessa il 26.6.2015 dal giudice per l’udienza preliminare del
Tribunale di Forlì nei confronti di
Dallara Lorenzo, n. a Cesena il 7.1.1975
Rossi Paolo, n. a Cesena il 29.9.1943
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udite per le parti civili, Lega per l’abolizione della caccia e WWF Italia l’ avv. Anna Vio e
l’avv. Francesco Damiani che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
Udito per gli imputati il difensore avv. Giorgio Fabbri che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 26 giugno 2015 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Forlì
dichiarava non doversi procedere nei confronti di Dallara Lorenzo e Rossi Paolo in ordine ai
reati loro ascritti quanto al reato sub A) perché il fatto e non sussiste e, quanto al reato sub B),
perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Al Rossi, in qualità di incaricato di
pubblico servizio, perché tenditore autorizzato dall’amministrazione provinciale di Forlì Cesena
ed al Dallara, quale suo aiutante, erano contestati i reati di uso abusivo di sigilli e strumenti

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Data Udienza: 17/11/2015

veri ( art. 471 cod. pen.) e peculato ( art. 314 cod. pen.) perché, in concorso tra loro avevano
utilizzato abusivamente quattro fascette di plastica identificative autentiche,formalmente
attribuite a richiami vivi da utilizzare nello svolgimento dell’attività di tenditore, per marcare
quattro esemplari di tordo sassello ( specie avifaunistica selvatica facente parte del patrimonio
indisponibile dello Stato e soggetta alla tutela di cui all’art.2 legge 157/1992, appena catturati,
.dl fine di dissimularne la provenienza da cattura e, così, appropriandosene e sottraendoli alla
registrazione ed alla proprietà pubblica, in Civitella di Romagna il 31.10.2014.

non è ravvisabile nella fattispecie concreta, neppure in via astratta, essendo la condotta punita
dalla norma speciale, costituita dall’art. 30 lett. b) legge 157/1992, applicabile a tutti i titolari
di licenza di caccia e, quindi, anche al Rossi. Ha, comunque, ritenuto, che non è punibile il
tentativo di contravvenzione. Con riguardo al reato di cui all’art. 471 cod. peri., ha rilevato che
non vi è prova in atti del dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
3. Ricorre, chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, il P.M. presso
il Tribunale di Forlì che denuncia mancanza di motivazione e vizio di violazione della legge
penale ( art. 56- 314 cod. pen.) con riferimento al proscioglimento dal reato sub B). Deduce
che il reato di peculato ha natura istantanea e che anche la semplice apposizione agli uccelli in
questione della fascetta identificativa (in realtà di altri animali) integra la condotta di
appropriazione e denota la volontà di comportarsi come proprietario dell’oggetto materiale.
Oscuro, perché non motivato, anche il percorso argomentativo del giudice che ha ricondotto la
Condotta, poi ritenuta non punibile, alla contravvenzione di cui alla lettera b) dell’art. 30,
comma 1, legge 157/1992 che-(53 riferimento alle specie particolarmente protette di mammiferi
ovvero uccelli ma che non include nell’elenco il tordo sassello, specie cacciabile.
Erronea, per violazione della legge penale, anche la motivazione con la quale il giudice ha
ritenuto non sussistente il delitto di cui all’art. 471 cod. pen. non trattandosi di fattispecie
incriminatrice a dolo specifico, essendo comprovata la consapevolezza degli imputati di agire
indebitamente, dopo essersi procurati i sigilli ovvero gli strumenti destinati a pubblica
autenticazione o certificazione.

Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e deve trovare accoglimento con annullamento della sentenza
impugnata e trasmissione degli atti al Tribunale di Forlì.
2. La giurisprudenza di legittimità ha ormai tracciato con nettezza le linee che presiedono
ti al giudice dell’udienza preliminare in sede
alla delimitazione della estensione dei poteri spett(?
di richiesta di rinvio a giudizio affermando che precipuo compito del giudice dell’udienza
preliminare è quello di valutare l’idoneità e la sufficienza degli elementi probatori raccolti dal
Pubblico Ministero ai fini del rinvio a giudizio e che, pertanto, ove emetta sentenza a norma
dell’art. 425 cod. proc. pen., gli sono precluse valutazioni di merito concernenti la colpevolezza

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2. Il giudice ha ritenuto che la condotta di peculato, al più integrante l’ipotesi di tentativo,

dell’imputato poiché il suo apprezzamento deve essere condotto su di un piano esclusivamente
processuale.
3. Tanto premesso, ritiene il Collegio che, con riguardo al reato di cui al capo A) della
imputazione, risulta evidente che la valutazione condotta dal giudice dell’udienza preliminare,
piuttosto che rimanere ancorata al giudizio prognostico sulla fondatezza dell’accusa, si è risolta
in una valutazione di natura sostanziale e sul merito dell’accusa che esula dal compito, quale
innanzi delineato, del giudice dell’udienza preliminare investito della richiesta di rinvio a
giudizio. Il giudice è, così, pervenuto alla conclusione della insussistenza del fatto, trascurando

– e neppure contestata- destinazione al commercio dei capi catturati.
4. Del tutto incomplete ed apodittiche, perché meramente assertive, sono inoltre le
conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza impugnata circa la qualificazione del fatto reato
ascritto al capo B) sub specie di tentato peculato, trascurando che il reato in esame si consuma
anche mediante la diversa destinazione impressa alla cosa mobile di cui l’incaricato di pubblico
servizio ha il possesso per ragioni di ufficio, e in astratto ravvisabile nella condotta di
apposizione di posticce fascette di identificazione formalmente attribuite a richiami vivi del
proprio impianto di cattura per marcare esemplari facenti parte del patrimonio indisponibile
dello Stato e soggetti alla tutela di cui all’art. 2 legge n. 157/1992 appena catturati, così
dissimulandone tale provenienza ed appropriandosene. Inoltre, l’impugnata sentenza ha
ritenuto la condotta sussumibile nella fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 30, lett. b) L.
157/1992 (che, peraltro, rimanda ad altra specie avifaunistica rispetto a quella di
appartenenza della specie animale catturata) e, comunque, non punibile in ragione della
natura tentata della condotta, come ritenuta.
5. Ritiene, pertanto, il Collegio che le scarne argomentazioni spese dal giudicante a
supporto della conclusione di proscioglimento perché il fatto non è previsto dalla legge come
reato, impongano di riscontrare il vizio di carenza di motivazione posto che la completezza e
congruità della motivazione, costituiscono requisito indefettibile delle decisioni giurisdizionali,
ancorché non irretrattabili quali quelle adottate all’esito dell’udienza preliminare, con
conseguente annullamento della decisione impugnata carente sugli aspetti centrali di un
aspetto qualificante della contestazione, cioè se la procedura in concreto seguita dagli imputati
si sia risolta in una condotta appropriativa e delle ragioni della ritenuta prevalenza, fra norme
denunciate in conflitto apparente, dell’ipotesi contravvenzionale.
P.Q.M
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Forlì
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2015
Il Consigliere relatore

Il Presidente

l’analisi delle concrete modalità commissive della condotta accertata ed enfatizzando una finale

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