Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6254 del 23/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6254 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

Data Udienza: 23/10/2013

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CAVALLARO ALFIO N. IL 08/08/1965
SINTONI ALESSANDRO N. IL 29/07/1984
LEONE GIUSEPPE N. IL 14/07/1989
MARCHESE VINCENZO N. IL 02/02/1986
PINTO GAETANO N. IL 15/08/1982
avverso la sentenza n. 2645/2012 TRIBUNALE di CATANIA, del
07/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

!\\

Fatto e diritto

PINTO Gaetano

SINTONI Alessandro, CAVALLARO Alfio, MARCHESE Vincenzo e LEONE
i
Giuseppe ricorrono, con distinti ricorsi, per cassazione contro la sentenza di applicazione
concordata della pena in epigrafe indicata, per il reato di cessione continuata di sostanza
stupefacente, contestato in concorso.

all’insussistenza di una delle “cause di non punibilità” di cui all’articolo 129 c.p.p.
Sintoni lamenta la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma
1, lettera b) d.P.R. 309/90.
Cavallaro si duole, con il primo motivo, del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui
all’art. 73, comma 5, d. P.R. 309/90; con il secondo motivo lamenta l’inosservanza della legge
penale con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con
giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante.

I ricorsi sono manifestamente infondati.

Con riferimenti ai ricorsi di Pinto, Marchese e Leone, recanti la medesima censura, va ricordato
che, come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27 settembre
1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione concordata della
pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora
il giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli elementi
positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del
fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della
pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta
sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di
proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p.).

Pinto, Marchese e Leone deducono carenza di motivazione della medesima in ordine

In particolare, il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’articolo
129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui
dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione
di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai
sensi della disposizione citata.
Nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice decide,
invero, sulla base degli atti assunti ed è tenuto, pertanto, a valutare se sussistano le anzidette
cause di proscioglimento soltanto se le stesse preesistano alla richiesta e siano desumibili dagli
atti medesimi.
1

Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo, proporre
questioni in ordine alla mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p., senza precisare per quali
specifiche ragioni detta disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio.

Anche il ricorso proposto da Sintoni è manifestamente infondato.
Il ricorrente tralascia di considerare che nel “patteggiamento”, una volta che il giudice abbia
ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti prospettare, in sede di legittimità, questioni

attribuzione soggettiva, alla entità e modalità di applicazione della pena, ma anche alla
applicazione e comparazione delle circostanze (salvo che non si versi in ipotesi di pena
illegale) (ex pluribus, Sezione VII, 21 dicembre 2009, El Hanana). Ciò che qui deve escludersi.

Manifestamente infondato è anche il ricorso proposto da Cavallaro.
Oltre a quanto sopra esposto con riferimento al Sintoni ( che vale per il secondo motivo), va
precisato che non vi è stato, invero, alcun diniego di riconoscimento della circostanza
attenuante di cui all’art. 73, comma 5, d.p.r. 309/90, ma semplicemente l’applicazione della
pena nella misura richiesta dalle parti.
Ne consegue, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo
accettato.
La pena – come si è detto – è stata applicata nella misura richiesta e la valutazione in ordine
alla congruità della medesima risulta effettuata.
Resta, pertanto, preclusa ogni successiva doglianza al riguardo

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
ritiene equo liquidare in C 1.500,00 ( millecinquecento), a titolo di sanzione pecuniaria, in
favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla
determinazione della causa di inammissibilità.
Per questi motivi
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio del 23 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

con riferimento – non solo alla sussistenza ed alla qualificazione giuridica del fatto, alla sua

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