Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6252 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 6252 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CARCANO DOMENICO

Data Udienza: 26/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANNIZZARO MICHELE N. IL 02/01/1953
avverso la sentenza n. 4224/2007 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 28/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. DOMENICO CARCANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per 2 i t A,u~johAY;14’2. -doe Ai 00

Udito, per la parte civile, l’Avv
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1
Ritenuto in fatto
1.La Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza pronunciata dal
giudice di primo grado che, all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava Michele Cannizzaro
responsabile del delitto di partecipazione e di traffico internazionale di cocaina.
Gli elementi di prova dell’esistenza dell’associazione finalizzata al traffico dì stupefacente
emergono delle conversazioni intercettate e da altre attività di controllo degli organi di polizia.
Si accertato che l’associazione era diretta da Antonio Ascone che era il promotore e il capo;

L’attività investigative e le conversazioni intercettate consentivano di acquisire
significativi elementi mediante i quali era definito il ruolo di Cannizzaro nell’ambito del sodalizio
e di accertare che egli non soltanto svolgeva attività di “corriere”, trasportando dal Belgio
ingenti carichi di cocaina verso la Calabria, ma anche punto di riferimento degli altri sodali
poiché egli viveva in Belgio e qui l’organizzazione si riforniva con continuità di sostanze
stupefacenti, come emerso dagli atti di investigazione. I contatti frequenti con Ascone e
Scarcella, genero di quest’ultimo, emergono dalle conversazioni intercettate, prova
dell’organizzazione di importazione in Calabria di notevoli quantitativi di cocaina da parte di
Cannizzaro.
In particolare, il 5 agosto del 2001, Cannizzaro ebbe a portare in Calabria ben nove kg di
cocaina, consegnandola ad altro sodale, tale Tommaso Tisci; successiva operazione di
importazione di cocaina da parte di Cannizzaro è avvenuta il 7 settembre 2001. Tale
operazione è descritta dagli organi dì polizia, sulla base di quanto emerge dalle conversazioni
intercettate che danno conto dei contatti tra i sodali e il capo Ascone.
L’appello proposto da CannizzarAvviso delPtorte di merito, è del tutto generico
quanto all’importazione di stupefacente in Italia e la partecipazione al sodalizio, limitandosi a
contestare la mancanza di elementi. Altra eccezione, già eccepita nel giudizio di primo grado,
è riferita

bis in idem

rispetto alla sentenza pronunciata dall’autorità belga, questione

correttamente affrontata dal giudice di primo Grado con la precisazione che Cannizzaro è stato
giudicato in Belgi per riciclaggio consistente nel reimpiego di danaro proveniente dal traffico di
stupefacente.
Ad avviso delkorte d’appello, si tratta di fatti del tutto diversi e poi non vi è certezza
alcuna che il danaro riciclato provenga dal traffico di stupefacente oggetto delle attuali
imputazioni. Nella sentenza impugnata sono descritti puntualmente gli episodi per i quali vi è
stata condanna in primo grado nonché posti in evidenza per ciascuno di essi gli elementi di
prova.
2. Propone ricorso la difesa di Michele Cannizzaro e deduce
2.1.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 73 e 74 comma 2,
D.p.r. n. 309 del 1990 e degli artt. 110, 112 n. 1 c.p. per l’erronea applicazione dell’art. 649
c.p.p. e 54 ss del regolamento di applicazione del Trattato di Schenghen.

associazione composta da diverse persona tra le quali vi era anche parenti partenti di Ascone.

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Si reitera l’eccezione della violazione del ne bis in idem, ritenendo che il reimpiego di
danaro proveniente dall’attività di spaccio, come accertato dall’Autorità giudiziaria belga
pertanto, il giudizio svolto in Italia per gli stessi fatti viola il principio comunitario del ne bis in
idem, tenuto conto che si tratta di reati connessi e poi che il danaro investito all’estero si
inseriva in un contesto associativo tra soggetti italiani coinvolti nel presente procedimento.
Si riportano in ricorso alcuni principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in
relazione al concetto di “medesimi fatti” di cui al citato art. 54 del regolamento di Schengen,

attribuita dalla legge dello Stato. Ne discende che i reati per i quali vi è stata condanna in
Belgio non possono che essere considerati fatti materiali identici a quelli per i quali vi è
procedimento in Italia.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 74, comma 2, d.p.r. n.

309 del 1990, per erronea applicazione degli artt. 192 e 530 c.p.p. in ragione della totale
errata valutazione degli elementi, per l’illecito giudizio espresso in ordine alla formazione dell
prova e per la violazione dei principi presupposti alla valutazione della stessa manifesta
illogicità e carenza di motivazione, travisamento del fatto e mancata indicazione degli elementi
a sostegno della condanna.
Una corretta valutazione degli elementi avrebbe dovuto comportare la riforma della
sentenza da parte della Corte d’appello. Non vi sono riscontri che possano dare consistenza
alla condotte illecite oggetto di imputazione.
La motivazione è del tutto mancante, poiché il giudice d’appello si limita a richiamare la
decisione resa in primo grado.
Si tratta di motivazione apparente e dalla quale non emergono i fatto oggetto ascritti a
Cannízzaro e le ragioni per le quali vi è stata condanna.
La Corte d’appello si si limitata criticare l’atto di impugnazione, senza esaminare le
specifiche deduzioni e in particolare i contenuti delle conversazioni intercettate, dalle quali non
emergono fatti inerenti alle imputazioni, bensì riferimenti a vicende giudiziarie in cui erano
stati coinvolti Cannizzaro e e in particolare Calderone Antonucci. Le conversazioni non sono
univocamente significative e nelle stesse non vi sono chiari riferimenti ai fatti oggetto del
giudizio.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt.110, 112 nn.

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c.p. e art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990. Per l’erronea applicazione degli artt.192 e 530 c.p.p. per
la totale errata valutazione degli elementi, per l’illogico giudizio espresso in ordine alla
formazione della prova e per la violazione dei principi presupposti alla valutazione dello stessa,
manifesta illogicità e carenza di motivazione, travisamento del fatti e mancata indicazione degli
elementi a sostegno della condanna.
Per il ricorrente, mancano riscontri ai due viaggi effettuati da Cannizzaro nonché manca
ogni prova sulla reale motivazione degli stessi.

concetto che si collega a “fatti materiali” che prescindono dalla qualificazione giuridica, ad essi

3
Le conversazioni intercettate sono prive di significato univoco e come tali non conducono
a risultati convergenti, che possano dar conto delle imputazioni. Vi sono ragionevoli dubbi che
non avrebbero potuto comportare un pronuncia di condanna.

Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
In narrativa, si è posto in rilievo che la ricostruzione, logica e coerente con le risultanze

Belgio.
Il giudice d’appello ha condiviso la ricostruzione effettuata nella sentenza di primo grado
e con proprio ragionamento probatorio – coerente con le risultane delle attività investigative e ha ripercorso i contenuti delle conversazioni intercettate e gli altri elementi acquisiti nel corso
della intensa attività investigativa .
I fatti, come accertati dimostrano, nella logica e corretta ricostruzione di entrambi i
giudici di merito, che Cannizzaro ha avuto un ruolo determinante nell’associazione finalizzata al
traffico di stupefacenti e nell’importazione di altrettanto significativi quantitativi di eroina.
Il dedotto ne bis in idem è stato risolto da entrambi i giudici di merito in base ad
argomentazioni che ne escludono la configurabilità poiché Cannizzaro è stato giudicato in
Belgio per riciclaggio di danaro pur proveniente dal traffico di stupefacente, fatto del tutto
diverso rispetto a quelli per i quali è stato giudicato e condannato in Italia.
Le censure, pertanto, non sono altro che dirette a contestare valutazioni di merito
correttamente espresse dal giudice d’appello e coerenti con le risultanze processuali esposte
nella sentenza.
Il ragionamento probatorio della Corte d’appello è articolato – come esposto in sintesi e
nei punti significativi in narrativa – con rigore argomentativo dapprima sulle ragioni per le quali
la situazione riferita non potesse essere ricostruita nel senso indicato dall’imputato e poi sulle
risposte ai punti critici della ricostruzione operata dal giudice di primo grado.
Il ricorso è, dunque, inammissibile per manifesta infondatezza e per avere proposto
censure non consentite nel giudizio di legittimità e, a norma dell’art.616 c.p.p., il ricorrente va
condannato, oltre che al pagamento delle spese processuali, a versare la somma, che si ritiene
equo determinare in euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le
condizioni richieste dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n.186.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e a quello della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015.

in atti nonché l’assoluta diversità dei fatti per i quali vi è stata condanna di Cannizzaro in

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