Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6220 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6220 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1. De Mari Pietro, nato a Cosenza il 10/02/1969
2. Lucchetta Lorenzo, nato a Cosenza il 10/08/1954
3. Sganga Gianfranco, nato a Cosenza il 13/02/1974
4. Brunetti Francesco, nato a Decollatura il 22/08/1964
5. Carelli Massimo, nato a Zumpano il 18/02/1975
6. Castiglia Giampiero, nato a Cosenza il 20/05/1972
7. Donato Massimo, nato a Cosenza il 27/11/1978
8. Fantasia Gianluca, nato a Cosenza il 13/09/1975
9. Mazziotti Egidio, nato a Cosenza il 09/11/1970
10. Porcaro Roberto, nato a Cosenza il 04/03/1984
11. Sposato Fausto, nato a Cosenza il 13/08/1980
12. Tripodi Giuseppe, nato a Cosenza il 29/06/1978

avverso la sentenza del 20/05/2011 della Corte d’Appello di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi, i motivi aggiunti presentati
dall’imputato Brunetti e la memoria depositata dall’imputato Mazziotti;

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Data Udienza: 05/12/2012

udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi e la declaratoria
di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata
dall’imputato Carelli;
udito per la parte civile Groupama Assicurazioni l’avv. Ernesta Siracusa, che ha
concluso per la conferma della sentenza impugnata depositando nota spese;
uditi per l’imputato De Mari l’avv. Filippo Cinnante in sostituzione dell’avv.

Sganga l’avv. Filippo Cinnante, per gli imputati Brunetti e Donato l’avv. Marcello
Manna, per l’imputato Carelli l’avv. Roberto Loscerbo, per l’imputato Mazziotti
l’avv. Vittoria Maria Bossio, per l’imputato Porcaro l’avv. Gianluca Acciardi, per
l’imputato Sposato l’avv. Marcello Manna in sostituzione dell’avv. Maurizio Nucci
e per l’imputato Tripodi l’avv. Nicola Rendace, che hanno concluso per
l’accoglimento dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, all’esito del giudizio di appello avverso la
sentenza del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Catanzaro,
pronunciata il 19/11/2009 a seguito di giudizio abbreviato, veniva confermata
l’affermazione di responsabilità degli imputati
1.1. Pietro De Mari, Lorenzo Lucchetta, Gianfranco Sganga, Francesco
Brunetti, Massimo Carelli, Giampiero Castiglia e Fausto Sposato per il reato di cui
all’art.416-bis cod. pen., commesso partecipando all’associazione di tipo mafioso
denominata Cosca Cicero, organizzata e diretta da Domenico Cicero ed attiva in
Cosenza fino al giugno del 2008 nel controllo di attività economiche e nella
commissione di reati di estorsione, usura ed abusiva attività finanziaria, ed in
particolare operando lo Sganga, il Lucchetta, il De Mari ed il Carelli, i primi due
anche quali uomini di fiducia dei vertici dell’associazione, nell’esecuzione delle
estorsioni, il Lucchetta nell’esecuzione delle condotte di usura, il Lucchetta, lo
Sganga, il Castiglia ed il Brunetti nell’erogazione e nel recupero di somme
concesse a credito, lo Sposato nel recupero dei proventi illeciti, il De Mari, lo
Sganga ed il Carelli nel reinvestimento di tali proventi nel traffico di stupefacenti
ed il Carelli altresì nella detenzione delle armi del gruppo (capo 1);
1.2. De Mari per il reato di cui agli artt.56 e 629 cod. pen. commesso nel
dicembre del 2006 in danno di Attilio De Rango minacciandolo per costringerlo a
versare un’imprecisata somma di denaro (capo 25);
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fl

Rossana Cribari, per l’imputato Lucchetta l’avv. Paolo Pisani, per l’imputato

1.3. Castiglia per il reato di cui agli artt.56 e 629 cod. pen. commesso in
data prossima al 15/12/2006 minacciando Natale Cucunato per costringerlo a
versare un assegno a parziale pagamento di un debito derivante da un
finanziamento concesso con abusivo esercizio di attività finanziaria (capo 18);
1.4. Lucchetta per i reati di cui all’art.644 cod. pen. commessi in danno di
Giuseppe Lavorata (capo 5), Ippolito Turco (capo 7), Giovanni Salerni (capo 9),
Isidoro De Ferrariis (capo 22), Antonio Visciglia (capo 38);
1.5. Brunetti per i reati di cui all’art.644 cod. pen. commessi in danno di

1.6. Massimo Donato per il concorso nel reato di usura di cui al capo 16;
1.7. Sganga per il reato di cui all’art.73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309,
commesso il 17/10/2006 cedendo un quantitativo di sostanza stupefacente (capo
28);
1.8. Carelli per il reato di cui all’art.73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309,
commesso 1’01/12/2006 detenendo un quantitativo pari ad almeno gr.250 di
sostanza stupefacente (capo 29);
1.9. De Mari, Castiglia e Gianluca Fantasia per il reato di cui all’art.73 d.P.R.
9 ottobre 1990, n.309, commesso nel marzo del 2007 cedendo quantitativi
imprecisati di cocaina e hashish (capo 30);
1.10. Sposato per il reato di cui all’art.640 cod. pen. commesso in danno
della compagnia assicurativa Milano Assicurazioni denunciando falsamente un
incidente stradale fra autovetture Smart e Fiat Panda (capo 39);
1.11. Sposato per i reati di cui all’art.642 cod. pen. commessi denunciando
falsamente incidenti stradali avvenuti fra un’autovettura Fiat 500 ed un
motociclo Kawasaki in danno della compagnia assicurativa Aviva Italia (capo 40),
fra un’autovettura Renault ed un motociclo Yamaha in danno della compagnia
assicurativa Milano Assicurazioni (capo 41), fra un motociclo Yamaha e
un’autovettura condotta da Orlando Baleno in danno della compagnia
assicurativa Milano Assicurazioni (capo 42) e fra autovetture Fiat Uno e Smart in
danno della compagnia assicurativa Groupama (capo 43);
1.12. Giuseppe Tripodi per il concorso nel reato di frode assicurativa di cui al
capo 40;
1.13. Lucchetta e Egidio Mazziotti per il concorso nel reato di frode
assicurativa di cui al capo 41;
1.14. Roberto Porcaro per il reato di cui agli artt. 2 e 4 legge 2 ottobre
1967, n.895, commesso il 03/05/2007 detenendo e portando illegalmente una
pistola cal.6,35 (capo 33).

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ci7

Vincenzo Colacino (capi 15 e 16);

2. Con la sentenza impugnata veniva altresì confermata la condanna del De
Mari, dello Sganga e del Castiglia alla pena di anni otto di reclusione, del
Lucchetta alla pena di anni otto e mesi quattro di reclusione, del Carelli e dello
Sposato alla pena di anni cinque di reclusione, del Donato alla pena di anni uno
di reclusione ed €.4.000 di multa, del Fantasia alla pena di anni due di reclusione
ed C.12.00 di multa e del Mazziotti alla pena di mesi sei di reclusione, nonché la
condanna al risarcimento dei danni degli imputati De Mari, Lucchetta, Sganga,
Brunetti, Umili, Castiglia e Spostato in favore della parte civile Regione
Calabria, degli imputati Lucchetta, Mazziotti e Spostato in favore della parte
civile Milano Assicurazioni e dell’imputato Sposato in favore della parte civile
Groupama. In parziale riforma della sentenza appellata, le pen/e venivano
rideterminate in anni sei e mesi quattro di reclusione per il Brunetti, anni uno,
mesi due e giorni venti di reclusione ed C.600 di multa per il Porcaro e mesi otto
di reclusione per il Tripodi.

3. Gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati nell’ordine
logico-giuridico di trattazione.
3.1. Il ricorrente Porcaro richiama le questioni di nullità ed inutilizzabilità già
eccepite dinanzi ai giudici di primo grado e di appello.
3.2. Il ricorrente Carelli deduce violazione di legge in ordine alla ritenuta
competenza per materia della Corte d’Appello in luogo di quella della Corte di
Assise di Appello, osservando che, secondo la disciplina in vigore alla data della
pronuncia della sentenza di primo grado, la cognizione per il reato associativo
sarebbe appartenuta alla corte di assise qualora il procedimento non si fosse
svolto con il rito abbreviato; che le successive modifiche normative non incidono
sul procedimento in quanto intervenute successivamente alla data di cui sopra,
determinativa della disciplina applicabile; e che la norma transitoria di cui
all’art.2 legge 6 aprile 2010, n.52, per la quale previsione di competenza del
tribunale per il reato di cui all’art.416-bis cod. pen., introdotta dalla stessa legge,
è applicabile ai procedimenti in corso nei quali non sia stato dichiarato aperto il
dibattimento dinanzi alla corte d’assise, non fa alcun riferimento ai procedimenti
già definiti in primo grado. In subordine il ricorrente solleva eccezione di
illegittimità costituzionale della citata norma transitoria rispetto ai principi di
ragionevolezza e rispetto del giudice naturale di cui agli artt.3 e 25 Cost., e
chiede che la questione sia comunque rimessa alla Sezioni Unite di questa Corte.
3.3. Sulla ritenuta esistenza della contestata associazione di tipo mafioso, il
ricorrente De Mari deduce mancanza di motivazione su elementi concreti a
sostegno della configurabilità del reato, al di là delle intercettazioni e delle
dichiarazioni dei collaboratori. Il ricorrente Castiglia lamenta illogicità e
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…-

contraddittorietà della motivazione rispetto alla mancanza di precedenti giudiziari
sul riconoscimento della cosca Cicero, alle difformi indicazioni provenienti dalle
dichiarazioni rese in sede dibattimentale e in altro procedimento dai collaboratori
Francesco Amodio e Vincenzo Dedato, alla mancanza di accordi per la spartizione
dei proventi illeciti e di sequestri di sostanze stupefacenti, alle dichiarazioni rese
da soggetti vittime di condotte usurarie, contrastanti con le ritenute condizioni di
omertà ed assoggettamento, ed all’irrilevanza della frequentazione, da parte
degli imputati, del quartiere San Vito di Cosenza, in quanto abitato fin

Angelo Cerminara, del quale non risultano allo stato identificati i responsabili.
3.4. Sulla partecipazione dei singoli ricorrenti al reato associativo, il
ricorrente De Mari deduce mancanza di motivazione sulle discrasie nel contenuto
delle intercettazioni, evidenziate nell’atto di appello, e contraddittorietà delle
conclusioni della Corte territoriale rispetto al contenuto in realtà neutro della
conversazioni, alla mancanza di richiami al De Mari nelle dichiarazioni dei
collaboratori, al di fuori generici e risalenti accenni di Domenico Scrugli e Oreste
De Napoli all’imputato come frequentatore di Osvaldo Cicero e dedito alle rapine
ed allo spaccio di stupefacenti, ed alle dichiarazioni delle persone offese, che
denunciavamo prontamente l’imputato e non parlavano della spendita, da parte
dello stesso, di nomi riferibili all’associazione. Il ricorrente Lucchetta deduce
illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto alla mancata indicazione
dell’imputato quale affiliato all’associazione da parte dei collaboratori, al di là di
un’indicazione dubitativa in tal senso di Vincenzo Dedato, alla mancanza di
conoscenza degli altri associati mostrata dall’imputato nelle conversazioni
intercettate, ove lo stesso si presentava unicamente come ambasciatore di
Riccardo Greco e solo con il predetto aveva contatti, agli importi monetari
irrilevanti ai quali si faceva riferimento nelle intercettazioni, non compatibili con
un’attività usuraria, alla riferibilità del nome Micuzzu apposto sulla girata di un
assegno al figlio dell’imputato, omonimo di Domenico Cicero, ed alla disponibilità
da parte del Lucchetta di un lecito reddito da pensione. Il ricorrente Sganga
deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto all’imprecisione,
all’incompletezza ed alla non attualità delle dichiarazioni dei collaboratori,
all’irrilevanza delle intercettazioni ambientali nei confronti di soggetti residente
nel quartiere controllato e di quelle telefoniche in quanto intercorrenti con non
più di altre due persone coinvolte nella vicenda, ed alla datazione delle attività
estorsive agli anni dal 2000 al 2006 e quindi ad epoca nella quale l’associazione,
contestata come operativa dal 2006, non aveva raggiunto un’effettiva capacità
intimidatoria. Il ricorrente Brunetti deduce illogicità e contraddittorietà della
motivazione rispetto alla mancanza di contatti dell’imputato con altri imputati e
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dall’infanzia dalla maggioranza degli stessi, e dell’episodio della scomparsa di

di riferimenti al Brunetti nelle dichiarazioni dei collaboratori, nonché
nell’affermazione della confluenza in una disponibilità comune agli associati dei
proventi illeciti versato a Riccardo Greco, contrastante con le dichiarazioni della
figlia di quest’ultimo per le quali il denaro veniva versato su un libretto bancario
acceso per il mantenimento del Greco durante la detenzione presso un carcere
spagnolo; denuncia altresì mancanza di motivazione sulla possibilità che i
rapporti di credito del Greco verso due soggetti, di cui ad una missiva del
predetto rinvenuta presso l’abitazione dell’imputato, attenessero a rapporti di
delle dichiarazioni spontanee rese dal Greco nell’ambito del processo celebrato
col rito ordinario; e con motivi aggiunti, oltre a ribadire le predette osservazioni,
si lamenta contraddittorietà delle conclusioni della Corte territoriale con
l’esclusione dell’aggravante di cui all’art.7 legge 12 luglio 1991, n.203, per il
reato-fine di cui al capo 16, e mancanza di motivazione sulla consapevolezza
dell’imputato di agire per conto di un’associazione criminosa. Il ricorrente Carelli
deduce illogicità della motivazione nel riferimento alla compagine associativa
presente nella conversazione intercettata il 13/12/2006 fra l’imputato e Giuseppe
e Caput°, tenuto conto che tali riferimenti comprendono solitamente soggetti che
gravitano intorno ad un gruppo criminale senza farne effettivamente parte e che
nella conversazione stessa non compariva l’indicazione di ruoli specifici, e
contraddittorietà delle conclusioni dei giudici di merito con il mancato
coinvolgimento del Carelli in alcuno dei reati esecutivi del programma
associativo. Il ricorrente Castiglia deduce illogicità e contraddittorietà della
motivazione rispetto alla mancata indicazione dell’imputato quale affiliato
all’associazione da parte dei collaboratori, dei quali lo Scrugli ne parla come
componente fino al 2000 della diversa cosca Bruni, ed alla ravvisabilità di un
rapporto esclusivo fra il Castiglia e Riccardo Greco, nonché nel riferimento ad
una conversazione ambientale nella quale non veniva attribuito all’imputato
alcun ruolo specifico. Il ricorrente Sposato deduce mancanza di motivazione
sulla finalizzazione dei reati specifici agli scopi dell’associazione e
contraddittorietà delle conclusioni dei giudici di merito con l’obbligo per lo
Sposato di corrispondere al Greco, tramite il Lucchetta, la metà dei proventi della
gestione delle pratiche assicurative, dato contrastante con la comune
disponibilità di detti proventi da parte dell’associazione e piuttosto indicativo di
interesse personale del Greco.
3.5. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di tentata estorsione di
cui al capo 25 e sulla ritenuta configurabilità per detto reato dell’aggravante di
cui all’art.7 legge 12 luglio 1991, n.203, il ricorrente De Mari deduce violazione
di legge osservando che l’imputato, dopo aver tentato più volte di incontrare di
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carattere esclusivamente personale fra il Greco ed il Brunetti, e sul contenuto

persona la persona offesa, titolare di un ristorante, la contattava telefonicamente
rivolgendole l’espressione «tu non vuoi stare tranquillo, adesso ti faccio vedere
io», senza che a ciò seguisse alcun ulteriore incontro o richiesta di denaro,
potendosi pertanto al più ravvisare nei fatti l’ipotesi della desistenza volontaria.
Lamenta altresì mancanza di motivazione sulla finalizzazione della condotta agli
scopi associativi e contraddittorietà della stessa rispetto alla mancata spendita,
da parte dell’imputato, del nome del sodalizio criminoso.
3.6. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di tentata estorsione di
fondata solo su un’intercettazione, in mancanza di dichiarazioni della persona
offesa, non potendosi escludere che il credito vantato nei confronti

di

quest’ultima avesse causale lecita.
3.7. Sull’affermazione di responsabilità del Brunetti per i reati di usura di cui
ai capi 15 e 16 e del Donato per quest’ultimo reato, i ricorrenti deducono
violazione di legge osservando che le somme corrisposte dalla persona offesa a
fronte dei prestiti non costituiscono tassi usurari, e lamentano la
contraddittorietà della motivazione nella ritenuta sussistenza di una pluralità di
episodi. Ulteriori profili di contraddittorietà sono rilevati dal Brunetti con
riferimento all’esclusione dell’aggravante di cui all’art.7 legge 12 luglio 1991,
n.203, e dal Donato rispetto alla circostanza per la quale nella conversazione
intercettata nell’ottobre del 2007 Riccardo Greco sconsigliava l’erogazione del
prestito; lamentandosi altresì in quest’ultimo ricorso mancanza di motivazione
sulla ritenuta valenza probatoria di una seconda conversazione intercettata il
30/11/2007 fra l’imputato e la persona offesa e sulla viceversa esclusa
significatività del rigetto della richiesta di applicazione della misura cautelare.
3.8. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di cessione di
stupefacenti di cui al capo 28, il ricorrente Sganga deduce illogicità della
motivazione nell’attribuzione di significato probatorio ad una conversazione
intercettata in ambiente carcerario fra persone diverse dall’imputato e nei
ritenuti riscontri provenienti dal rinvenimento di stupefacenti e di un bilancino di
precisione in luogo non pertinente all’abitazione dello Sganga e in intercettazioni
telefoniche relative ad imprecisate consegne di stupefacenti, per le quali non vi
sono imputazioni specifiche.
3.9. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di detenzione di
stupefacente di cui al capo 29, il ricorrente Carelli deduce illogicità della
motivazione nel trarre la prova da un’intercettazione ambientale fra due
interlocutori, l’identificazione di uno dei quali nell’imputato è insufficientemente
ritenuta in base all’intestazione dell’autovettura sulla quale il colloquio si
svolgeva ed al riconosci mento vocale degli agenti operanti. Lamenta inoltre la
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cui al capo 18, il ricorrente Castiglia deduce illogicità della motivazione in quanto

contraddittorietà della motivazione rispetto al contenuto della conversazione,
indicativo di un consumo personale dello stupefacente da parte degli interlocutori
anche per i riferimenti a droga leggera, all’unicità dell’episodio ed alla
contestuale assoluzione di Raffaele Morabito, identificato nell’altro soggetto
presente sull’autovettura.
3.10. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di cessione di
stupefacenti di cui al capo 30, i ricorrenti De Mari e Castiglia deducono illogicità
della motivazione nel desumere la prova da una sola conversazione intercettata il

escludere la destinazione dello stupefacente ad uso personale.
3.11. Sull’affermazione di responsabilità per i reati di frode assicurativa di
cui ai capi 40 e 41, i ricorrenti Tripodi e Mazziotti deducono in primo luogo il
difetto di legittimazione a proporre querela delle compagnie assicuratrici che
avevano in concreto presentato l’atto, segnatamente la Aviva Italia per il capo
40 e la Milano Assicurazioni per il capo 41, parti offese dei reati dovendo invece
ritenersi le compagnie che assistevano i soggetti che si erano attribuiti la
responsabilità dei sinistri, ossia la Fondiaria SAI per il capo 40 e la SARA
Assicurazioni per il capo 41, a nulla rilevando che nell’immediatezza dei fatti le
compagnie querelanti avessero immediatamente risarcito i rispettivi assistiti,
dato che le stesse esercitavano poi il diritto di rivalsa nei confronti delle
compagnie delle controparti. Il Mazziotti deduce altresì mancanza di motivazione
in ordine all’eccepita tardività della querela in quanto proposta solo il
10/03/2009 nel corso dell’udienza preliminare, laddove la conoscenza del fatto
da parte del querelante doveva ritenersi realizzata ancora nel 2007 con il
risarcimento del danno, e comunque per essere stata la stessa presentata
successivamente alla conclusione delle indagini preliminari, il che non avrebbe
consentito di procedere alla richiesta di rinvio a giudizio; e con memoria
successivamente presentata, oltre a ribadire tali censure, eccepisce ai sensi
dell’art.129 cod. proc. pen. invalidità della querela in quanto presentata da Ivano
Cantarale in forza di procura speciale rilasciatagli dalla Milano Assicurazioni il
23/06/2004 e quindi precedentemente ai fatti contestati, e comunque priva di
qualsiasi riferimento all’oggetto del procedimento. Il Tripodi deduce violazione di
legge nella ritenuta sussistenza del reato in base alla denuncia di un sinistro
effettivamente avvenuto, per se con l’indicazione di dati non conformi al vero
sulla data del fatto e sull’identità del conducente del motociclo tuttavia ininfluenti
sulla responsabilità del conducente dell’autovettura, e in assenza del dolo
specifico di conseguire indebitamente l’indennizzo assicurativo, nella specie per
quanto detto dovuto. Il Mazziotti deduce infine contraddittorietà della
motivazione rispetto alla perizia in sede assicurativa, la quale aveva accertato
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21/03/2007 fra il Castiglia ed il Fantasia, dal contenuto della quale non si poteva

l’effettiva verificazione del sinistro, ed illogicità della stessa nell’attribuzione di
rilevanza probatoria a contatti fra le parti del sinistro viceversa normali per la
composizione della vicenda, denunciandosi mancata valutazione della tesi
difensiva.
3.12. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di porto e detenzione
illegale di arma di cui al capo 33, il ricorrente Porcaro deduce illogicità della
motivazione nel trarre la prova da un’intercettazione ambientale priva di
riscontri, attesa la negatività delle perquisizioni effettuate, richiamandosi per il
3.13. Sulla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 legge 12
luglio 1991, n.203, il ricorrente Sposato deduce mancanza di motivazione in
ordine all’aver la finalità agevolativa dell’associazione costituito motivo specifico
della condotta.
3.14. Sul diniego delle attenuanti generiche e sulla determinazione della
pena, il ricorrente Sganga deduce mancanza di motivazione in ordine al ruolo
apicale dell’imputato nell’associazione. Il ricorrente Brunetti deduce illogicità
della motivazione nel riferimento ai precedenti penali, non dirimenti ai fini
dell’esclusione delle attenuanti generiche, e contraddittorietà della stessa
rispetto all’esclusione dell’aggravante di cui all’arti legge 12 luglio 1991, n.203.
il ricorrente Carelli deduce illogicità della motivazione rispetto al carattere non
grave dei fatti ed alla aspecificità dei precedenti penali. Il ricorrente Sposato
deduce mancanza di motivazione nel generico riferimento alla gravità dei fatti ed
al coinvolgimento dell’imputato in una pluralità di condotte. Il ricorrente Fantasia
deduce illogicità della motivazione sulla misura della pena, rispetto alla scarsa
offensività della condotta, sul diniego delle attenuanti generiche, fondato solo sui
precedenti penali e non su una valutazione globale del fatto che comprendesse il
comportamento successivo allo stesso, e sull’applicazione dell’aumento per la
recidiva, del quale si evidenzia in generale la non obbligatorietà e nella specie la
giustificazione nel solo dato delle precedenti condanne, denunciandosi mancanza
di motivazione sulla maggiore capacità a delinquere.
3.15. I ricorsi proposti dal Lucchetta e dal Castiglia contengono infine
richieste di riconoscimento delle attenuanti generiche e, per il solo Lucchetta,
della continuazione con i fatti di cui ad una sentenza allegata all’atto di gravame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo di ricorso proposto dal Porcaro, richiamando le questioni di
nullità ed inutilizzabilità già eccepite dinanzi ai giudici di merito, è inammissibile.
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resto i motivi di appello.

La censura è invero generica In quanto priva dell’esposizione del contenuto
delle eccezioni, non essendo sufficiente a tal fine il rinvio a quanto dedotto nei
precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n.2896 del 09/12/1998, La Mantia,
Rv.212610; Sez. 2, n.27044 del 29/05/2003, Maggiore, Rv.225168; Sez. 6,
n.21858 del 19/12/2006, Tagliente, Rv.236689); non senza considerare che,
come osservato nella sentenza impugnata, anche i motivi di appello proposti sul
punto dal ricorrente si limitavano a richiamare le eccezioni presentate dinanzi al

2. Il motivo di ricorso proposto dal Carelli in ordine alla ritenuta competenza
per materia della Corte d’Appello, in luogo di quella della Corte di Assise di
Appello, è infondato.
L’art. 1 d.l. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito con la legge n. 52 del 2010,
sopravvenuta rispetto alla sentenza di primo grado nel presente procedimento,
modificava l’art. 5 cod. proc. pen. con riguardo alla competenza per materia in
ordine fra gli altri al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., attribuendo detta
competenza al tribunale in luogo della corte d’assise. Come rammentato dallo
stesso ricorrente, l’art. 2 della legge citata dispone con norma transitoria che
tale disciplina si applichi, per il reato di cui sopra, anche ai procedimenti nei quali
l’azione penale sia stata esercitata precedentemente all’entrata in vigore della
legge, con esclusione dei soli casi nei quali sia stato già aperto il dibattimento
dinanzi alla corte d’assise. La tassatività di questa previsione è evidenziata
dall’essere la stessa formulata in espressa deroga al regime transitorio dettato
dall’art. 1, comma secondo, della legge per la generalità dei casi interessati dalla
stessa, in ordine ai quali la precedente normativa continua a trovare applicazione
per i procedimenti in ordine ai quali l’azione penale sia stata esercitata prima del
30/06/2010. E’ chiaro, a questo punto, l’intento del legislatore di garantire la più
ampia retroattività alla nuova disciplina regolatrice della competenza per il reato
di associazione mafiosa; tanto da escluderne l’operatività solo laddove il
procedimento sia già incardinato dinanzi alla corte d’assise.
Al di fuori di tale ipotesi, come questa Corte ha già avuto del resto occasione
di affermare (Sez. 6, n. 21063 del 03/05/2011, Ando’, Rv. 250104), la
competenza per il reato in esame appartiene al tribunale e, di conseguenza, alla
corte d’appello in secondo grado. E’ priva di effetti in contrario la circostanza,
particolarmente segnalata dal ricorrente, per la quale nella specie il giudizio non
veniva aperto dinanzi alla corte d’assise a seguito dell’opzione dell’imputato per il
rito abbreviato, e veniva definito in primo grado in quest’ultima sede
precedentemente all’entrata in vigore della legge modificatrice. Tanto, infatti,
Implica unicamente l’oggettiva insussistenza di quella condizione materiale, ossia
10

giudice di primo grado.

l’incardinarsi del processo dinanzi ad una corte d’assise, che sola rende
impraticabile l’estesa retroattività voluta dal legislatore per la nuova normativa,
irrilevanti essendo le ragioni per le quali in concreto tale condizione non si
verifichi.
Manifestamente infondata è la dedotta questione di illegittimità
costituzionale della normativa in esame, in quanto interpretata nei suddetti
termini. Il rispetto del principio costituzionale di non sottrazione del
procedimento al giudice naturale è invero garantito dalla previsione del
dinanzi alla corte d’assise; e per altro verso il descritto regime transitorio si
sottrae a censure di irragionevolezza, essendo espressione della discrezionalità
del legislatore nell’evidente finalità di consentire immediata operatività
all’attribuzione ad un giudice interamente professionale della competenza a
conoscere di un reato il cui accertamento dà luogo a particolari difficoltà
tecniche. Né infine vi sono le condizioni per la richiesta rimessione del
procedimento alle Sezioni Unite di questa Corte, attese la linearità e l’assenza di
contrasti sull’interpretazione seguita.
3. I motivi di ricorso proposti dal De Mari e dal Castiglia sulla ritenuta
esistenza della contestata associazione di tipo mafioso sono inammissibili.
Il ricorso del De Mari è del tutto generico nel limitarsi a lamentare la
mancanza di concreti elementi di prova. Ma generiche sono anche le censure
proposte dal Castiglia con riguardo alle asserite contraddittorietà delle
conclusioni della Corte territoriale rispetto ai contenuti delle dichiarazioni dei
collaboratori, laddove i giudici di merito rilevavano come queste ultime
assumessero nel contesto probatorio una rilevanza marginale, fermandosi le
conoscenze dei dichiaranti ai fatti avvenuti fino al 2002; non senza considerare
che il particolare richiamo del ricorrente alle dichiarazioni del collaboratore
Amodio sulla riconducibilità del riferimento a San Vita al gruppo criminoso Perna
veniva specificamente esaminato nella sentenza, sottolineandosi come il gruppo
Cicero fosse succeduto nel quartiere San Vito al gruppo Perna-Cicero, operante
all’epoca investita dalle conoscenze dei collaboratori. Anche la doglianza sulla
mancata identificazione dei responsabili della scomparsa di Angelo Cerminara
non colpisce l’argomentazione dei giudici di merito sul punto, intesa a segnalare
la significatività oggettiva dell’episodio in quanto riguardante un soggetto, il
Cerminara per l’appunto, che passava dalla cosca Bruni alla cosca Cicero. E per il
resto il ricorrente si limita a proporre diverse valutazioni di taluni solo degli
elementi sui quali è costruita l’argomentazione della Corte d’Appello, fra l’altro
richiamando, in asserito contrasto con le condizioni di assoggettamento
11

mantenimento della competenza previgente una volta che il processo sia aperto

omertoso, denunce delle parti offese delle quali la sentenza evidenziava
all’opposto la sporadicità rispetto ai numerosi episodi emergenti dalle
intercettazioni. Non è pertanto oggetto di rilievi specifici il complesso della
motivazione, fondato sui servizi di osservazione e di videoregistrazione
dell’attività degli imputati presso il magazzino della società Centro Forniture Edili
di Osvaldo Cicero, nel quartiere San Vito di Cosenza, individuato come base
logistica del gruppo presso la quale si svolgevano anche riunioni con elementi di
spicco di altre associazioni, quali la famiglia Bruni; sulle intercettazioni
in danno di operatori commerciali ed i contatti fra Domenico Cicero, Giuseppe
Caput° ed il Carelli a seguito dell’arresto dello Sganga e di Giuseppe Perna per
una tentata estorsione in danno del commerciante Nigro, dimostrativi della
riconducibilità di tale operazione all’attività illecita dell’intero gruppo; sulla
condizione di omertà ed assoggettamento evidenziata dalla mancanza di reazioni
delle parti offese alle azioni intimidatorie, ad eccezione di casi isolati; sui
riferimenti di talune delle vittime all’esistenza di un gruppo operante nel
quartiere San Vito; sulla distinzione dei ruoli fra gli associati nel rispetto di un
vincolo gerarchico verso le direttive impartite dal Caputo, dal Greco e dello
Sganga; sull’impiego nelle conversazioni intercettate di un linguaggio
convenzionale comune a tutti gli associati; sull’esistenza di un fondo comune
dove confluivano i proventi delle attività illecite; sull’accolto, da parte del gruppo,
delle spese legali e di sostentamento dei familiari degli associati sottoposti ad
arresto; e sull’immediata sostituzione alla guida dell’associazione di Domenico
Cicero, dopo l’arresto di questi, con il figlio Osvaldo
4. I motivi di ricorso proposti dagli imputati De Mari, Lucchetta, Sganga,
Brunetti, Carelli, Castiglia e Sposato sull’affermazione di responsabilità per la
partecipazione al reato associativo sono inammissibili.
Il ricorso del De Mari è generico nel richiamo a discrasie nei contenuti delle
conversazioni Intercettate, non meglio indicate se non con un mero e non
consentito riferimento ai motivi di appello, ed al carattere risalente delle
conoscenze dei collaboratori, di cui la stessa sentenza impugnata dava atto
evidenziando come tali dati fossero di mero supporto ai già decisivi risultati delle
intercettazioni. E generica è altresì la riproposizione dei rilievi sulle denunce delle
vittime dei reati estorsivi in quanto contrastanti con gli effetti intimidatori e non
rappresentative della spendita del nome dell’associazione, già ampiamente
esaminati dalla Corte territoriale nel sottolineare la compatibilità della portata
intimidatoria con la reattività di singole persone offese e l’irrilevanza dell’omessa
menzione del gruppo criminoso di appartenenza. Non è per il resto oggetto di
12

L2)

telefoniche dalle quali emergevano la sistematica di richiesta di somme di denaro

rilievi specifici il complesso della motivazione, fondato sulle risultanze delle
intercettazioni, in particolare sugli incarichi dell’imputato di diffondere
disposizioni e riscuotere denaro per conto di Riccardo Greco, nominato dal De
Mari con appellativi rispettosi, e di accompagnare presso il carcere la moglie
dello Sganga dopo l’arresto di quest’ultimo, sulla condanna definitiva per una
tentata estorsione in danno dell’imprenditore Aiello in una vicenda caratterizzata
da riferimenti all’appartenenza del De Mari al gruppo di San Vito, oggetto
peraltro anche di espressi accenni dello nei Sganga in colloqui intercettati presso
sull’appartenenza dell’imputato alla cosca Cicero.
Il ricorso del Lucchetta è generico nel riproporre argomenti frammentari e
peraltro già esplicitamente valutati dalla Corte territoriale, la quale osservava
che la mancata indicazione dell’imputato da parte dei collaboratori si spiegava
con le conoscenze temporalmente limitate di questi ultimi, che la compatibilità
del diminutivo apposto sulle matrici degli assegni con il nome del figlio
dell’imputato, oltre che con quello di Domenico Cicero, non privava il dato di
portata indiziante nella sua convergenza con gli altri elementi, che la mancata
comprensione dell’identità di un associato in una conversazione telefonica
trovava giustificazione in una momentanea distrazione dell’imputato e che
l’assenza di coinvolgimenti del Lucchetta in altri procedimenti era irrilevante,
ovvero implicitamente disattesi per la loro evidente non decisività rispetto al
quadro probatorio complessivo, quale i limitati importi monetari menzionati nelle
conversazioni o la disponibilità di una pensione in capo all’imputato. Generico e
comunque manifestamente infondato è poi il rilievo sui prevalenti contatti del
Lucchetta con il coimputato Greco, questione anch’essa affrontata dai giudici di
merito osservando correttamente che l’esclusività del rapporto con un
coassociato non esclude la partecipazione al sodalizio, laddove detto rapporto sia
ricostruito come consapevolmente inserito nella realizzazione di un’attività
delittuosa condotta in forma assodata (Sez. 2, n.1637 del 02/04/1982, Guzzardi,
Rv.157556; Sez. 6, n.5146 del 29/10/1987, Melis, Rv.178241). Non è per il
resto oggetto di rilievi specifici il complesso della motivazione, fondato sui
contenuti delle intercettazioni e in particolare sugli incarichi conferiti dal Greco
all’imputato per la raccolta dei proventi illeciti, sulla comunicazione delle richieste
di pagamenti in corrispondenza con i contatti con i commercianti, quali il
Lavorata ed il Turco, che riferivano di rapporti usurari con il gruppo di San Vito,
sulla consegna agli associati del denaro della cassa comune, sull’incontro
dell’imputato con un esponente della famiglia Bruni e sul rinvenimento presso
l’imputato di titoli riportanti i nominativi delle vittime delle operazioni usurarie,
oltre che delle già citate matrici di assegni rappresentativi di movi ntazioni
13

il carcere, e sulle dichiarazioni dei collaboratori De Napoli e Scrugli

incompatibili con lo stato di disoccupazione del Lucchetta, taluni dei quali
contrassegnati dal diminutivo del nome di Domenico Cicero.
Il ricorso dello Sganga è generico nelle censure sulla rilevanza probatoria
delle intercettazioni e nelle doglianze su profili limitati e peraltro già valutati nella
sentenza impugnata, con particolare riguardo alla significatività delle
dichiarazioni dei collaboratori e della partecipazione alla condotta estorsiva in
danno del Nigro, pur se concernenti fatti precedenti a quelli contestati, nella loro
coerenza con questi ultimi. Non è per il resto oggetto di rilievi specifici il
seguente l’arresto dell’imputato e del Perna per la tentata estorsione in danno
del Migro nel 2006, dalle quali risultava che Domenico Cicero informava
Immediatamente dell’accaduto il Caputo ed il Carelli, che il De Mari si attivava
per accompagnare la moglie dell’imputato in carcere e che in generale tutti gli
interlocutori si manifestavano come coinvolti nella vicenda, sulle ulteriori
intercettazioni dalle quali emergeva che l’imputato veniva informato di incontri al
vertice e incaricato dal Greco della custodia di notevoli somme di denaro, ed
impartiva direttive per la raccolta dei proventi illeciti e le pressioni sulle vittime
inadempienti, sulle dichiarazioni dei testi Tassone e Turco e dei collaboratori De
Napoli e Dedato sull’appartenenza dell’imputato alla cosca del Cicero e su quanto
riferito ancora dai predetti collaboratori in merito ad un episodio estorsivo posto
in essere già nel 2000 in danno dell’imprenditore Santise.
Il ricorso del Brunetti è generico nella censura di contraddittorietà della
motivazione in quanto proponente una mera valutazione alternativa del solo
aspetto della confluenza dei proventi in una cassa comune e di profili, quali
l’esclusività del rapporto con il Greco e la mancanza di riferimenti al Brunetti
nelle dichiarazioni dei collaboratori, dei quali la sentenza impugnata evidenziava
già l’irrilevanza con riguardo alle posizioni altri imputati. Generiche sono altresì le
doglianze di omessa motivazione sul contenuto delle dichiarazioni spontanee del
Greco, delle quali viceversa i giudici di merito segnalavano l’inutilizzabilità in
quanto irritualmente prodotte quali allegazioni ad una memoria difensiva e
comunque la natura di mera negazione delle accuse, e sulla riferibilità della
missiva del Greco a rapporti personali fra lo stesso ed il Brunetti, in realtà
oggetto anche in questo caso di una valutazione alternativa del singolo elemento
di prova, superata dal’inserimento dello stesso nel complesso indiziario
esaminato dalla Corte territoriale. Manifestamente infondati sono i motivi
aggiunti sulla dedotta contraddittorietà delle conclusioni della Corte territoriale
con l’esclusione dell’aggravante di cui all’art.7 legge n.203 del 1991 per i reatifine di cui ai capi 15 e 16, che si vedrà limitata in realtà al solo capo 16 e
motivata dalla riferibilità di quel singolo episodio ad un’iniziativa personale del
14

complesso della motivazione, fondato sulle conversazioni intercettate il giorno

Brunetti e del coimputato Donato, e sulla mancanza di motivazione in ordine alla
consapevolezza dell’imputato di operare in un contesto associativo,
implicitamente quanto chiaramente affermata nel riferimento ad un’attività non
percepibile che come funzionale agli scopi del sodalizio. Non è per il resto
oggetto di rilievi specifici il complesso della motivazione, fondato sulle
conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali emergevano l’inserimento
dell’imputato nella sistematica raccolta di denaro confluito poi in una cassa
comune, facente capo al Greco, e l’esclusività del rapporto con quest’ultimo,
dopo la scarcerazione, informandone tempestivamente il Greco, e reso
disponibile a seguire l’attività di altri affiliati ed a recuperare quanto custodito
nell’appartamento in Spagna del Greco dopo l’arresto di questi, sulle
dichiarazioni dei commercianti Presta e Salerni sul ruolo di vertice occupato dal
Greco nell’attività usuraria svolta nel nome di « quelli di San Vito» e sul
rinvenimento presso l’imputato di una missiva del Greco con riferimenti a crediti
nei confronti di due soggetti, uno dei quali attribuiva il debito alla corresponsione
di interessi, ed all’incarico al Brunetti di riscuoterli.
Il ricorso del Carelli è generico e meramente propositivo di una diversa
valutazione di merito nella doglianza sul significato da attribuirsi al riferimento,
in una conversazione fra l’imputato ed il Caputo, alla comune appartenenza ad
«una famiglia»; e manifestamente infondata è la censura di contraddittorietà
rispetto al mancato coinvolgimento del Carelli in alcuni dei reati-fine, non
incompatibile con la sussistenza del vincolo associativo, ravvisabile anche
laddove nessun reato specifico sia attribuito all’affiliato (Sez. 2, n. 4304
dell’11/01/2012, Romeo, Rv. 252205). Non è per il resto oggetto di rilievi
specifici il complesso della motivazione, fondato sulle intercettazioni dalle quali
risultavano la stabile attività dell’imputato nella raccolta dei proventi, anche con
pressioni sulle vittime, su incarico del Caputo o dello Sganga, e la partecipazione
del Carelli ai contatti che a seguito dell’arresto di quest’ultimo intercorrevano fra
tutti i componenti del gruppo.
Il ricorso del Castiglia è generico nelle censure sulla mancata menzione
dell’imputato da parte dei collaboratori e sull’esclusività del rapporto con il
Greco, aspetti ampiamente discussi nella sentenza impugnata per quanto detto
in precedenza;• e generica è altresì la doglianza sull’omessa attribuzione
all’imputato di un ruolo determinato, viceversa individuato nella riscossione dei
proventi illeciti. Non è per il resto oggetto di rilievi specifici il complesso della
motivazione, fondato sulle intercettazioni che indicavano l’imputato come non
solo dedito alla raccolta del denaro, anche con pressioni

sui

soggetti

inadempienti, per conto del Greco, ma altresì come partecipe alla divisione del
15

evidenziata dall’essersi il Brunetti prontamente recato nella sede della cosca

relativo ricavato ed altresì al traffico di stupefacenti, e specificamente indicato
dal detenuto Sganga, in un colloquio carcerario con la moglie, come soggetto al
quale fare riferimento nell’attività di riscossione.
Il ricorso dello Sposato è generico nel richiamo all’obbligo per l’imputato di
trasmettere al Greco la metà dei proventi delle pratiche assicurative, la cui
compatibilità con il vincolo associativo era specificamente argomentata dalla
Corte territoriale osservando come tali proventi fossero poi distribuiti Dal Greco e
dal Lucchetta agli associati; e manifestamente infondata è la doglianza di
dell’associazione, chiaramente valutata dai giudici di merito nel rilevare il
coinvolgimento della struttura associativa nelle operazioni e la destinazione alla
stessa dei relativi proventi. Non è per il resto oggetto di rilievi specifici il
complesso della motivazione, fondato su intercettazioni che evidenziavano gli
stabili rapporti fra l’imputato, il Greco ed il Lucchetta nelle operazioni fraudolente
ai danni delle società assicuratrici, la costante informazione del Greco in merito a
tali operazioni ed all’ammontare delle somme ricavate dalle stesse, l’uso nelle
conversazioni del linguaggio convenzionale proprio dell’associazione e
significativi accenni a spedizioni punitive nei confronti di soggetti inadempienti,
alla mancata visita di un affiliato detenuto, alla confluenza dei proventi in una
cassa comune ed al rifiuto di intervenire in una vicenda definita nel non essere
«cosa nostra»

.

5. I motivi di ricorso proposti dal De Mari in ordine all’affermazione di
responsabilità per il reato di tentata estorsione di cui al capo 25 ed alla ritenuta
configurabilità per detto reato dell’aggravante di cui all’art.7 legge n.203 dei
1991 sono inammissibili.
La censura sulla mancanza di contenuto minaccioso della condotta è
generica rispetto ad una motivazione che evidenziava come l’espressione «tu
non vuoi stare tranquillo, adesso ti faccio vedere io», formulata dall’imputato nel
momento in cui il gestore del ristorante rifiutava un incontro già più volte
sollecitato di persona, assumeva un chiaro significato di minaccia.
Manifestamente infondata è poi la doglianza relativa alla ravvisabilità dell’ipotesi
della desistenza, correttamente esclusa dai giudici di merito per non essersi la
condotta consumata unicamente a seguito del rifiuto della parte offesa di aderire
alla richiesta estorsiva, che costituisce un fattore estraneo alla volontà del
soggetto agente e come tale ostativo alla configurabilità della fattispecie invocata
(Sez.4, n. 32145 del 24/06/2010, Sergi, Rv. 248183; Sez. 6, n. 203 del
20/12/2011 (10/01/2012), Del Giudice, Rv. 251571). Altrettanto
manifestamente infondato è il rilievo di omessa motivazione in ordine
16

omessa motivazione sulla riconducibilità dei reati specifici agli scopi

finalizzazione della condotta agli scopi associativi, viceversa motivata dai giudici
di merito con riferimento all’illogicità di una solitaria condotta estorsiva
dell’imputato. Mentre è generica o comunque manifestamente infondata la
censura di contraddittorietà della motivazione rispetto alla mancata spendita del
nome dell’associazione criminosa da parte dell’imputato, della quale la sentenza
impugnata sottolineava l’irrilevanza ai fini della configurabilità dell’aggravante
contestata.

responsabilità per il reato di tentata estorsione di cui al capo 18 è inammissibile.
Il ricorrente ripropone invero genericamente la tesi dell’insufficienza
probatoria di una conversazione intercettata, ampiamente trattato dalla Corte
territoriale nell’osservare come in detta conversazione il Castiglia riferisse
esplicitamente al coimputato Caput° di aver minacciato la persona offesa per
costringerla a consegnare un assegno, in termini incompatibili con un normale
rapporto di credito, peraltro dedotto solo in via ipotetica dalla difesa.
7. I motivi di ricorso proposti dal Brunetti e dal Donato in ordine
all’affermazione di responsabilità per i reati di usura di cui ai capi 15 e 16 sono
I nammissibili.
Manifestamente infondata è in primo luogo la censura sulla natura usuraria
degli interessi richiesti alla persona offesa. Quest’ultima riferiva infatti di aver
ricevuto dal Greco un prestito di C.1.000 ad un interesse di C.500, chiaramente
usurario, e dal Brunetti e dal Donato un ulteriore prestito di €.1.000 ad un
Interesse di C.100 che, in quanto preteso dopo appena un mese, aveva
anch’esso dimensione usuraria su base annua. Altrettanto manifestamente
infondata è la doglianza sulla ritenuta contraddittorietà della condanna per una
pluralità di episodi, viceversa chiaramente ricostruita in base al riferimento della
persona offesa a due distinti prestiti, per quanto detto ricevuti il primo dal Greco
ed il secondo dagli odierni ricorrenti. Manifestamente infondata è ancora la
censura di contraddittorietà rispetto all’esclusione dell’aggravante di cui all’art.7
legge n. 203 del 1991, limitata, come si è già detto ad altri fini, all’episodio di cui
al capo 16, e giustificata dal risultare tale operazione condotta autonomamente
dal Brunetti e dal Donato; motivazione, questa, che rende manifestamente
insussistente anche l’ulteriore profilo di contraddittorietà denunciato dal Donato
rispetto al dissenso espresso dal Greco sull’operazione. Generica, e propositiva
unicamente di una difforme valutazione di merito, è la censura del Donato sulla
ritenuta irrilevanza del rigetto della richiesta di applicazione di una misura
cautelare sul punto. Manifestamente infondata è infine la doglianza di omessa
17

6. Il motivo di ricorso proposto dal Castiglia in ordine all’affermazione di

motivazione sulla valenza probatoria della conversazione intercettata il
30/11/2007, viceversa individuata dai giudici di merito nella conferma di un
appuntamento fra l’imputato e la persona offesa, dato significativo in quanto
collegato con gli altri elementi rappresentati dalle dichiarazioni della stessa
persona offesa e dalla precedenti conversazioni intercettate fra il Greco ed il
Donato.
8. Il motivo di ricorso proposto dallo Sganga in ordine all’affermazione di
inammissibile.
Il ricorso contesta invero genericamente il significato probatorio di singoli
elementi, ossia il riferimento, in una conversazione intercettata presso il carcere
di Rossano fra Giuseppe Perna e i congiunti, alla consegna all’imputato di una
somma di C.2.400 per la vendita di un quantitativo di «fumo», il rinvenimento di
sostanza stupefacente e di un bilancino in prossimità dell’abitazione dell’imputato
ed intercettazioni rivelatrici di contatti dello Sganga per consegne di
stupefacente, viceversa valutati dai giudici di merito nella loro convergenza,
nell’ambito della quale il dato lo svolgimento della conversazione ambientale fra
persone diverse dall’imputato era superato dagli altri elementi, valutati, a
prescindere dalla loro specifica rilevanza penale, quali riscontri sul
coinvolgimento dell’imputato nel traffico illecito.
9. Il motivo di ricorso proposto dal Carelli in ordine all’affermazione di
responsabilità per il reato di detenzione di stupefacente di cui al capo 29 è
inammissibile.
Il ricorso è invero generico nel dubitare dell’identificazione dell’imputato
quale interlocutore di una conversazione intercettata con Raffaele Morabito, nel
momento in cui tale identificazione era dettagliatamente motivata dai giudici di
merito in base allo svolgersi il colloquio su un’autovettura in uso al Carelli ed al
riconoscimento della voce di quest’ultimo da parte di agenti operanti che ormai
da tempo eseguivano le intercettazioni. Manifestamente infondati sono poi i
rilievi di contraddittorietà della motivazione rispetto al contenuto della
conversazione, riportato nella sentenza come indicativo non solo dell’attuale
disponibilità in capo all’imputato di sostanza definita con i termini di «roba»,
«panetta» e «canne», ma anche di una precedente cessione di analoga sostanza
al Morabito, ad esclusione del dedotto uso personale della droga, e rispetto
altresì all’assoluzione del Morabito, giustificata con la posizione di mero
acquirente dello stesso.

18

responsabilità per il reato di cessione di stupefacenti di cui al capo 28 è

10. I ricorsi proposti dal De Mari e dal Castiglia in ordine all’affermazione di
responsabilità per il reato di cessione di stupefacenti di cui al capo 30 sono
inammissibili.
I motivi sul punto sono infatti generici nel lamentare l’inidoneità di una
singola conversazione intercettata fra il Castiglia ed il Fantasia a provare la
destinazione dello stupefacente detenuto ad uso diverso da quello personale, a
fronte di una motivazione fondata su più intercettazioni nelle quali si accennava
ad una cessione di stupefacente, per la quale il Fantasia reclamava il
prospettive di guadagno, nel contesto delle quali si inserivano i colloqui fra il
Castiglia ed il Fantasia.
11. I motivi di ricorso proposti dal Tripodi e dal Mazziotti in ordine
all’affermazione di responsabilità per i reati di frode assicurativa di cui ai capi 40
e 41 sono infondati.
Infondata è in primo luogo la doglianza relativa all’improcedibilità dei reati
per essere state le querele presentate dalle compagnie assicuratrici che avevano
immediatamente liquidato i danni e non da quelle che assistevano le parti le
quali si erano attribuite la responsabilità dei sinistri, nei cui confronti le prime
avevano successivamente esercitato il diritto di rivalsa. Correttamente si
osservava infatti nella sentenza impugnata che le compagnie querelanti, avendo
subito in via immediata la lesione dell’interesse tutelato dalla norma
incriminatrice, a seguito della liquidazione dei danni relativi ai falsi sinistri,
devono essere ritenute persone offese dal reato, a prescindere dall’esperimento
dell’azione di rivalsa ed agli esiti della stessa, solo eventualmente e comunque
successivamente riparatori del danno immediatamente e direttamente subito
dalla predette compagnie.
Sempre in tema di procedibilità del reato, sono infondati i motivi proposti dal
Mazziotti in ordine alla tempestività della querela per il reato di cui al capo 41.
Posto che il termine per la presentazione dell’atto decorre dal momento in cui la
persona offesa dispone, in base ad elementi seri, di una conoscenza certa del
fatto criminoso nella sua dimensione sia oggettiva che soggettiva (Sez. 5, n.
14660 dell’01/10/1999, Carniato, Rv. 215188; Sez. 5, n. 33466 del 09/07/2008,
Ladogana, Rv. 241395), correttamente i giudici di merito ritenevano che nella
specie siffatta conoscenza non poteva ritenersi acquisita, come sostenuto dal
ricorrente, al momento della liquidazione del danno, ma solo allorché la società
assicuratrice apprendeva il 27/02/2009 della notizia di reato, dalla quale sola
emergeva la falsità della denuncia del sinistro; la stessa infatti, come si vedrà in
seguito, veniva accertata esclusivamente a seguito delle indagini dell’autorità
19

corrispettivo attribuendone specificamente la vendita al Castiglia, ed a

giudiziaria ed all’esito di una prolungata attività di intercettazione telefonica, e
quindi in base ad elementi non precedentemente conoscibili da parte della
compagnia. Irrilevante è a questo punto che la querela sia stata presentata
successivamente alla conclusione delle indagini preliminari, non potendosi
peraltro ravvisare profili di irritualità nel rinvio a giudizio in pendenza del relativo
termine.
Quanto poi al motivo aggiunto proposto dal Mazziotti in ordine alla
legittimazione alla presentazione della querela in capo ad un soggetto munito di
questi ultimi, va osservato che il rilascio in via meramente preventiva di una
procura speciale per la presentazione della querela in nome del soggetto
delegante è senz’altro consentito (Sez. 5, n. 24687 del 17/03/2010, Rizzo, Rv.
248385; Sez. 5, n. 25138 del 23/03/2012, Broggi, Rv. 252990), purché la
procura contenga l’indicazione dei reati per i quali l’esercizio del diritto di querela
viene delegato, quanto meno nella forma della descrizione di una o più tipologie
criminose generali; e sulla mancanza di tale condizione nel caso concreto il
motivo è generico e pertanto inammissibile, non essendo allegato l’oggetto della
procura e non specificandosi le ragioni per le quali lo stesso non comprenderebbe
il reato per il quale si procede.
Per ciò che riguarda il reato di cui al capo 40, nella sentenza impugnata si
osservava come dalle conversazioni intercettate risultasse che lo Sposato
1’11/06/2007 riferiva all’imputato di aver subito un incidente stradale, e che nei
successivi contatti si stabiliva che l’imputato denunciasse il sinistro come
avvenuto il 23/06/2007. Coerentemente i giudici di merito ritenevano pertanto
che nella specie non potesse ravvisarsi, come sostenuto dal ricorrente, la
denuncia di un sinistro realmente avvenuto pur se con modalità diverse, bensì la
denuncia di un fatto diverso e non sovrapponibile rispetto a quello realmente
avvenuto; tanto implicando la sussistenza del dolo specifico di conseguire un
Indebito risarcimento.
In ordine infine al reato di cui al capo 41, la falsità della denuncia presentata
dallo Sposato per un sinistro asseritamente verificatosi 1’01/07/2007 fra il suo
motoveicolo e l’autovettura condotta dal Mazziotti veniva ricostruita nella
sentenza impugnata in base alle intercettazioni telefoniche, dalle quali risultava
che il giorno e all’ora dei fatti lo Sposato si trovava nella propria abitazione, e
che i successivi contatti fra i soggetti coinvolti evidenziavano l’accurata
predisposizione del contenuto della denuncia. Insussistente è pertanto il vizio di
contraddittorietà della motivazione lamentato dal Mazziotti rispetto alla perizia
effettuata in sede assicurativa, coerentemente ritenuta dai giudici di merito
irrilevante, a fronte degli elementi di cui sopra, in quanto semplicemente
20

procura speciale rilasciata precedentemente ai fatti contestati e non riferibile a

attestativa della corrispondenza fra i danni riportati dal veicoli e la dinamica del
sinistro come risultanti dalla denuncia; e nessuna illogicità è ravvisabile nella
valutazione a carico dell’imputato dei contatti successivi al giorno del sinistro
denunciato, in quanto interpretati alla luce del dato iniziale dell’impossibilità per
lo Sposato di essere presente sul luogo e nel momento dell’incidente.
12. Il ricorso proposto dal Porcaro in ordine all’affermazione di responsabilità
per il reato di porto e detenzione illegale di arma di cui al capo 33 è
Il ricorso è infatti generico non solo nel mero e non consentito richiamo ai
motivi di appello, ma anche nella censura di illogicità della valutazione a carico
dell’imputato del contenuto di una conversazione intercettata, dettagliatamente
motivata nella sentenza impugnata laddove si osservava che nel colloquio
l’Imputato commentava esplicitamente le caratteristiche dell’arma detenuta,
parlando del tamburo, del calibro e della possibilità di tenere l’oggetto in una
tasca.
13. Il motivo di ricorso proposto dallo Sposato in ordine alla ritenuta
sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 legge n. 203 del 1991 è inammissibile.
Il ricorso è generico nel denunciare la mancanza di motivazione sulla
finalizzazione del reato di cui all’art.642 cod. pen. all’agevolazione dell’attività
dell’associazione criminosa, viceversa specificamente argomentata nella
sentenza impugnata con il riferimento al confluire i proventi del reato nel fondo
comune della cosca.
14. I motivi di ricorso proposti dagli imputati Sganga, Brunetti, Carelli,
Sposato e Fantasia in ordine al diniego delle attenuanti generiche ed alla
determinazione della pena sono inammissibili.
Il ricorso dello Sganga è generico nel censurare la mancanza di una
motivazione viceversa ampiamente fornita nel riferimento ai precedenti penali
anche recenti dell’imputato quali ostativi al riconoscimento delle attenuanti
generiche ed altresì giustificativi della pena inflitta unitamente alla gravità ed alla
connotazione associativa dei fatti, al ruolo non secondario dell’imputato ed alla
sottoposizione dello stesso a misure di prevenzione, nonché nel denunciare una
carenza motivazionale su una posizione apicale dell’imputato nell’associazione
che non è oggetto di imputazione.
Il ricorso del Brunetti è manifestamente infondato nella censura del richiamo
ai soli precedenti penali ai fini del diniego delle attenuanti generiche, che
viceversa non richiede necessariamente l’esame della totalità dei parametri di cui
21

inammissibile.

all’art.133 cod. pen. (Sez. 1, n. 33506 del 07.07.2010, Biancofiore, Rv.247959),
essendo sufficiente l’indicazione di un elemento ritenuto quale, per l’appunto,
quello proveniente da precedenti condanne (Sez. 1, n. 707 del 13/11/1997,
Ingardia, Rv. 209443); ed è generico nella dedotta contraddittorietà con
l’esclusione dell’aggravante di cui all’art.7 legge n. 203 del 1991, limitata al
reato di cui al capo 16 ed in questi termini in effetti valutata ai fini della
rideterminazione della pena.
I ricorsi del Carelli e dello Sposato sono generici, risolvendosi in mere
rilievo dei precedenti penali per il Carelli e sulla pluralità delle condotte
contestate per Io Sposato.
Generico è infine il ricorso del Fantasia, propositivo anch’esso di una mera
valutazione alternativa sulla gravità dei fatti e sul rilievo dei precedenti penali,
che ai tini del diniego delle attenuanti generiche e dell’applicazione dell’aumento
della recidiva venivano specificamente valutati nella sentenza impugnata nella
loro collocazione anche in epoca recente, e pertanto nella loro indicatività
rispetto alla capacità a delinquere ed alla pericolosità sociale dell’imputato.
15. Sono infine inammissibili le richieste del Lucchetta e del Castiglia di
riconoscimento delle attenuanti generiche e, per il solo Lucchetta, della
continuazione, in quanto proposte direttamente e per la prima volta in questa
sede.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi del De Mari, del Lucchetta,
dello Sganga, del Brunetti, del Castiglia, del Donato, del Fantasia, del Porcaro e
dello Sposato segue la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, valutata
l’entità della vicenda processuale, appare equo determinare in C.1.000, e,
limitatamente allo Sposato, delle spese sostenute nel grado dalla parte civile
Groupama s.p.a., che avuto riguardo alla dimensione dell’impegno processuale si
liquidano in C.2.700 oltre accessori di legge.
I ricorsi del Carelli, del Mazziotti e del Tripodi devono essere rigettati,
seguendone la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

P. Q. M.
Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
proposta da Carelli Massimo.
22

(1)

valutazioni alternative a quelle dei giudici di merito sulla gravità dei fatti, sul

Dichiara inammissibili i ricorsi di De Mari, Lucchetta, Sganga, Brunetti, Castiglia,
Donato, Fantasia, Porcaro e Sposato e condanna ciascuno dei predetti ricorrenti
al pagamento delle spese processuali e della somma di €.1.000 in favore della
Cassa delle Ammende.
Rigetta i ricorsi di Carelli, Mazziotti e Tripodi e condanna ciascuno dei predetti
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna altresì Sposato Fausto alla rifusione delle spese sostenute dalla parte
civile Groupama s.p.a. per questo giudizio di cassazione, e le liquida in
complessivi €.2.700 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 05/12/2012
Il Consigliere , e ensore

Il Presidente

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