Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6214 del 23/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6214 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CAPPELLI ROMANO N. IL 30/08/1959
avverso la sentenza n. 1145/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
29/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 23/10/2013

Osserva
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Cappelli Romano avverso la
sentenza emessa in data 29.5.2012 dalla Corte di Appello di Genova che
confermava quella in data 20.10.2011 del Tribunale di Imperia, con la quale il
predetto era stato dichiarato colpevole del delitto di cui all’art. 186 comma 2° lett.
c) e comma 2° bis C.d.S. e condannato alla pena di mesi sei di arresto ed C
3.000,00 di ammenda, oltre alla sospensione della patente di guida per un anno e
alla confisca del veicolo.

nonché (2) il vizio motivazionale, in una alla violazione di legge, in relazione alla
sussistenza dell’aggravante di cui al comma 2 bis dell’art. 186 C.d.S., (3) al
diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche e (4) alla mancata
applicazione di una pena più lieve, come richiesto con i motivi di appello.
Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate e
basate su motivi concernenti violazioni di legge deducibili e non dedotte in
precedenza ed aspecifiche.
I motivi sopra richiamati sub 2), 3) e 4) sono palesemente aspecifici dal momento che
hanno riproposto in questa sede le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla
Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione compiuta e congrua,
immune da vizi ed assolutamente plausibile.
Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di
specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità,
come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591
comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv.
216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
La censura sub 1), concernente la non contestualità dell’accertamento clinico in
ordine al tasso alcolemico, oltre ad essere manifestamente infondata in quanto
non risulta addotta alcuna circostanza intervenuta tra il momento in cui l’imputato
fu colto alla guida e quello in cui fu effettuato, non è stata oggetto di analoga
doglianza in sede di appello.

Del resto, quanto ai motivi sub 3) e 4), si rammenta che la concessione o meno delle
attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice,
sottratto al controllo di legittimità, tanto che “ai fini della concessione o del diniego
delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame,

2

Deduce la violazione di legge in ordine: (1) all’integrazione del reato contestato

tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed
atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo
elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle
modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso” (Cass. pen. Sez.
II, n. 3609 del 18.1.2011, Rv. 249163).
Inoltre, la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo
edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale
assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli

discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per
addivenirvi in concreto (Cass. pen. Sez. II, n. 12749 del 19.3.2008, Rv. 239754).
Nella specie, risulta evidente che il potere discrezionale in punto di trattamento
dosimetrico e al diniego delle impetrate attenuanti è stato dal giudice di merito
correttamente esercitato, con riferimento ai precedenti penali dell’imputato e alla
gravità del fatto, così dimostrando di aver tenuto conto degli elementi indicati
nell’art. 133 c.p..
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, che si ritiene equo liquidare in C 1.000,00, in favore della cassa delle
ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della
causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 23.10.2013

elementi indicati nell’art. 133 c.p.: tale valutazione, infatti, rientra nella sua

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