Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6209 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6209 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Martino Giuseppe, nato a Gioiosa Jonica (RC), il 5/04/1951

avverso la sentenza del 24/06/2014 della Corte di Appello di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Francesco Salzano ,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza emessa
in data 24/07/2007 dal Tribunale di Locri nei confronti di Martino Giuseppe, condannato a pena di
1

Data Udienza: 24/11/2015

giustizia per il delitto di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1 e 2, 219 r.d. 267/1942 — perché, quale
titolare della ditta individuale Auto Martino, prima della data del fallimento dichiarato dal Tribunale
di Locri il 24/01/1997, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di procurare a sé e ad altri un
ingiusto vantaggio, distraeva, occultava o dissipava beni patrimoniali della fallita ovvero il loro
corrispettivo in denaro, e teneva la contabilità aziendale in modo da non consentire la ricostruzione
del patrimonio; con l’aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta.

1. Violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606 lett. b) ed e), c.p.p., osservando che la
sentenza della Corte territoriale conterrebbe delle affermazioni contraddittorie nella parte in
cui ila un latosi afferma che il ricorrente aveva adottato il regime di contabilità ordinaria e )
dall’altro si sostiene che egli avrebbe omesso di consegnare le scritture contabili al curatore
fallimentare; ci si duole altresì del fatto che non sia stata ravvisata la fattispecie di cui all’art.
217 legge fallimentare, atteso che il ricorrente si era affidato ad un commercialista per la
tenuta della contabilità; quanto all’elemento soggettivo, si osserva che lo stesso
mancherebbe, in quanto il ricorrente aveva solo inteso aiutare il proprio figlio nell’avviare
un’attività commerciale e, in tal senso, si cita la sentenza di questa sezione, n. 47502 del
24/09/2014, in ordine alla configurabilità del dolo.
2. Violazione di legge ex art. 606 lett. b), c.p.p., osservando come nel caso di specie sarebbe
insussistente la contestata aggravante di cui all’art. 219 legge fallimentare, atteso che l’unico
fatto contestato al ricorrente consisterebbe nell’aver inteso aiutare il proprio figlio ad avviare
un’attività economica; ciò dovrebbe, quindi, far ritenere estinto il reato per prescrizione; ci
si duole, altresì, della omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, atteso che
il ricorrente, attraverso il ricorso al credito bancario, aveva semplicemente tentato di
risolvere le difficoltà economiche della sua azienda.

Con motivi nuovi inviati a mezzo posta in data 6/11/2015 e pervenuti presso la Cancelleria di questa
Corte in data 11/11/2015, vengono poi ribadite le argomentazioni contenute nei motivi principali
del ricorso per cassazione, sia in relazione alla insussistenza dell’elemento soggettivo che in
relazione all’insussistenza della contestata aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, r.d.
267/1942 ed alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, anche ai fini della intervenuta
prescrizione dei reati comunque verificatasi alla luce della disciplina di cui all’art. 157 c.p.p. come
modificato a seguito dell’entrata in vigore della legge 251/2005.

2

Con ricorso depositato il 29/10/2014 il difensore del ricorrente, Avv.to Cosimo Albanese, deduce:

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso appare meritevole di accoglimento sotto il profilo della dedotta prescrizione dei reati,
contenuta nei motivi nuovi inviati in data 6/11/2015 e pervenuti presso la Cancelleria di questa
Corte in data 11/11/2015.
Nei motivi di ricorso, come detto, era stata dedotta violazione di legge in relazione alla circostanza

osservandosi che l’unica condotta ascrivibile al ricorrente avrebbe potuto essere individuata nella
creazione di una nuova società intestata al figlio Martino Antonio, relativamente al quale la Corte
territoriale aveva qualificato la fattispecie a quest’ultimo ascritta come bancarotta semplice,
dichiarandola prescritta. Si deve, quindi, ritenere che, quanto meno sotto l’aspetto della
qualificazione della condotta come bancarotta semplice piuttosto che fraudolenta, fosse stato
introdotto il profilo relativo alla valutazione della prescrizione.
Costituisce, infatti, ius receptum l’affermazione secondo cui i motivi nuovi vanno individuati con
riferimento alle argomentazioni su singoli capi o punti della sentenza già enunciati nell’atto
originario di gravame, nel senso che essi incontrano il limite del necessario sviluppo riferibile ai
motivi principali, dei quali devono rappresentare una migliore e più approfondita esposizione, anche
in base ad argomentazioni inizialmente non evidenziate, purché ricollegabili ai capi ed ai punti già
dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali, a fondamento del
petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non

anche motivi con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto petitum, introducendo censure
non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione (Sezione, sentenza n. 40932
del 26/05/2011, Rv. 251482; Sezione II, sentenza n. 1417 dell’11/10/2012, Rv. 254301).
Nel caso di specie, quindi, benché non espressamente enunciata con i motivi principali, va ritenuto
che la questione concernente la prescrizione dei reati era stata introdotta sotto il profilo di
conseguenza derivante dalla qualificazione della condotta come bancarotta semplice piuttosto che
come bancarotta fraudolenta; per cui l’espressa individuazione di argomentazioni esplicitamente
mirate alla valutazione della intervenuta prescrizione dei reati ascritti al ricorrente in base alla
applicazione dei termini di cui all’art. 157 e segg. c.p.p., come modificati dalla legge 251/2007,
deve ritenersi logico sviluppo delle argomentazioni già poste a fondamento dei motivi principali.
Detta questione va quindi esaminata preliminarmente rispetto agli altri motivi di ricorso.

3

della insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1 r.d. 267/1942,

Va pertanto osservato che la sentenza di primo grado era stata emessa in data 24/07/2007, con la
conseguenza che, ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3, legge 251/2005, come modificato a seguito
dell’intervento della pronuncia della Corte Costituzionale n. 393 del 23/11/2006, i termini di
prescrizione delle nuove disposizioni della citata normativa risultano più favorevoli, in quanto più
brevi rispetto alla precedente normativa. Trattandosi, infatti, di ipotesi di bancarotta, i termini di
prescrizione secondo l’attuale formulazione normativa di cui alla legge 251/2005 risultano pari ad
anni dieci ed ad anni dodici e mesi sei, in relazione, rispettivamente, al termine breve ed al termine

rispettivamente, ad anni quindici ed ad anni ventidue e mesi sei.
Nel caso di specie, in cui la sentenza di fallimento è intervenuta in data 24/01/1997, il termine
massimo, pari ad anni dodici e mesi sei, è decorso alla data del 24/07/2009, cui si debbono
aggiungere mesi due e giorni due, relativi ai periodi di sospensione complessivamente verificatisi
nel corso del giudizio di primo grado, ed ulteriori mesi nove e giorni cinque, relativi ai periodi di
sospensione complessivamente verificatisi nel corso del giudizio di secondo grado, pervenendosi,
quindi, alla data dell’1/07/2010, da individuarsi quale data di intervenuta prescrizione dei reati
contestati al ricorrente. L’aggravante in contestazione, di cui all’art. 219, comma 2 n. 1, r.d.
267/1942, in quanto aggravante che non comporta un aumento di pena superiore ad un terzo di
quella inflitta, non incide sul calcolo dei termini di prescrizione.
La prescrizione, quindi, risulta maturata prima della sentenza di appello e, essendo stata dedotta con
i motivi nuovi, preclude l’esame delle ulteriori doglianze poste a fondamento del ricorso.
Tanto premesso, deve quindi concludersi che, ai sensi dell’art. 620, lett. a), c.p.p., la sentenza
impugnata debba essere annullata senza rinvio.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.

Così deciso in Roma, il 24/11/2015

Il Consigliere estensore

lungo, laddove, secondo la previgente normativa, i termini di prescrizione risultano pari,

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