Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6200 del 23/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6200 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da :
DIOUF ILDJ, nato in Senegal, il 18.09.1984 ;
avverso la sentenza del 10.4.2014 della Corte di Appello di
Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Aurelio Galasso che ha concluso per il rigetto;
RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino ha
condannato il predetto imputato per il reato di cui all’art. 495
cp, accogliendo in tal modo l’appello proposto dal PM avverso la
sentenza assolutoria resa, ai sensi degli artt. 442, 530, secondo
comma, cpp, dal Gup presso il Tribunale di Torino in data
2.11.2009.
1.1 Avverso la sentenza ricorre l’imputato per mezzo del suo
difensore, affidando la sua impugnativa ad solo motivo di
doglianza.
1.2 Deduce la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 606. lettere c
ed e, l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli
1

Data Udienza: 23/11/2015

artt. 192 e 533 cpp, nonché il vizio motivazionale in ordine
all’obbligo di motivazione rafforzata da parte del giudice di
appello in seguito alla sentenza assolutoria resa dal primo
giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Sul punto, è necessario ricordare che, secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte, la motivazione della sentenza
d’appello che riformi la sentenza di primo grado, specialmente nel
caso in cui affermi per la prima volta una responsabilità negata
dal Giudice precedente, si caratterizza per un obbligo peculiare,
che si aggiunge a quello generale della non manifesta illogicità e
non contraddittorietà, evincibile dall’art. 606 cod. proc. pen.,
comma l, lett. e) (si è in proposito parlato invero anche di
“obbligo rafforzato”: Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008, Aleksi, Rv.
241169).
2.1.1 Nel caso di riforma radicale della precedente decisione,
infatti, il Giudice d’appello deve anche confrontarsi in modo
specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima
sentenza ( Cass., Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv.
231679): non è pertanto sufficiente che la motivazione d’appello
sia intrinsecamente esistente, non manifestamente illogica e non
contraddittoria, supportando in tale usualmente sufficiente modo
un apprezzamento di merito proprio del grado. Ed invero, tale
principio rileva in special modo nel caso di decisione di prima
condanna in grado di appello ( per il caso di assoluzione in
appello, cfr. Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013 – dep. 14/01/2014,
Ricotta, Rv. 258005; più in generale, Sez. U, n. 6682 del
04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229 ).
2.1.2
In
questa
evenienza,
in
realtà,
la
ragione
dell’inadeguatezza strutturale di una decisione d’appello che, pur
in astratto correttamente motivata se in sè considerata, non
dimostri di essersi anche confrontata con le evidentemente diverse
ragioni della sentenza riformata, risulta dalla documentata non
applicazione della regola di giudizio secondo la quale
l’affermazione di responsabilità è possibile solo quando la
colpevolezza risulta “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art.
533, comma 1, cod. proc. pen.). Ed invero, come ripetutamente
affermato da questa Corte (cfr. ad es. Sez. 6, n. 40159 del
03/11/2011, Galante, Rv. 251066; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012dep. 14/03/2013, Berlingieri, Rv. 254725), è viziata la
motivazione di una sentenza di appello che, a fronte del medesimo
compendio probatorio, si limiti a dare una lettura alternativa, ma
non risulti sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare
oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, che
deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più
sostenibile, neppure nel senso di lasciare in piedi residui
ragionevoli dubbi sull’affermazione di colpevolezza, violando in
2

2. Il ricorso è infondato.

2.1.3 Pertanto, deve affermarsi, in conclusione che la sentenza di
appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado
deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di
motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della
decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità
sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della
sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi
eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve
quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi
pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle
scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad
elementi di prova diversi o diversamente valutati (così, anche
Cass. Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005 – dep. 16/02/2006, Aglieri ed
altri, Rv. 233083 ).
3. Ciò posto, ritiene la Corte che il giudice di appello abbia
assolto nel caso di specie a questo obbligo motivatorio cd.
rafforzato.
3.1 Sul punto, deve premettersi che integra il reato di falsa
attestazione o dichiarazione a un P.U. sulla identità o su qualità
personali proprie o di altri (art. 495 cod. pen.) la condotta di
colui che rende molteplici dichiarazioni, tutte fra loro diverse,
in ordine alle proprie generalità, non rilevando, a tal fine, il
fatto che non sia stato possibile accertare le vere generalità del
dichiarante e che questi, in una sola delle molteplici occasioni,
possa, eventualmente, avere detto il vero ( Cass. 7712/2014 ).
3.2 Non può essere posto indubbio che l’accertamento della falsità
delle generalità rese possa essere condotto anche in forza di
considerazioni di carattere logico, come correttamente rilevato
dalla Corte distrettuale.
Ed invero,
il giudice di appello,
pur facendo proprio
l’orientamento giurisprudenziale più ristrettivo Cass.
41774/2014 ) – secondo cui la circostanza secondo cui l’aver
l’imputato reso in precedenza false generalità non costituisce
argomento di per sé sufficiente a far ritenere integrato il reato
di cui qui in parola, dovendosi integrare il predetto indizio con
altri elementi di valutazione relativi alle modalità anche
soggettive delle condotte ascrivibili all’imputato – ha
esaurientemente ( e logicamente ) motivato, precisando, da un
lato, che era stato lo stesso imputato ad ammettere che nelle
precedenti occasioni in cui era stato sottoposto a controlli di
polizia negli anni 2006 e 2007 aveva indicato false generalità ;
dall’altro, che l’elemento soggettivo del reato contestato era
dimostrato dalla perdurante mancanza di documenti di
riconoscimento e dal sopravvenire di un’ulteriore sentenza di
condanna, circostanze quest’ultime che confermavano l’interesse
3

tal modo quella regola di giudizio. Detto altrimenti, è necessaria
una forza persuasiva superiore della seconda motivazione (Cass.
Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 256869).

Deve ritenersi pertanto che il giudice di appello ha reso una
motivazione “rafforzata” per fondare il giudizio di penale
responsabilità dell’imputato, non essendosi limitata a fornire una
ricostruzione alternativa a quella fornita dal primo giudice, ma
anzi si è confrontata in modo specifico e completo con le
argomentazioni contenute nella prima sentenza, superandole in modo
convincente e puntuale.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23.11.2015

dell’imputato a mantenere la più assoluta incertezza in ordine
alla sua identità ; che, peraltro, nella scheda identificativa
redatta in occasione del suo arresto del 2.8.2009 l’imputato aveva
indicato il suo cognome come “Diouf” e il suo nome come “Ildj”,
mentre nella udienza di convalida dell’arresto aveva dichiarato
che il suo nome di battesimo era “Elhadji” ; che, contrariamente a
quanto affermato dal primo giudice, l’indicazione del nome ed il
cognome era da ascriversi alla medesima mano e che la
giustificazione fornita dal primo giudice in ordine ad un
possibile errore di comprensione da parte della polizia
giudiziaria era una mera illazione sfornita di qualsiasi prova.

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