Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6197 del 23/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6197 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TOTARO GIANFRANCO N. IL 06/01/1972
avverso la sentenza n. 419/2011 CORTE APPELLO di
CAMPOBASSO, del 18/09/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
Udito il Procurato Generale in persona del Dott.
che ha conclus per

Udito, per la arte civile, l’Avv
Uditi di.fnsor Avv.

Data Udienza: 23/11/2015

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. A. Galasso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 18/09/2014, la Corte di appello di Campobasso
ha confermato la sentenza del 25/03/2011 con la quale il Tribunale di
Campobasso aveva dichiarato Totaro Gianfranco colpevole del reato di furto di

assolvendo l’imputato da altre imputazioni per le quali era intervenuta condanna
in primo grado, e, con l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche
prevalenti sulla contestata aggravante, ha rideterminato la pena irrogatagli.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Campobasso ha
proposto personalmente ricorso per cassazione Totaro Gianfranco, articolando
quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp.
att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia inosservanza degli artt. 190, 195 e 507 cod. proc.
pen. Il Tribunale di Campobasso ha disposto, senza fornire alcuna motivazione
sul punto, l’esame di Antonio Lancia, senza che si versasse in tema di
testimonianza de relato o nell’ipotesi di cui all’art. 507 cod. proc. pen., essendo
stata assunta la prova prima della acquisizione di tutte le altre: erroneamente la
Corte di appello non ha ritenuto inammissibile detta testimonianza.
Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione: solo dopo l’alterco verbale e
dopo aver chiamato “ladro” l’imputato, la persona offesa dava ad intendere di
essersi accorto della presenza di un cavo elettrico e di una tubazione posti nel
cantiere adiacente al suo, ma alimentati da contatori a sua utenza. Con riguardo
al reato di furto, la Corte di appello ha omesso di valutare che: nel periodo
agosto/settembre 2008 i lavori presso l’altro cantiere erano fermi; gli operai
presenti in loco eseguivano solo lavori per conto delle persone offese; all’arrivo
dei Carabinieri, nessuno era presente nel cantiere adiacente; a valle del pozzetto
di proprietà pubblica vi era da tempo un ristagno d’acqua, effetto di una perdita
da una conduttura privata; per l’esecuzione dei lavori presso altri cantieri, la
società dell’imputato utilizzava tre/quattro contatori posti a distanza; non vi è
stato furto di energia elettrica in quanto nel cantiere adiacente era stato messo
in funzione solo uno strumento per il taglio dei mattoni. Con riferimento al reato
di minaccia, la frase riferita da De Santis è priva di valenza antigiuridica, mentre
quelle ripetuta al fratello sono state riportate, la prima, da altra persona e

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acqua e di energia elettrica e del reato di minaccia in danno di De Santis Michael,

consisteva in un semplice avvertimento e, la seconda, da un ingegnere comunale
mai identificato e sentito, sicché il fatto è privo di supporti probatori.
Il terzo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 612
cod. pen.: non è stato paventato a De Santis un male ingiusto, ma solo che i
lavori non sarebbe stato possibile proseguire i lavori per effetto della (futura ed
eventuale) pendenza di giudizi di varia natura, tanto più che i “guai” sarebbero
stati subìti da un terzo, ossia dall’impresa subentrante, laddove il male
prospettato non sarebbe dipeso dalla volontà dell’agente.

49 e 62, primo comma, n. 4, cod. pen.: l’appropriazione di poche decine di kw/h
e di una non meglio precisata quantità di acqua avrebbero cagionato un danno
economico pressoché irrilevante e quindi sostanzialmente inoffensive; per le
stesse ragioni, si sarebbe potuto applicare la circostanza attenuante di cui all’art.
62, primo comma, n. 4, cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato al lume del principio di
diritto, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in forza del
quale il ricorso all’integrazione probatoria d’ufficio, ex art. 507 cod. proc. pen.,
effettuato prima che sia terminata l’acquisizione delle prove costituisce una mera
irregolarità procedimentale che, in mancanza di una specifica previsione, non
determina alcuna sanzione di nullità o inutilizzabilità ( Sez. 5, n. 26163 del
11/05/2010 – dep. 08/07/2010, Bontempo, Rv. 247896; conf., ex plurimís, Sez.
6, n. 2424 del 06/11/2009 – dep. 20/01/2010, S., Rv. 245808; Sez. 3, n. 45931
del 09/10/2014 – dep. 06/11/2014, Cifaldi, Rv. 260871).

3. Il secondo motivo è, nel suo complesso, infondato.
3.1. Quanto al reato di furto, la sentenza impugnata ha richiamato, in primo
luogo, la testimonianza della persona offesa, laddove ha dichiarato di aver visto
un filo elettrico che portava la corrente ad un cantiere vicino, tanto che,
staccando la corrente, gli attrezzi elettrici in funzione in quel cantiere si
bloccavano; la stessa cosa accadeva per il contatore dell’acqua, dal quale partiva
un tubo di gomma, che portava acqua allo stesso cantiere: ciò confermava i
sospetti della parte civile, che, nei mesi precedenti, aveva ricevuto bollette
particolarmente costose e aveva accertato che i consumi riportati nelle stesse si
verificavano durante i giorni lavorativi anche se sulla sua proprietà i lavori erano

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Il quarto motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt.

fermi, mentre il contatore non registrava consumi nei fine settimana, quando i
lavori erano fermi anche negli altri cantieri, il che aveva indotto la persona offesa
a chiedere spiegazioni non solo a Totaro (il quale aveva sempre negato i
prelievi), ma anche al Comune. Il giudice di appello sottolinea poi la rilevante
valenza dimostrativa di quanto riferito dal teste Franciosa (il carabiniere che ha
constatato in loco la derivazione che abusivamente portava l’acqua all’altro
cantiere e che, chiusa la chiave di arresto, l’acqua non affluiva più nel cantiere di
De Santis, né in quello attiguo di Totaro) e dal teste Zampini (dal cui racconto si

raggiungeva l’altro cantiere e, staccatolo, l’attrezzo ivi utilizzato si arrestò).
A fronte dell’articolato percorso argomentativo del giudice di appello, le
doglianze del ricorrente (circa, in particolare, l’utilizzo da parte della sua impresa
di altri contatori, la perdita da una conduttura privata che aveva determinato il
ristagno di acqua, l’assenza di persone sul cantiere adiacente al momento
dell’arrivo dei carabinieri e la circostanza che gli operai presenti lavoravano solo
sul cantiere della persona offesa) fanno leva sul riferimento ad alcune
testimonianze, dedotte, tuttavia, in termini del tutto generici: infatti, lungi
dall’offrire un quadro esaustivo delle testimonianze prese in considerazione e
svolgere, in riferimento a tale analitico e completo quadro di riferimento, le
critiche alla decisione impugnata, il ricorso si limita a segnalare, in modo del
tutto frammentario, alcuni profili di esse, così rimettendo, in buona sostanza, al
giudice di legittimità una inammissibile rivalutazione generale e complessiva del
materiale probatorio esaminato dai giudici di merito: il ricorso si è quindi
sottratto all’onere di completa e specifica individuazione degli atti processuali che
intende far valere, non essendo sufficiente, per l’apprezzamento del vizio
dedotto, «la citazione di alcuni brani» dei medesimi atti (Sez. 6, n. 9923 del
05/12/2011 – dep. 14/03/2012, S., Rv. 252349). Nel caso di specie, dunque,
deve ribadirsi che è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al
giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una
rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo
sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica
della interpretazione che ne è stata fornita (Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012 dep. 16/11/2012, P.M. in proc. Aprovitola, Rv. 253774).
Sotto un diverso profilo, le deduzioni del ricorrente circa la sosta per un
certo periodo dei lavori presso il cantiere adiacente deduce questioni di merito:
la Corte distrettuale ha valorizzato quanto riferito dalla persona offesa in ordine
ai consumi di energia elettrica e di acqua in precedenza riscontrati, il che lo
aveva indotto a chiedere spiegazioni tanto all’imputato, quanto al Comune, così
evidenziando una situazione di incertezza in ordine alla causa delle bollette

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desume che uno dei tre fili allacciati al contatore della persona offesa

anche di «rilevante importo» addebitategli (circostanza, quest’ultima, che rende
ragioni del giudizio della sentenza impugnata in ordine alla tempestività della
querela). A fronte della motivazione della sentenza impugnata, le deduzioni del
ricorrente sollecitano una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di
legittimità della valutazione del materiale probatorio che la Corte di appello ha
operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati
ed immune da vizi logici.
3.2. Le ulteriori doglianze articolate nel corpo del secondo motivo in

esaminate congiuntamente, non sono fondate. La Corte di merito ha delineato il
nucleo essenziale del fatto ascritto all’imputato, sottolineando come il senso dello
stesso debba essere individuato nella potenzialità costrittiva del male prospettato
(il De Santis avrebbe passato dei guai), tale da far paventare alla persona offesa
gli innumerevoli intralci e pastoie burocratiche che Totaro gli avrebbe potuto
provocare, anche attraverso un utilizzo strumentale delle azioni, giudiziali e non,
a sua disposizione. In linea con il principio di diritto in forza del quale, ai fini della
configurabilità del reato di minaccia, si richiede la prospettazione di un male
futuro ed ingiusto – la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente – che
può derivare anche dall’esercizio di una facoltà legittima la quale, tuttavia, sia
utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è tipicamente preordinata dalla legge
(Sez. 5, n. 8251 del 26/01/2006 – dep. 08/03/2006, P.G. in proc. Bochicchio, Rv.
233226; conf.: Sez. 5, n. 4633 del 18/12/2003 – dep. 06/02/2004, Puntorieri,
Rv. 228064), la motivazione della sentenza impugnata non è inficiata dalle
censure del ricorrente. Il riferimento alle “ispezioni” asseritamente privo di
valenza antigiuridica e al carattere di mero “avvertimento” dedotto con il
secondo motivo non incide sul nucleo essenziale della condotta minacciosa così
come delineato dalla Corte di merito, laddove il rilievo della mancanza di prove
relativo all’episodio dell’ingegnere comunale risulta generico e svincolato dalla
puntuale denuncia di travisamenti probatori in cui sarebbero incorsi i giudici di
merito. Il rilievo, dedotto con il terzo motivo, secondo cui a De Santis era stato
prospettato solo che i lavori non sarebbero proseguiti per effetto della pendenza
di giudizi e che il male prospettato non sarebbe stato ricollegabile alla volontà
dell’imputato e non sarebbe ricaduto sulla persona offesa ma sulla ditta che
avrebbe proseguito i lavori non sono idonei a compromettere la tenuta logicoargomentativa della sentenza impugnata, che, come si è detto, da un lato, ha
rimarcato il carattere strumentale dell’utilizzo delle azioni (giudiziali e non) da
parte dell’imputato come profilo essenziale della condotta minacciosa in
questione e, dall’altro, ha posto in luce le conseguenze sulla persona offesa degli
intralci che Totaro avrebbe potuto determinare.

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relazione al reato di minaccia e quelle di cui al terzo motivo, che possono essere

4. Il quarto motivo non merita accoglimento. La Corte di merito ha messo in
luce – con argomentazione coerente ai dati probatori richiamati e immune da vizi
logici – il rilevante importo (nell’ordine di 600 euro, specifica la sentenza
impugnata) di alcune delle bollette addebitate a De Santis, importo che lo aveva
indotto a chiedere chiarimenti al Comune, oltre che all’imputato: argomentazioni,
queste, che risultano idonee ad escludere la fondatezza delle censure del
ricorrente in ordine all’irrilevanza del fatto e all’applicabilità della circostanza

5. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 23/11/2015.

attenuante del danno di patrimoniale di speciale tenuità.

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