Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6196 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6196 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da
PIZZO Grazia, nato a Palermo il 18/07/1979 e da
PIZZO Antonino, nato a Palermo il 30/07/1951
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo del 09/11/2011
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Eduardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Grazia Pizzo ed Antonino Pizzo erano chiamati a rispondere, innanzi al
Tribunale di Palermo, dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen. , 216 comma 1, n.1,
I.f. perché, in concorso tra loro -Grazia Pizzo nella qualità di titolare dell’omonima
ditta individuale…, esercente attività di commercio all’ingrosso di articoli d’igiene,
pulizia e alimentari, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Palermo in data
15/02/2002 e Pizzo Antonino, nella qualità di amministratore di fatto di detta ditta,
distraevano in pregiudizio dei creditori, beni vari oggetto dell’attività di commercio e
attrezzature ovvero il loro controvalore ” un passivo di C 117.032,43, in particolare
vendendo la merce rimanente a soggetti non individuati e non risultando dall’esame
della contabilità alcuna corrispondente movimentazione di denaro in entrata (sub
A);

Data Udienza: 04/12/2012

ed agli artt. 110 cod. pen. e 216 comma 1, n. 2, I.f., perché in concorso tra loro,

nella qualità di cui al capo precedente, tenevano i libri e le scritture contabili,
inerenti all’attività imprenditoriale svolta, in modo tale da non rendere possibile la
ricostruzione integrale del patrimonio e movimento degli affari, al fine di procurare
per sé o da altri un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori (sub B).
2. Con sentenza del 28/02/2008, il Tribunale di Palermo dichiarava entrambi gli

sensi dell’art. 219 comma 2, I.f., e – concesse a Grazia Pizzo le attenuanti generiche
prevalenti rispetto alla ritenuta aggravante – condannava la stessa imputata alla
pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione ed Antonino Pizzo a
quella di anni quattro e mesi sei di reclusione, oltre consequenziali statuizioni.

3. Pronunziando sui gravami proposti dagli imputati, la Corte d’appello di
Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione impugnata
con ulteriori statuizioni di legge.

4.

Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore degli imputati, avv. Vincenzo

Giambruno, ha proposto distinti ricorsi per cessazione, ciascuno affidato alle regioni
di censura indicate in parte motiva.

CONIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso in favore di Grazia Pizzo deduce inosservanza
delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o
decadenza e conseguente violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., con
riferimento all’art. 603 cod. proc. pen.
Lamenta, in particolare, che sia stata disattesa la richiesta di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale sull’erroneo rilievo che l’atto istruttorio richiesto
(perizia tecnica) fosse inteso solo all’individuazione di elementi d’interpretazione
della normativa da applicare al caso concreto, con riguardo all’asserita qualità di
piccoli imprenditori degli imputati, come tali sottratti alla procedura fallimentare
secondo la novellata legge fallimentare. Invece, il richiesto accertamento tecnico
era finalizzato all’individuazione delle cause del dissesto e delle vicende dei beni
della società fallita per ricostruirne la contabilità. In particolare, si intendeva
dimostrare che il controvalore dei beni venduti non fosse andato disperso, ma fosse
stato, invece, recuperato sotto forma di credito il cui ammontare sarebbe stato, poi,
regolarmente indicato nelle scritture contabili, donde l’insussistenza del reato in
questione.

imputati colpevoli dell’unico reato di bancarotta fraudolenta in forma aggravata, ai

Il secondo motivo deduce violazione dell’articolo 606 cod. proc. peri. lett. b)
ed e) per erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 110 cod.
pen. e 216 I.f. e travisamento del fatto. Contesta, in proposito, i presupposti della
stessa contestazione secondo cui la merce rimanente sarebbe stata venduta a
soggetti non individuati e non risultando dall’esame della contabilità alcuna
corrispondente movimentazione di denaro in entrata. Infatti, non si era tenuto
conto della produzione documentale consistente nella situazione patrimoniale
dell’azienda nei confronti di determinati soggetti (De Falco, Risicato e Torres) per
un importo complessivo di E 117.193.522. Alla stregua di tale documentazione e
delle puntuali obiezioni contenute nell’atto di gravame, la motivazione resa dal
giudice a quo doveva ritenersi del tutto inadeguata e contraddittoria. Evidente era
anche il travisamento del fatto nel quale era incorso lo stesso giudice di appello nel
ritenere che il passivo fallimentare dovesse essere attribuito a reiterate acquisizioni
di beni e merci che non erano stati rinvenuti nell’attivo in alcuna forma (fisica o,
quanto meno, come controvalore) e nell’assumere che dall’esame della contabilità
non risultasse alcuna corrispondente movimentazione in entrata del controvalore
della merce rimanente. Altro travisamento era ravvisabile nell’assunto secondo cui
nei confronti dell’unico cliente residuo (Risicato) non era stato possibile mettere in
atto alcuna iniziativa propria per la rilevata mancanza di documenti giustificativi del
credito. Dagli atti ed era invece risultata del tutto carente ogni attività di ricerca del
debitore.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 606 lett. b) ed e) cod. proc.
pen. per erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 110 cod. peri.
e 216 I.f. travisamento del fatto. Assume, al riguardo, che, nel caso in esame, non
era ravvisabile alcuna attività distrattiva idonea a determinare uno squilibrio tra
attività e passività. Oltre all’elemento oggettivo dell’ipotizzata fattispecie
distrkttiva, mancava ogni elemento atto a dimostrare la componente soggettiva.
Il quarto motivo deduce identico vizio di legittimità, lamentando che il
giudice di merito non aveva tenuto conto che la dichiarazione di fallimento risaliva
al 2002 e che la ditta aveva cessato di operare tempo prima; e che non erano stati
individuati i singoli beni che avrebbero dovuto costituire oggetto di distrazione.
Il quinto motivo deduce identico vizio di legittimità, con riferimento alla
statuizione di condanna dell’imputata in ragione della sola veste di titolare
dell’impresa, senza che fosse emerso alcun apprezzabile elemento indicativo della
consapevolezza da parte sua in merito all’attività di impresa.
Il sesto motivo denuncia ancora, identico vizio di legittimità su un riflesso
che fosse stata pronunciata la sentenza di condanna nonostante fosse emersa la
qualità di piccolo imprenditore dell’istante, come tale non assoggettabile al
fallimento secondo il novellato art. uno della legge fallimentare.
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aggiornata al 31/12/2001 da cui era dato evincere la pendenza di crediti

Il settimo motivo deduce identico vizio di legittimità con riferimento
all’imputazione di cui al capo

B) della rubrica sul rilievo che mancavano i

presupposti costitutivi del reato contestato, tenuto peraltro conto che il curatore era
riuscito a ricostruire sia il patrimonio che il movimento degli affari sulla base
dell’acquisita documentazione. Ingiustamente, il giudice di appello aveva ritenuto
che le scritture contabili in atti fossero del tutto inaffidabili.
L’ottavo motivo deduce identico vizio di legittimità sul rilievo che non erano

a tenere in relazione alla sua tipologia.
Il nono motivo deduce identico vizio di legittimità, con riferimento alla
mancata derubricazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale nella
meno grave fattispecie della bancarotta semplice.
Il decimo motivo denuncia identico vizio di legittimità con riferimento alla
ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 219, comma 2, I.f., sul rilievo
che nella fattispecie non fosse ravvisabile una pluralità di fatti di bancarotta, stante
l’unicità del presunto comportamento illecito e della sua riconducibilità, dunque,
all’ambito di un’unica azione materiale.
L’undicesimo motivo di ricorso denuncia identico vizio di legittimità con
riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 219 legge
fallimentare, tenuto peraltro conto che, secondo quanto dichiarato dal curatore
fallimentare le scritture prodotte non avevano impedito di ricostruire il patrimonio
ed il movimento degli affari della società fallita.
Il dodicesimo motivo di ricorso denuncia identico vizio di legittimità, in
relazione agli artt. 133, 62 e 69 cod. pen., contestando l’entità della pena irrogata e
la mancata concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle
contestate aggravanti, tenuto peraltro conto che il P.G. d’udienza aveva fatto
richiesta di pena in misura nettamente inferiore, ossia anni due e mesi sei di
reclusione.

2. Il primo motivo del ricorso in favore di Pizzo Antonino è del tutto identico al
corrispondente motivo dell’impugnazione in favore di Pizzo Grazia.
Il secondo motivo è identico alla corrispondente dell’anzidetto ricorso.
Lo stesso dicasi per il terzo motivo.
Il quarto motivo deduce identico vizio di legittimità con riferimento alla
contestata qualità di amministratore della ditta fallita e nonostante non fossero
individuati i beni asseritamente oggetto di attività MrernUg13122 ,
Il quinto motivo è identico al corrispondente del ricorso in favore della Pizzo,
oltre al rilievo che quest’ultima avrebbe dovuto essere riconosciuta

piccola

imprenditrice ed alla contestazione della qualità di amministratore di fatto attribuita
ad esso ricorrente, peraltro sulla base di travisamento probatorio con riguardo alla
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state specificate le scritture mancanti e quelle che per legge l’impresa era obbligata

deposizione testimoniale di Giuseppe Romano, che, al dibattimento, aveva
dichiarato di avere intrattenuto rapporti esclusivamente con la Pizzo, anche se non
era stato in grado di precisare se, nelle occasioni in cui si era recato presso la sede
della ditta, fosse presente anche il ricorrente.
Il sesto motivo deduce identico vizio di legittimità sul rilievo che il giudice di
appello non aveva tenuto conto della deduzione difensiva secondo cui esso imputato
era rimasto del tutto estraneo alla procedura fallimentare che non era stata neppure

non poter riferire che l’imputato sia stato mai socio occulto o fosse stato indicato
quale amministratore di fatto. In sostanza, non vi erano in atti elementi sufficienti
per affermare che l’imputato fosse amministratore di fatto.
Il settimo motivo, riguardante la contestata imputazione di bancarotta
fraudolenta documentale sub B), è identico alla corrispondente motivo dell’altro
ricorso.
Identico è anche l’ottavo motivo, così come il nono riguardante la mancata
derubricazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale nella meno grave
fattispecie della bancarotta semplice.
Identici, ancora, sono il decimo ed l’undicesimo motivi di ricorso.
Infine, è identico anche il dodicesimo motivo riguardante l’entità della pena e le
attenuanti generiche.

3. Il primo motivo del ricorso in favore di Pizzo Grazia, riguardante il
contestato diniego della richiesta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in
appello, é destituito di fondamento.
Ed invero, secondo indiscusso )(Insegnamento di questa Corte, parte ricorrente non
può dolersi del mancato espletamento di perizia tecnica, posto che la perizia è
mezzo di prova notoriamente neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso
alla discrezionalità del giudice, sicché non può, per definizione, avere carattere di
decisività (cfr. Cass. sez. 4, 22.1.2007, n. 14130, rv.236191). Non solo, ma dal
contesto giustificativo del provvedimento impugnato emergono chiaramente le
ragioni per le quali il giudice di appello ha ritenuto di non poter accedere alla
richiesta difensiva, reputando insussistente la condizione della non decidibilità allo
stato degli atti, alla quale è, notoriamente, subordinato l’esercizio del potere di

integrazione probatoria in sede di gravame-rmente dell’articolo 603, comma 1, cod.
proc. pen.
Il secondo motivo, recante rilievi critici alla formulazione dell’addebito
contestativo nonché denuncia di travisamento di fatto, è privo di fondamento a
parte i pur evidenti profili d’inammissibilità che lo caratterizzano, nella parte in cui
svolge questioni di mero fatP0 notoriamente improponibili in questa sede di
legittimità. Ed infatti, il giudice a quo ha reso motivazione congrua e pertinente a
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estesa nei suoi confronti; e che anche il curatore fallimentare aveva affermato di

sostegno del ribadito il giudizio di colpevolezza in riferimento ai fatti costitutivi
dell’imputazione. In particolare, sulla base della compiuta rivisitazione delle
emergenze processuali, costituite dalla relazione del curatore fallimentare, dalle
raccolte testimonianze e dagli elementi documentali, lo stesso giudice ha ritenuto
che il compendio probatorio fosse tale da dimostrare che, effettivamente, al
momento dell’apertura della procedura fallimentare, la ditta in questione avesse
accumulato debiti per oltre C 118.000,00 e che, all’attivo, forse stata rinvenuta
trovati beni di sorta e neanche quelli strumentali.
Infondato, inoltre, è il rilievo riguardante il preteso travisamento, oggetto del
terzo motivo, posto che era emerso in atti, quale dato fattuale incontrovertibile, che
il passivo fallimentare fosse stato determinato ed implementato con successive
acquisizioni di beni e merci, poi non rinvenute e ragionevolmente ritenute, pertanto,
oggetto di attività distrattiva, in applicazione di pacifica regola di giudizio

in

subiecta materia secondo cui, a fronte del dato ontologico dell’ammanco di beni (nel

caso di specie, liquidità di cassa ed attrezzature varie), che dovrebbero figurare
nella disponibilità della società fallita, spetta all’imputato rendere spiegazione in
merito alla loro destinazione, allo scopo del necessario accertamento della relativa
utilizzazione per fini della società ovvero per ragioni ad essi estranee (cfr., tra le
altre, Cass. Sez. 5, 15.12.2004, n. 3400, rv 231411), senza che un siffatto regime
probatorio possa integrare indebita inversione dell’ordinario

onus probandi.

Infondatamente, parte ricorrente obietta che dalla prodotta documentazione
risulterebbe che le contestate dismissioni di beni sarebbero state, in realtà,
null’altro regolari alienazioni, alle quali avrebbe fatto riscontro l’annotazione dei
relativi crediti nelle scritture contabili. è agevole osservare, in proposito, che la
deduzione difensiva è stata giustamente disattesa siccome priva dei necessari
contenuti di specificità con riguardo a termini e modalità delle asserite cessioni, a
parte l’ovvia inverosimiglianza di operazioni di cessione, in un contesto di difficoltà
economica, alle quali non faccia riscontro un corrispettivo reale, ma solo
un’annotazione contabile della corrispondente ragione creditoria. Risulta, per
questo, decisivo ed assorbente il rilievo secondo cui, alla stregua di univoci elementi
sintomatici, le annotazioni contabili fossero da ritenere del tutto inattendibili ed
oggettivamente intese a rappresentare mera, formale, giustificazione della
realizzata condotta distrattiva.
Il quarto e quinto motivo – esaminabili congiuntamente stante l’identità di
ratio contestativa, siccome entrambi afferenti ai presupposti del contestatoXreato

di bancarotta fraudolenta per distrazione – sono entrambi destituiti di fondamento.
Ed invero, l’insieme giustificativo della pronuncia impugnata rende ampio
conto della ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa
anzidetta, segnatamente del profilo soggettivo.
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soltanto una vettura utilitaria venduta per C 230,00; dunque, non erano stati

Integra, infatti, è stata giustamente ritenuta la componente oggettiva, in uno al
corretto rilievo dell’assoluta ininfluenza del fatto che la dichiarazione di fallimento
fosse intervenuta a distanza di qualche anno dalla pretesa condotta illecita.
Accertata, quindi la componente oggettiva, il giudice a quo ha, poi, chiaramente
indicato gli elementi ritenuti dimostrativi della piena consapevolezza dell’imputata.
E tanto bastava per confermarne la colpevolezza, in ragione della sua qualità di
titolare della ditta in questione. Secondo indiscusso insegnamento di questa Corte

di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’amministratore di diritto risponde
penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto, sia se abbia agito di
comune accordo con questi, sia in virtù dei principi generali che regolano la
responsabilità penale. Da un canto, infatti, l’art. 40, secondo comma, c.p. stabilisce
che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo; dall’altro, è obbligo degli amministratori vigilare sul generale
andamento della gestione, nonché di fare quanto in loro potere per impedire il
compimento di atti pregiudizievoli, ovvero di eliminarne o attenuarne le
conseguenze dannose (cfr., tra le tante, Cass. sez. 5, 27.5.1996, n, 580, rv.
205058; id. sez. 5, 9.2.2010, n. 11938 rv. 246897; id Sez. 5, 2.3.2011, n. 15065,
rv. 250094). Insomma, ai fini dell’affermazione della penale responsabilità in ordine
a condotte distrattive poste in essere dall’amministratore di fatto, occorre la prova
della piena, pur generica, consapevolezza di siffatte finalità distrattive da parte
dell’amministratore di diritto, non potendosi una statuizione di colpevolezza
riconnettersi a mera responsabilità di posizione; prova che, per quanto si è detto, i
giudici del merito hanno, diligentemente, offerto nel presente giudizio.
Si colloca ai limiti dell’ammissibilità il sesto motivo, riguardante la pretesa
qualità soggettiva di piccolo imprenditore in capo alla stessa imputata, come tale
non assoggettabile a procedura di fallimento secondo la novellata disciplina
fallimentare. Ed infatti, secondo indiscusso insegnamento di questa Corte Suprema,
nella sua più autorevole espressione a Sezioni Unite, (sent. 28.2.2008, n. 19601,
rv. 239398), il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di bancarotta,
non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al
presupposto oggettivo dello stato di insolvenza, ma anche quanto ai presupposti
soggettivi inerenti alle condizioni previste dall’art. 1 I.f. per la fallibilità
dell’imprenditore. Di talché, le modifiche apportate dal d.lgs n. 5/06 e poi dal d.lgs
n. 169/07 non hanno alcuna influenza, a mente dell’art. 2, sui procedimenti penali
in corso.
Privo di fondamento é il settimo motivo contenente censure alla statuizione
di condanna in riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al
capo B) della rubrica. Anche in parte qua la struttura motivazionale della sentenza
impugnata non offre il destro a rilievi di sorta, avendo compiutamente indicato le

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regolatrice (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 2.3.2011, n. 15065, rv. 250094), in tema

ragioni per le quali sono stati ritenuti sussistenti tutti presupposti, soggettivi ed
oggettivi, del reato in contestazione.
Al riguardo, va rilevata l’assoluta irrilevanza del fatto che, a posteriori, sia
stato possibile comunque ricostruire, non senza difficoltà, la situazione contabile
della ditta fallita. Infatti, non può che essere ribadito, in proposito, il principio di
diritto già espresso da questa Corte di legittimità, secondo cui sussiste il reato di

bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio
anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati
ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (cfr. Cass. Sz. 5,
19/04/2010, n. 21588, rv 247965).
Infondato é anche l’ottavo motivo in quanto l’imputazione in oggetto e la
relativa statuizione di colpevolezza non sono prive di necessaria specificazione, con
riguardo alle scritture contabili ritenute inaffidabili.
Destituito di fondamento è anche il nono motivo, riguardante la mancata
derubricazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale nella meno grave
fattispecie della bancarotta semplice. Al riguardo, il giudice

a quo

ha

adeguatamente focalizzato il momento soggettivo tipico del reato in questione,
consistente, come è risaputo, nella mera consapevolezza che la confusa tenuta della
contabilità possa rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio.
Indagine, questa, decisiva ai fini del nomen iuris del fatto contestato, segnando
l’elemento soggettivo il discrimine tra l’ipotesi di reato in questione e la meno grave
fattispecie della bancarotta semplice, che, esattamente, è stata così esclusa dalla
Corte territoriale (cfr. Cass. Sez. 5, 18.10.2005, n. 6769, rv. 233997).
Inammissibile è, invece, la decima censura, relativa alla pretesa
insussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 219, comma 2, I.f. La questione,
infatti, è meramente reiterativa di contestazione già espressa in sede di gravame, in
ordine alla quale la risposta motiva della sentenza impugnata è ineccepibile in
ragione del dato oggettivo costituito dalla rilevata pluralità di fatti di bancarotta, sia
pure di diversa tipologia, ma tutti riconducibili alla medesima procedura
fallimentare.
Palesemente infondato è anche l’undicesimo motivo, concernente il mancato
riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 219 I.f. Ineccepibile, infatti, è la
motivazione resa, al riguardo, dal giudice di appello, che ha rilevato come l’entità
complessiva del pregiudizio arrecato ai creditori (pari ad C 117.032,43), con un
recupero di appena C 4000,00, non consentisse il riconoscimento della reclamata
attenuante.
Il dodicesimo motivo di ricorso è, evidentemente, inammissibile, siccome
inconferente, posto che l’imputata ha beneficiato delle attenuanti generiche in
rapporto di prevalenza sulla contestata aggravante, di talché la formulazione della

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si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma

censura è riferibile ad evidente refuso materiale, stante la pressoché identica
formulazione dell’impugnazione in esame rispetto a quella proposta in favore di
Antonino Pizzo. Va disatteso anche il profilo di censura riguardante l’entità della
pena irrogata, trattandosi di questioni squisitamente di merito in ordine alla quale
non manca motivazione pertinente ed esaustiva in ordine alle ragioni del prescelto
regime sanzionatorio.

rigettato con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
5. Venendo, ora, al ricorso proposto in favore di Antonino Pizzo, si osserva che i
primi tre motivi sono affatto sovrapponibili alle corrispondenti censure del ricorso in
favore di Grazia Pizzo e, pertanto, non possono che condividerne l’epilogo
decisionale.
Infondato è il quarto motivo, riguardante l’attribuzione all’imputato della qualità
di amministratore di fatto. Non appare, infatti, meritevole di censura l’impianto
argomentativo offerto, sul punto, dal giudice di appello, sulla base di contributi
testimoniali motivatamente ritenuti univoci in funzione dell’anzidetta qualità. Ed
invero, era emerso, in proposito, che il Pizzo svolgeva attività gestoria, in termini
tali da consentire l’affermazione che fosse vero dominus dell’omonima ditta. Si
tratta, in tutta evidenza, di apprezzamento prettamente di merito, che, come tale,
sfugge al sindacato di legittimità siccome adeguatamente motivato. È appena il
caso di osservare, al riguardo, che in nessun travisamento probatorio è incorso il
giudice a quo, in quanto, nel compendio di fonti dichiarative, anche di segno
opposto, lo stesso ha, motivatamente, fatto una scelta di campo in favore di quelle
assertive dell’addebito accusatorio.
L’identica formulazione del quinto motivo, rispetto al corrispondente del
ricorso in favore della Pizzo, consente il richiamo per relationem alla relativa
motivazione. Richiamo che si giustifica, ovviamente, anche per l’ulteriore riflesso
riguardante la quaestio iuris relativa alla ritenuta qualità di piccola imprenditrice
dell’imputata anzidetta.
Del tutto infondata è la sesta censura, alla stregua della formulazione, in
termini concorsuali, degli addebiti accusatori, donde la legittimità della statuizione
di colpevolezza a carico del Pizzo, quanto meno in termini di concorso
dell’extraneus,

indipendentemente dall’estensione nei suoi confronti della

dichiarazione di fallimento. Ed invero, secondo indiscusso insegnamento di questa
Corte regolatrice, in tema di bancarotta fraudolenta, concorrono alla consumazione
del delitto tutti coloro che abbiano, con la loro attività, apportato un concreto
contributo causale alla produzione del dissesto dell’azienda; pertanto, pur
rappresentando la sentenza dichiarativa di fallimento elemento costitutivo della

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4. Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato – deve essere

fattispecie (in quanto accertati va dello stato di insolvenza e della qualifica di
imprenditore o di amministratore del soggetto attivo), anche l’eventuale
amministratore di fatto può essere chiamato a rispondere del reato, in concorso,
appunto, con il soggetto dichiarato fallito.

Di talché, stante la sua palese

infondatezza, la detta questione è stata, giustamente, disattesa dal giudice di
appello.
I motivi dal settimo all’undicesimo sono perfettamente identici ai
integrale richiamo alle motivazioni sopra riportate.
Infine, il dodicesimo motivo, riguardante l’assetto sanzionatorio, è
inammissibile, risultando dal testo motivazionale le ragioni per le quali il giudice di
appello ha ritenuto di dover rigettare la richiesta di ridimensionamento della pena
irrogata in primo grado, tenuto conto che la negativa valutazione della personalità
dell’imputato, connessa al rilievo di precedenti penali a suo carico, ha fatto sì che lo
stesso non fosse ritenuto meritevole del reclamato regime di prevalenza delle
attenuanti generiche e, comunque, di un più favorevole trattamento sanzionatorio.
6. Per quanto precede, anche il ricorso di Antonino Pizzo – globalmente
considerato – deve essere rigettato con le consequenziali statuizioni espresse in
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 4/12/2012

corrispondenti proposti in favore di Grazia Pizzo e, dunque, anche per essi può farsi

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