Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6190 del 04/12/2012

Penale Sent. Sez. 5 Num. 6190 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
A.A.
avverso la sentenza del Tribunale di Macerata del 22/09/2011,
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Eduardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Macerata confermava la
sentenza dell’08/06/2009 con la quale il Giudice di pace di quella stessa città aveva
dichiarato A.A. colpevole del reato di ingiuria a lei ha scritto, ai sensi
dell’art. 594 cod. pen., per avere offeso l’onore ed il decoro di Romiti Leonardo,

rivolgendogli espressioni del tipo “sei un imbecille e un deficiente, lo zerbino di
quella p…..” e, per l’effetto, l’aveva condannata alla pena ritenuta di giustizia.

2. Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’imputata, avv. Sergio Marini,
ha proposto ricorso per cassazione affidato alle ragioni di censura indicate in parte
motiva.

Data Udienza: 04/12/2012

CONIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente denuncia mancanza di
motivazione in ordine all’elemento materiale ed a quello soggettivo del reato in
contestazione. Si duole, inoltre, che le risultanze di causa non siano state
adeguatamente considerate e, soprattutto, non si sia tenuto conto della sostanziale
difformità tra le dichiarazioni a sostegno dell’accusa e quelle rese dal teste della
dichiarazioni, rese nel corso delle indagini preliminari, erano state acquisite al
processo con il consenso delle parti. In particolare, gli epiteti “imbecille” e
“deficiente” erano stati negati dal teste Bevacqua, persona attendibile e meritevole
della più ampia fiducia.
2. Il secondo motivo denuncia violazione e/o errata applicazione dell’art. 594
cod. pen. in relazione all’art. 21 Cost. Deduce, al riguardo, che vi era sostanziale
diversità tra l’affermazione contenuta in rubrica (“se lo zerbino”) e quella riferita in
sede istruttoria (“rischi di diventare lo zerbino…”), che, in tutta evidenza, non aveva
carattere offensivo, costituendo, piuttosto, chiara espressione di critica o di mera
valutazione.
3. Il primo motivo di ricorso si colloca, decisamente, in area d’inammissibilità,
afferendo a questione prettamente di merito, relativa alla valutazione delle
risultanze processuali, notoriamente insindacabile in questa sede di legittimità ove
assistita da congrua motivazione.
Pur nella marcata sinteticità, tale deve, infatti, ritenersi quella che sostiene il
provvedimento impugnato, sia pure integrata con la motivazione di primo grado,
che, stante il convergente giudizio in punto di responsabilità, forma con quella in
esame una sola entità giuridica. Al di là dell’erroneo riferimento, come elemento
probatorio, alla querela in atti, il giudice a quo ha chiaramente indicato le fonti
dichiarative a sostegno del ribadito giudizio di colpevolezza, ravvisandole nelle
dichiarazioni delle persone che avevano assistito all’alterco, rese in sede di indagini
preliminari ed acquisite al processo con il consenso delle parti. Con insindacabile
apprezzamento di merito, lo stesso giudice di appello ha espresso valutazione di
attendibilità di quelle fonti dichiarative, con ciò implicitamente formulando, ad un
tempo, giudizio d’inattendibilità su ogni altro elemento di prova contraria.
4. Il secondo motivo è pur esso palesemente infondato, posto che, così come
rilevato dal giudice

a quo,

le espressioni contestate in rubrica hanno,

obiettivamente, valenza offensiva. Anche in ragione del contesto in cui sono state
profferite, ad esse non avrebbe potuto, comunque, riconnettersi rilievo espressivo di

2

difesa, unico soggetto, peraltro, escusso in sede dibattimentale, in quanto le altre

legittimo diritto di critica, risultandone palesemente travalicati i limiti ad esso
notoriamente immanenti.
5. Per quanto precede, il ricorso è, certamente, inammissibile ed alla relativa
declaratoria conseguono le statuizioni dettate in dispositivo.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 1000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso il 4/12/2012

P.Q.M.

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