Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6185 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6185 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) DELEO DOMENICO N. IL 02/11/1969
2) BANCA MEDIOLANUM
avverso la sentenza n. 3301/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
03/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per or

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9•19 . “-«- 31’144 3C(44144
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Uditi difensor Avv.MA 1- Pee 24t445 t -St-Leuu pel. R. e. k), 1434.-P-a-~41
Udito, per la parte civile, l’Avv a

Data Udienza: 30/11/2012

6-21”

FATTO E DIRITTO
Propongono ricorso per cassazione Deleo Domenico e Banca Mediolanum- rispettivamente imputato e
responsabile civile- avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano in data 30 ottobre 2011 con la quale
è stata confermata quella di primo grado, di condanna dell’imputato in ordine ai reati di truffa
pluriaggravata in danno di Grgona Vladimiro e Palmieri Fulvia nonché di abusivo svolgimento di servizi di
investimento e di gestione collettiva del risparmio, commessi, con più condotte, a partire dal dicembre
2005. Con la stessa sentenza di primo grado, confermata sul punto in appello, in solido con l’imputato è
Mediolanum in qualità di responsabile civile.
Deleo è stato ritenuto responsabile di avere, quale promotore finanziario e consulente per conto di Banca
Mediolanum, indotto i due sopra citati clienti della banca, con i quali aveva stabilito un rapporto fiduciario
dal 2002, a consegnargli -mediante un assegno datato 21 dicembre 2005- la somma di C 250.000 dietro la
promessa di un investimento sicuro e da esso imputato indicato -così integrando gli artifici raggiri della
truffa contestata al capo A)- come idoneo a garantire due cedole semestrali: in realtà quella somma non
veniva utilizzata per il predetto investimento in favore dei due clienti ma incassata dall’imputato quale
socio unico ad amministratore della società Ciendi Sri.
L’operazione, d’altra parte, era stata congegnata come una iniziale richiesta da parte dei Grgona, alla Banca
Mediolanum, di affidamento per C 250.000 e come incarico, dato all’imputato, mediante la consegna allo
stesso del citato assegno, in bianco, di compilarlo con una cifra di importo pari a quella dell’affidamento, da
utilizzare per l’acquisto, dal portafogli di altro cliente di Mediolanum, dei titoli di Stato in scadenza a
dicembre 2006.
Ulteriore affermazione di responsabilità ha riguardato l’accusa di violazione dell’articolo 166 del TU della
intermediazione finanziaria (capo C), in relazione alla condotta consistita nell’avere, l’imputato, svolto
abusivamente servizi di investimento e di gestione del risparmio, raccogliendo somme di denaro e fornendo
consulenza finanziaria anche fuori dei limiti del suo mandato.
Era rimasto accertato, come si legge in sentenza, che Deleo aveva svolto, dal 2002 fino a marzo 2006,
l’attività di promotore finanziario, assegnato dalla Banca Mediolanum ai querelanti, come Family Banker,
ossia come mandatario della citata banca ai sensi dell’articolo 31 TUF. I querelanti, cioè, aderendo ad una
campagna pubblicitaria di Banca Mediolanum, avevano accettato l’offerta del promotore finanziario fuori
sede, ossia operante presso la loro stessa abitazione.
Costui dopo alcuni anni di attività pienamente soddisfacente per i Grgona, aveva ideato la condotta sopra
descritta, convincendo i clienti a consegnargli la elevata somma, con la promessa, fatta in dicembre 2005,
della consegna della prima cedola relativa agli interessi, nel giugno del 2006.
Nonostante, peraltro, che già in marzo 2006 gli fosse stato revocato l’incarico dalla Banca per l’inaffidabilità
dovuta ad un protesto subito, e che tale revoca fosse stata comunicata ai querelanti , egli aveva continuato
ad avere rapporti con i predetti clienti – coinvolgendo anche la responsabile della Banca Mediolanum
Principi Giulia nonché il promotore subentratogli, Dragoni – ed assumendo iniziative, anche nel mese di
ottobre e di dicembre 2006, per procrastinare la scoperta della truffa, ormai consumata da tempo: in
particolare, egli aveva, prima della fine dell’anno, consegnato ai clienti un assegno dell’importo di C 10.000,
relativo ai presunti interessi maturati, tratto però sul proprio personale conto corrente.
In realtà, proprio la consegna di tale assegno di conto corrente, che i querelanti avevano fatto intestare al
proprio genero Ferruti, un avvocato, aveva destato i sospetti di costui, per la ragione che si trattava di un
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stata altresì condannata, al risarcimento del danno e al pagamento di una provvisionale, la Banca

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assegno non circolare ma bancario, emesso su un conto corrente acceso presso istituto di credito diverso
dalla Banca Mediolanum e firmato personalmente dell’imputato.
I controlli espletati anche dalla Banca Mediolanum sulla base delle reiterate richieste di chiarimento da
parte dei familiari dei querelanti, avevano portato il Deleo ad ammettere, presso lo studio dell’avvocato
Ferruti, di avere così operato per far fronte a difficoltà della propria azienda, ma con l’intenzione di
restituire la somma entro gennaio 2007.
Nella sentenza si dava atto, tra l’altro, della versione dall’imputato fornita per la prima volta in udienza ,
(secondo cui egli avrebbe agito in accordo con la figlia dei querelanti sul fatto di concedergli un prestito
personale,) argomentando l’assoluta inattendibilità della stessa.
liquidando gli altri investimenti immobiliari dei querelanti i quali, a dicembre 2007, si trovarono a vendere
la casa di abitazione.
La Corte si soffermava, in particolare, sugli elementi ritenuti sintomatici della piena e incondizionata fiducia
attribuita dai querelanti all’imputato, sia in ragione della loro età avanzata che della non conoscenza della
materia finanziaria, fiducia peraltro riposta in un soggetto che, come evidenziato dai giudici dell’appello in
sentenza, risulta avere riportato in primo grado e in appello, con sentenza del 20 giugno 2011, altra
condanna per analogo reato.
Deve darsi atto che, in replica ai motivi di ricorso che di qui a breve si illustreranno ed esamineranno, la
difesa delle PPCC, con memoria del 14 novembre 2012, ‘(ha illustrato le ragioni della ritenuta
infondatezza o inammissibilità dei motivi di ricorso presentati sia nell’interesse dell’imputato che del
responsabile civile.
Ha dedotto Deleo
1-2-3)Ia erronea applicazione dell’articolo 640 c.p. e il vizio di motivazione.
Non sarebbero stati evidenziati gli artifici e raggiri previsti dalla norma citata, posto che la
cooperazione alla richiesta di affidamento era avvenuta alla luce del sole e quale scelta
consapevole dei querelanti.
Quanto poi alla successiva emissione dell’assegno di pari importo, ad opera della Palmieri, la difesa
evidenzia che essa non manifesta sintomi di raggiro, avendo la querelante rilasciato il titolo senza
che sia stato, poi, in alcun modo accertato il particolare, apoditticamente affermato dalla Corte
d’appello, della mancata compilazione dei relativi campi, non dimostrato tramite perizia e
semplicemente riferito a presunti accertamenti che la Corte stessa avrebbe, da sola, effettuato.
In secondo luogo la difesa lamenta il vizio insito nella motivazione con la quale si è cercato di
ricavare la malafede dell’imputato dal fatto che egli avesse rappresentato la tesi dell’accordo su un
prestito, raggiunto con i querelanti, per la prima volta in dibattimento: in realtà, quella era stata
l’unica occasione in cui l’imputato aveva rappresentato la propria tesi difensiva, senza entrare in
contraddizione con precedenti diverse dichiarazioni, mai rese.
In terzo luogo, la difesa insiste sulla tesi del previo accordo che sarebbe incorso tra l’imputato e la
figlia dei querelanti in merito al prestito che il primo intendeva conseguire, lamentando l’omissione
di motivazione da parte della Corte d’appello;
4) l’assenza di prova e di motivazione sull’elemento psicologico del reato di truffa.
L’imputato aveva infatti ammesso, come inutilmente segnalato nell’atto d’appello, di essere
debitore dei Grgona e di avere promesso la restituzione di quanto ricevuto a titolo di prestito;
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Tale restituzione non avvenne mentre accadde che la Banca Mediolanum pretese il rientro dell’esposizione

5) la violazione dell’articolo 526 c.p.p.
La Corte d’appello, a pagina 17 della sentenza, aveva dimostrato di utilizzare, per colorire l’aspetto
psicologico della vicenda, una presunta sentenza di condanna Deleo per fatto analogo, mai
acquisita nel rispetto del contraddittorio;
6) l’erronea applicazione dell’articolo 166 d. Igs. N. 58 del 1998.
La contestazione mossa al ricorrente, relativa all’essersi fatto consegnare dai clienti risparmiatori
somme di danaro fuori dai limiti del rapporto di agenzia, non è idonea a violare la norma citata.
Questa invero punisce lo svolgimento di servizi di investimento o di gestione del risparmio senza
investimento, ma non impedisce a chiunque-promotore finanziario incluso-di chiedere prestiti copi
personali.
Anche la contestazione relativa all’avere prestato consulenza fuori dei limiti del rapporto è un’accusa
rimasta senza motivazione, posto che la consulenza che l’imputato ha prestato è stata comunque
resa antecedentemente alla revoca del mandato.
La difesa lamenta comunque che la incertezza rappresentata inutilmente alla Corte d’appello è
rispecchiata, in aggiunta, anche dalla genericità del capo di imputazione che non precisa se la
contestazione mossa al ricorrente debba riferirsi al comma 1 o al comma 2 dell’articolo 166
D’altra parte, la replica della Corte d’appello, limitata all’osservazione che il superamento dei limiti del
mandato era insita nell’accertamento della natura truffaldina del comportamento dell’imputato, è,
per la difesa, del tutto insufficiente: non può dirsi infatti che il promotore finanziario che compia un
reato di truffa sia automaticamente responsabile anche del reato di cui all’articolo 166 TUF.
Tanto dovrebbe dedursi, a parere della difesa, dal fatto che la giurisprudenza afferma che i due reati
possono concorrere così dimostrando che non necessariamente essi vengono entrambi in esistenza e
quindi concorrono;
7) l’erronea applicazione delle norme in tema di trattamento sanzionatorio;
8) l’erronea applicazione degli articoli 539 e 540 cpp in tema di determinazione del danno.
Questo era stato liquidato tenendo conto anche degli interessi passivi che l’operazione fatta
eseguire ai querelanti, aveva prodotto a carico di costoro: ma della causazione dolosa del pagamento
di tali somme non era stata data prova a carico dell’imputato, così come nessun giustificato motivo
era stato illustrato a sostegno del riconoscimento della provvisionale.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato
I motivi di ricorso con i quali si lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in tema di
responsabilità per il reato di truffa debbono essere respinti, essendo al limite della inammissibilità in
quanto fondati anche su ragioni diverse da quelle che possono essere rappresentate alla Corte di
cassazione.
Deve darsi atto, in particolare, che il giudice dell’appello ha, in primo luogo, richiamato, condividendolo,
l’accertamento raggiunto dal giudice di primo grado secondo cui la tesi difensiva dell’imputato, di avere
convinto la figlia dei querelanti a consentirgli di prendere in prestito la somma di C 250.000 dai suoi
genitori, non ha trovato alcun riscontro documentale e non è stata creduta anche perché in obiettivo
contrasto non solo con le testimonianze raccolte ma soprattutto con le dichiarazioni dell’imputato che ha
ammesso di avere ingannato i querelanti inducendoli a chiedere un fido per C 250.000 e a farsi consegnare
un assegno di pari importo con l’assicurazione che sarebbe stato investito in titoli ad alto rendimento che
altro cliente della banca doveva monetizzare: in realtà, ha proseguito l’imputato, quella somma egli aveva
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abilitazione o anche, ancora abusivamente, l’offerta fuori sede di strumenti finanziari o di attività di

conseguito per appropriarsene, versandola sui conti correnti della sua società che si trovava in difficoltà
economico-finanziarie (vedi pagina 6 della sentenza impugnata).
Il giudice dell’appello ha anche fatto propria l’osservazione del primo giudice secondo cui quand’anche la
versione dell’imputato a proposito dell’accordo raggiunto con la figlia dei querelanti fosse rimasta provata,
non verrebbero meno gli artifici raggiri che egli ha comunque posto in essere in danno dei genitori di costei
(pagina 7).
A ciò va aggiunto che, sul tema degli artifici e dei raggiri, la Corte territoriale ha valorizzato il fatto
dell’avere, l’imputato, approfittato della fiducia ingenerata nei propri clienti con la attività proficuamente
svolta negli anni precedenti per indurre gli stessi a rilasciargli un assegno le cui caratteristiche di
l’utilizzazione del titolo in modo difforme dalle disposizioni dell’emittente, stavano ad indicare proprio
l’affidamento di quest’ultimo, quale espressione di una volontà deviata, nella sua formazione, dalla
condotta dell’imputato stesso.
Il raggiro, in altri termini, è stato identificato nella particolare forza e capacità di convinzione da parte
dell’imputato il quale aveva prospettato, forte del rapporto instaurato in precedenza con i querelanti,
un’operazione assai fruttuosa e del tutto plausibile, rispetto alla quale il rilascio dell’assegno in bianco
costituisce la prova, secondo il logico assunto dei giudici, non del raggiro- che deve essere antecedente e
legato causalmente all’atto di disposizione patrimoniale della vittima- ma dell’induzione in errore.
Anche sotto il profilo della riferibilità di tale scrittura di riempimento alla mano dell’imputato, la censura del
ricorrente, non solo non puntuale e specifica, è comunque infondata dal momento che nella sentenza
impugnata vi è una motivazione sufficiente e logica. A proposito del rilascio dell’assegno in bianco, infatti il
giudice ha ritenuto provata la tesi della querelante- della quale non si mette in discussione l’attendibilitàanche sulla base di un apprezzamento delle scritture contenute nel titolo che la Corte territoriale stessa
era abilitata ad effettuare, stante la contestazione al riguardo da parte dell’imputato: un apprezzamento
che, secondo la costante giurisprudenza, il giudice del merito può svolgere senza dovere necessariamente
ricorrere ad una perizia grafica e che risulta valido se , come, nella specie, è motivato con riferimento alle
modalità seguite.
In sentenza, invero, si dà atto in primo luogo dell’apprezzamento, del tutto conforme a massime di
esperienza, di una palese differenza di grafia fra la firma di traenza -pacificamente attribuibile alla
querelante- e quella delle ulteriori scritture di compilazione ed inoltre si attesta il ricorso all’uso di
documenti autografi dell’imputato la cui esistenza e significatività la difesa contesta genericamente nel
ricorso senza dimostrare che, al riguardo, la sintetica motivazione adottata dalla Corte d’appello debba
ritenersi difettosa per la specificità di motivi di appello indebitamente pretermessi.
Infine,come già anticipato, inammissibile deve ritenersi la censura riguardante la omessa considerazione
della tesi difensiva a proposito dell’accordo che l’imputato avrebbe raggiunto con i querelanti o
quantomeno con la loro figlia per ottenere, attraverso la complessa operazione architettata, un semplice
prestito personale.
Invero, basta ricordare che il tema è stato ampiamente vagliato dalla Corte d’appello la quale ha
motivatamente ritenuto non credibile la detta tesi denunciandone in primo luogo la contraddittoria
esposizione (ora volta a coinvolgere solo la figlia nell’accordo, ora volta a coinvolgere anche i genitori) ed in
secondo luogo evidenziandone la assoluta irrazionalità: in base a tale tesi, osserva plausibilmente il giudice
dell’appello a pagina 17, si dovrebbe ritenere che i querelanti abbiano consapevolmente creato una
importantissima esposizione debitoria presso la banca Mediolanum, accollandosi notevoli interessi passivi
garantiti dai loro stessi risparmi, solo per fare un prestito e dunque senza pretendere alcuna garanzia, né
interessi o altra forma di remunerazione e, in generale, senza condizioni e tanto meno pretendendo un
accordo scritto.
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compilazione (mancato riempimento della parte destinata alla menzione del prenditore), decisive per

Al riguardo, la censura del ricorrente risulta dunque non solo manifestamente infondata ma anche
inammissibile perché costituisce la mera riproposizione di un motivo già rappresentato al giudice
dell’appello e da questi argomentatamente disatteso.
Il quarto motivo è inammissibile perché propone una ricostruzione della vicenda in termini fattuali
contrapposti a quelli motivatamente accreditati dal giudice del merito, con la conseguenza che la censura
rappresentata non rientra fra quelle per le quali l’articolo 616 cpp ammette ricorso per cassazione.
Il quinto motivo non può essere accolto.
della avvenuta ( o meno) acquisizione formale del documento , entra a pieno titolo nel fascicolo
processuale ( così, ad esempio, attraverso il certificato dei carichi pendenti (articolo 21 d.p.r. numero 313
del 2002) e costituisce materia di giudizio da parte del giudice anche ai fini della valutazione della capacità a
delinquere del colpevole, secondo il disposto dell’articolo 133 comma due numero due CP.
Non risultando che l’utilizzo di tale dato processuale sia andato oltre quanto desumibile dagli archivi
informatici e non essendo dedotto alcun travisamento sul punto, non può dirsi specifico il motivo di
impugnazione sotto il profilo della deduzione dell’interesse in concreto alla denuncia della violazione del
contraddittorio.
Manifestamente infondato è il sesto motivo di ricorso.
La Corte territoriale, sia pure con motivazione sintetica, ha indicato lo snodo fondamentale del suo
ragionamento nel rilievo che la tesi dell’imputato, secondo cui non gli si poteva imputare la violazione delle
norme sul testo unico in materia di intermediazione finanziaria per avere egli agito in veste di privato
attraverso la formulazione della richiesta di un prestito a dei propri clienti, non ha trovato alcun riscontro
ed alcuna , credibilità.
Al di fuori di tale tesi, resta l’accertamento, estremamente significativo ai fini della violazione dell’articolo
166 TUF, che l’imputato non si è affatto limitato a richiedere un prestito personale ai querelanti, ma ha
agito con frode nei loro confronti, quando ancora era titolare del mandato affidatogli dall’intermediario
Mediolanum: inducendoli , cioè, ad affidargli una somma di danaro, nella convinzione, in essi ingenerata
con artifici, di stare eseguendo un’operazione finanziaria frutto dell’attività di consulenza e di promozione
svolta da esso stesso quale mandatario della Banca Mediolanum.
Tale tesi, supportata dalle considerazioni articolatamente svolte nella sentenza impugnata e sopra
riportate nella parte più significativa, viene nuovamente contestata nel ricorso con argomentazioni
inconferenti.
Tale deve ritenersi, in primo luogo, quella concernente la presunta non chiarezza del capo d’imputazione,
evenienza che, per costituire una nullità relativa, non è deducibile per la prima volta in cassazione ( vedi tra
le molte Rv. 217123; Rv. 204751).
D’altra parte è del tutto evidente che la contestazione di cui al capo C) attiene al comma 1 dell’articolo 166,
ossia allo svolgimento di attività finanziaria in mancanza dell’abilitazione prevista nel decreto stesso: una
mancanza che, nel caso di specie, deriva non già dalla assenza del mandato ma dal superamento dei limiti
del mandato stesso, avendo il promotore operato non già nello svolgimento di un servizio di investimento o
di gestione del risparmio bensì esclusivamente per realizzare alfine un tornaconto personale.
Non viene invece in considerazione il comma 2 della stessa norma che punisce l’operato di chi agisca quale
promotore finanziario senza essere iscritto all’albo, evenienza del tutto estranea alla vicenda in esame.
Infine, anche l’ultimo aspetto della doglianza non è apprezzabile.
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Il dato della condanna dell’imputato, con sentenza non definitiva, per altro fatto della stessa indole, al di là

La giurisprudenza evocata dalla difesa , nell’ammettere il concorso non apparente fra il reato di abusivo
esercizio di intermediazione finanziaria e quello di truffa, osserva che una simile evenienza può verificarsi in
quanto il primo è un reato di pericolo il cui bene tutelato è il corretto funzionamento, nell’interesse degli
investitori, dei mercati mobiliari attraverso l’opera di soggetti abilitati, mentre il reato di truffa è reato di
danno, che si consuma con la diminuzione patrimoniale del soggetto passivo e l’arricchimento dell’agente,
per mezzo di artifici e raggiri (Rv. 245433).
Da un simile principio discende il corollario che può aversi il reato di abusivismo finanziario, per avere il
promotore agito oltre i limiti del mandato, anche senza il reato di truffa, essendo ipotizzabile che l’attività
di intermediazione posta in essere senza mandato non integri necessariamente una truffa, potendo essere
È tuttavia evidente che se il promotore finanziario agisce nella vigenza del suo mandato e spendendo tale
sua qualità ed, in più, ponga in essere artifici raggiri per realizzare l’ingiusto profitto mediante l’altrui
induzione in errore -che si manifesti poi in un’ apparente espressione del servizio di investimento propostola integrazione del reato di truffa concorre con quella del reato di abusivo esercizio dell’intermediazione
finanziaria.
In tal senso e in tale prospettiva la motivazione del giudice dell’appello si sottrae del tutto alle censure
articolate nel motivo in esame.
Il settimo motivo è inammissibile in quanto costituisce la mera riproposizione del corrispondente motivo
d’appello al quale la Corte territoriale ha già dato ampia risposta, del tutto trascurata nei motivi
d’impugnazione.
L’ottavo motivo è manifestamente infondato posto che l’entità del danno liquidato viene censurata senza
considerare che la sentenza impugnata ha confermato la rimessione al giudice civile proprio per la
determinazione del danno non quantificabile del giudice penale.
Per quanto concerne la censura sulla concessione di provvisionale è appena il caso di rilevare che secondo
la costante giurisprudenza di legittimità, tale statuizione, per la sua natura interlocutoria, non può essere
fatto oggetto di motivo di ricorso (vedi Sez. 5, Sentenza n. 32899 del 25/05/2011 Ud. (dep. 26/08/2011 )
Rv. 250934; Massime precedenti Conformi: N. 40410 del 2004 Rv. 230105, N. 5001 del 2007 Rv. 236068, N.
34791 del 2010 Rv. 248348).
Ha dedotto il responsabile civile Banca Mediolanum spa
1) Il vizio di motivazione sulla affermata responsabilità della società, quale intermediario finanziario
che, all’epoca della operazione finanziaria posta in essere dai coniugi Grgona, annoverava, tra i
propri promotori , l’imputato Deleo, in seguito allontanato, con revoca del mandato, quando, nel
marzo 2006, era emerso che aveva emesso un assegno privo di copertura (per fatti estranei alla
vicenda in esame).
Ebbene, ribadisce la difesa che non vi sarebbero profili di responsabilità per la società dal
momento che i querelanti, dopo anni di proficuo rapporto con Deleo e quindi perfettamente
consapevoli delle procedure per investimenti con la Banca, avevano accettato di avviare una
operazione anomala in quanto consistente nell’acquisto di titoli da un altro cliente e non già dalla
Banca.
Tutte le operazioni eseguite dai querelanti risentivano della detta anomalia come è dimostrato dal
fatto che essi non avevano sottoscritto moduli su carta intestata alla banca, avevano emesso un
assegno senza intestatario, consegnato all’imputato, e non si erano aspettati di vedere indicato
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realizzata anche senza artificiosa induzione in orrore.

l’investimento negli estratti conto comunicati dalla Banca; ancora, per la stessa ragione, essi
avevano ritenuto normale riscuotere gli interessi mediante un assegno emesso dal promotore e
non mediante accredito operato dalla Banca ed inoltre, pur dopo aver ricevuto la comunicazione
ufficiale della revoca del mandato a Deleo, e conosciuto il nuovo promotore loro assegnato,
Dragoni, avevano continuato a ricercare contatti con il primo per ricevere ulteriori chiarimenti in
ordine all’investimento concluso nel 2005.
In conclusione difetterebbe il vincolo di occasionalità necessaria fra la condotta dell’imputato e il
danno subito dalle parti civili, tenuto anche conto che il danno è stato invece determinato da colpa

In particolare la difesa segnala, come contraddizione della motivazione, quella che riguarderebbe
la esatta definizione della operazione finanziaria posta in essere dai querelanti, ora citata in
sentenza come acquisto di titoli da un altro cliente della banca ( da deposizione Palmieri) ora come
investimento presso un altro istituto di credito (da deposizione Savina Grgona); ed altresì quella che
riguarderebbe la interpretazione di appunti manoscritti dell’imputato risalenti al 2006 riguardo un
investimento eseguito su altra banca, per l’importo di C 200.000, nell’interesse di Grgona,
investimento che i giudici del merito avevano ritenuto diverso e ulteriore rispetto a quello qui in
esame mentre, secondo la difesa, corrispondeva proprio a quello qui in discussione: un
investimento, cioè, al quale la Banca Mediolanum era del tutto estranea.
La difesa sottolinea poi il vizio della motivazione riguardante l’atteggiamento psicologico della figlia
di querelanti, Savina, relativamente alla quale i giudici affermano non essere- quella- consapevole
della operazione ordita ai danni dei genitori, mentre risulta dalle dichiarazioni della Palmieri, madre
di Savina, che costei fosse presente a tutti gli incontri fondamentali risalenti al 2005 tra l’imputato e
le persone offese.
In terzo luogo la difesa segnala la contraddittorietà della ricostruzione operata dai giudici del merito
a proposito delle iniziative assunte dal promotore Dragoni, subentrato a Deleo: una ricostruzione
che confligge con le dichiarazioni rilasciate da Dragoni nel corso delle indagini preliminari, secondo
le quali questi si sarebbe limitato a parlare con i Grgona del finanziamento da 250 mila euro
contratto con la Banca , dei relativi interessi e della necessità di rinnovarlo e non aveva rilasciato
alcun tipo di diversa assicurazione sulla bontà di altri investimenti. Egli, rispetto all’assegno che
Deleo aveva consegnato in sua presenza ai Grgona nel 2006, era rimasto semplice spettatore ,
ritenendolo relativo ad una operazione su banca diversa da Mediolanum.
Altra contraddizione della motivazione riguardava le modalità di pagamento delle cedole degli
interessi, pagamento che, secondo le normali procedure delle quali la Palmieri era al corrente,
avveniva tramite accredito sul conto corrente, mentre nel caso di specie risulta avvenuto mediante
rilascio di un assegno ad opera dell’imputato, senza che da tale evenienza i giudici del merito
abbiano tratto le dovute conclusioni riguardo alla consapevolezza, da parte della Palmieri, circa la
natura anomala della operazione concordata.
La difesa lamenta anche la contraddizione tra l’affermazione, contenuta in sentenza, circa il
mancato controllo degli estratti conto da parte di querelanti e il dato, emerso in dibattimento, che
Vladimiro Grgona fosse un attento lettore della corrispondenza che riceveva dalla Banca.
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esclusiva dei risparmiatori o quantomeno è stato agevolato da questa.

L’ulteriore affermazione dei giudici, secondo i quali i querelanti sarebbero stati incapaci di
comprendere il tenore delle comunicazioni inviate dalla Banca, sarebbe in contrasto con la diversa
affermazione che i due disposero l’operazione per lucrare cospicui interessi, con il rilievo che il
Grgona è un maestro di scacchi e che, a detta dei suoi medici curanti, è, come anche la moglie
persona di perfette capacità mentali e cognitive.
Il motivo di ricorso è inammissibile perché integralmente versato in fatto e quindi basato su ragioni diverse
da quelle che possono essere sottoposte al giudice di legittimità.
La difesa segnala vizi della motivazione che, non solo non attengono a carenze su punti decisivi o a illogicità
di legittimità la possibilità di una ricostruzione diversa dei fatti, che i giudici del merito avrebbero
illegittimamente trascurato.
Ed invece occorre prendere le mosse dal rilievo che, comunque, in tema di vizi della motivazione, il
controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e
con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (rv 215745).
Nel caso di specie la motivazione si presenta completa e razionale e pertanto non si espone neppure alle
censure che formalmente la parte ha articolato, evocando l’articolo 606 cpp.
Basta qui ricordare- come già osservato nel rispondere al primo motivo di ricorso del ricorrente Deleo- che
talune delle censure non sono neppure mirate , quantomeno nella loro formulazione concreta, a incidere
su elementi decisivi, così come è accaduto, ad esempio, per quelle volte a criticare la motivazione
riguardante la posizione soggettiva della figlia di querelanti: che essa fosse presente o meno a taluni degli
incontri tenuti tra l’imputato Deleo e i propri genitori è circostanza in sé del tutto inidonea a far cadere
l’ipotesi di reato contestato all’imputato, per la ragione che una eventuale sua attitudine a dimostrare il
concorso della figlia dei querelanti non varrebbe a far cadere l’ipotesi di reato a carico del ricorrente. E
comunque la ipotesi dell’accordo maturato fra Deleo e la figlia di querelanti è stata diffusamente analizzata
dalla Corte di merito e respinta come del tutto inattendibile in base alle prove storiche e logiche
analiticamente citate.
Ugualmente deve ritenersi presente e esaustiva la interpretazione offerta in ordine agli appunti manoscritti
dell’imputato, così come presente e completa è la analisi che la Corte di appello ha compiuto in ordine alla
piena e incondizionata fiducia che i querelanti avevano manifestato, anche per iscritto, alla Banca con
riferimento al promotore Deleo, soggetto che aveva consentito loro di realizzare un buon andamento di
investimenti mobiliari a partire dal 2002 e che, proprio in virtù di tale rapporto di fiducia, guadagnato quale
addetto alla famiglia (family Banker), aveva ottenuto che i querelanti radunassero i loro risparmi, pari a €
500.000, sui prodotti finanziari della società Mediolanum.
D’altra parte risulta logico che i giudici dell’appello abbiano ricostruito la condotta del ricorrente
accreditando le dichiarazioni della Palmieri anche nella parte in cui questa ha riferito di avere aderito ad
una proposta di acquisto di titoli da effettuarsi all’interno della Banca Mediolanum, che gliela proponeva
attraverso il suo promotore. La Corte, ancora a pagina 20, ha valorizzato le dichiarazioni di Grgona
Vladimiro, di identico tenore. Le diverse dichiarazioni che la figlia dei querelanti avrebbe reso al riguardo
(operazioni su banca esterna) non potevano certo costituire motivo valido per una diversa ricostruzione
della vicenda posto che non risultano avere formato oggetto di accertamento da parte dei giudici del
merito ma sono state soltanto citate – nella parte narrativa della sentenza – come storicamente riferite de
relato da altro soggetto (Principi) e senza che il dato stesso risulti entrato come indizio o come prova
oggetto di positivo accreditamento.
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dal carattere manifesto ma che, per di più, sono chiaramente e unicamente volte a rappresentare al giudice

Anche tutte le altre doglianze riguardo alle modalità di pagamento delle cedole, o alla lettura delle
comunicazioni della banca o, ancora, al comportamento di Dragoni, appaiono formulate dalla difesa in
termini fattuali e nella prospettiva della possibilità di un accadimento diverso da quello accreditato in
sentenza, ma senza che risulti intaccata la plausibilità del diverso ragionamento seguito dei giudici del
merito: un ragionamento, oltretutto, tale da rendere evidente che il grado di consapevolezza che i
querelanti dovrebbero o potrebbero avere raggiunto in ordine alla realtà dei fatti, sulla base degli eventi
appena segnalati, atterrebbe comunque ad una fase successiva a quella della consumazione del reato,
realizzatasi al momento della consegna dell’assegno dell’importo di C 250.000 da parte dei querelanti stessi
e del suo incasso ad opera dell’imputato.
secondo cui integra l’elemento costitutivo del reato anche la sola menzogna, costituendo una tipica forma
di raggiro (Sez. F, Sentenza n. 42719 del 02/09/2010 Ud. (dep. 01/12/2010 ) Rv. 248662; Massime
precedenti Conformi: N. 2061 del 1972 Rv. 120649, N. 8558 del 1979 Rv. 143164, N. 8787 del 1981 Rv.
150458, N. 9426 del 1982 Rv. 155641, N. 10206 del 1982 Rv. 155882): una menzogna che, nella specie, ha
condizionato ed è stata determinante per la scelta dei querelanti di richiedere l’affidamento alla Banca e di
consegnare, conseguentemente, l’importo ottenuto all’imputato, promotore finanziario della Mediolanum,
per effettuare un investimento in titoli da quello proposto.
2) Il vizio della motivazione in ordine all’applicabilità al caso concreto dell’articolo 1227 comma 2 cc,
ossia in ordine alla colpa esclusiva delle parti civili nella determinazione del danno.
La difesa aveva sollecitato l’applicazione di tale norma, anche ai fini soltanto di una diminuzione del
risarcimento del danno posto a carico dell’intermediario, a nulla rilevando, in contrario, la natura
solidale della sua responsabilità.
Era infatti emerso che le persone offese avevano rilasciato un assegno in bianco e non avevano mai
contestato gli estratti conto loro inviati dalla banca.
La Corte d’appello non aveva risposto sul rilievo riguardante la colpa esclusiva della Palmieri e si era
limitata ad escludere la colpa concorrente.

Il motivo è infondato. La motivazione spesa la Corte d’appello non può dirsi carente su un punto decisivo
atteso che, essendo stata posta a fondamento della esclusione del concorso del fatto colposo del creditore
ai sensi dell’articolo 1227 c.c., doveva e deve ritenersi esaustiva di ogni questione rimasta assorbita da
quella espressamente affrontata.
In altri termini, il ragionamento seguito dai giudici del merito è quello della non configurabilità di una colpa
concorrente ascrivibile ai querelanti con riguardo al comportamento tenuto dagli stessi relativamente alle
comunicazioni della banca e, ancor prima, alla consegna dell’assegno al promotore: una conclusione che
necessariamente ha esautorato la possibilità stessa di valutare la situazione, ancor più grave per il
creditore, derivante da una sua colpa nella causazione esclusiva del danno, per la stessa ragione per la
quale, se si esclude che la vittima di un incidente possa avere agevolato la commissione del reato di lesioni
da altro soggetto materialmente posta in essere, a maggior ragione resta escluso che il fatto lesivo stesso
possa essere addebitato in via esclusiva alla vittima.
Non si avverte, dunque, illogicità o carenza censurabile in tale denunciata omissione argomentativa e ciò,
a prescindere dal rilievo che, come sottolineato da una parte della giurisprudenza della cassazione civile,
sarebbe persino da escludere in radice che l’art. 1227, primo comma, cod. civ., si applichi nei rapporti di
rivalsa tra più danneggianti responsabili in solido.
Ad ogni buon conto, le linee argomentative seguite dal giudice del merito si sviluppano coerentemente
lungo i binari tracciati, dalla giurisprudenza di legittimità in sede civile, col principio secondo cui, proprio in
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E per la consumazione del reato di truffa vale il principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità,

tema di intermediazione mobiliare, la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al
promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe
legittimato a riceverle, non vale, in caso di indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore,
ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività dello stesso e la consumazione
dell’illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità di invocare la responsabilità solidale dell’intermediario
preponente; né un tal fatto può essere addotto dall’intermediario come concausa del danno subito
dall’investitore, in conseguenza dell’illecito consumato dal promotore, al fine di ridurre l’ammontare del
risarcimento dovuto. Le disposizioni di legge e regolamentari dettate in ordine alle modalità di
sono dirette unicamente a porre a suo carico un obbligo di comportamento al fine di tutelare l’interesse del
risparmiatore e non possono, quindi, logicamente interpretarsi come fonte di un onere di diligenza a carico
di quest’ultimo, tale da comportare un addebito di colpa (concorrente, se non addirittura esclusiva) in capo
al soggetto danneggiato dall’altrui atto illecito, e salvo che la condotta del risparmiatore presenti connotati
di “anomalia”, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla
violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero
o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle
operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso
“iter” funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e
socio-economiche (Sez. 1, Sentenza n. 6829 del 24/03/2011 (Rv. 616358); Sez. 3, Sentenza n. 1741 del
25/01/2011 (Rv. 616356).
Si pone in evidenza nella motivazione delle sentenze citate che “.. la responsabilità dell’intermediario

preponente trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli
strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici cui
è ragionevole far corrispondere i rischi; per altro verso, ed in termini più specifici, nell’esigenza di offrire una
più adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte dall’intermediario per il tramite del
promotore, giacché appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte più facilmente la buona fede
dei clienti può essere sorpresa. E tale garanzia il legislatore ha inteso rafforzare, tra l’altro, anche e proprio
attraverso un meccanismo normativa volto a responsabilizzare l’intermediario nei riguardi dei
comportamenti di soggetti – quali sono i promotori – che l’intermediario medesimo sceglie, nel cui interesse
imprenditoriale essi operano e sui quali nessuno meglio dell’intermediario è concretamente in grado di
esercitare efficaci forme di controllo…”.
Invero, un simile principio è quello idoneo a risolvere la vicenda processuale in esame, emergendo dalla
lettura della sentenza impugnata che l’apprezzamento del giudice del merito — confutato, come detto,
inammissibilmente con argomentazioni in fatto esposte nel ricorso – è stato nel senso del pieno ed assoluto
affidamento da parte dei querelanti nella serietà professionale e nelle capacità del family banker, della
unicità – rispetto al passato- della operazione loro sottoposta dall’imputato, relativa a prodotti finanziari
non venduti direttamente dalla Banca, della scarsa dimestichezza rispetto alle comunicazioni bancarie e alle
operazioni finanziarie che, per questo, venivano sintetizzate in “schemi” ad opera del promotore: elementi
tutti che hanno motivatamente indotto il giudice del merito a far emergere una situazione del tutto diversa
da quella della collusione tra le persone offese e l’imputato e comunque diversa anche dalla consapevole e
fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore.
3) La violazione di legge sulla affermata responsabilità della Banca Mediolanum ( artt. 31 TUF, artt.
2049 e 1227 cc).
La affermazione della culpa in eligendo e in vigilando in capo alla Banca Mediolanum è stata
erroneamente fondata su taluni rilievi riguardanti in particolare il comportamento gravemente
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corresponsione al promotore finanziario dell’equivalente pecuniario dei titoli acquistati o prenotati, infatti,

omissivo della signora Principi e del promotore, suo marito, Dragoni- i quali non avrebbero
esercitato i controlli loro spettanti e non avrebbero dato gli awisi necessari ai querelanti- senza che
si sia considerato che tali comportamenti omissivi sono da ascrivere ad un periodo successivo a
quello della consumazione della truffa oltre che della revoca del mandato all’imputato e quindi
devono essere reputati del tutto irrilevanti ai fini che qui interessano.
Anche nella motivazione della sentenza, a pagina 29, vi è il formale riconoscimento che la
responsabilità civile della banca è stata affermata in relazione alla commissione della truffa ad
opera del suo promotore, reato da ritenersi consumato con l’incasso dell’assegno da parte di Deleo.
D’altra parte è agevole osservare che la Banca, per il tramite anche dei coniugi Dragoni, ha posto in
tempestivamente la revoca del mandato all’imputato: una revoca, invece, da questi non tenuta in
alcun conto, tanto da far ragionevolmente presumere, ancora una volta, che essi fossero
consapevoli che l’operazione conclusa con l’imputato era estranea ai rapporti con la Banca.
Nessun altro elemento avrebbe dovuto destare i sospetti dei Dragoni posto che, sia il
comportamento dell’imputato che quello dei querelanti, era stato nel senso di non prospettare
alcuna anomalia di competenza della Banca.
La procedura per la concessione del fido è risultata, anche sulla base delle successive attività
ispettive, del tutto regolare dal punto di vista formale, come del resto riconosciuto pagina 19 della
sentenza.
In secondo luogo, la difesa del responsabile civile segnala che la responsabilità di questo, essendo
di natura solidale come prevista dall’articolo 31 del decreto legislativo n. 58 del 1998, prescinde da
eventuali violazione di obblighi di controllo o di scelta del promotore.
Essa appartiene allo stesso genus cui va riferita la responsabilità sancita dall’articolo 2049 c.c. a
carico dei padroni e committenti per i fatti illeciti imputabili ai domestici ed ai commessi.
Tuttavia anche tal genere di responsabilità non è ineluttabile poiché può affermarsi soltanto sulla
base della comprovata sussistenza di un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che il
promotore deve commettere l’illecito sfruttando il rapporto che lo lega all’intermediario, così
realizzando un danno al cliente, legato perciò da nesso di causalità con la condotta del promotore.
Nel caso di specie, al contrario, tale nesso di occasionalità necessaria non è configurabile mentre
avrebbe dovuto essere riconosciuta la colpa esclusiva dei risparmiatori che escludeva la
responsabilità della Banca.
Infatti non ricorre il requisito dell’essere stata realizzata, la condotta dell’imputato, nell’ambito e
coerentemente alle finalità in vista delle quali l’incarico gli era stato conferito, così come preteso
dalla giurisprudenza di legittimità.
In un’attività, quale è quella di specie, da svolgersi essenzialmente presso il domicilio dei clienti,
non può dirsi che il promotore abbia creato l’affidamento circa il riferimento della operazione
all’attività della Banca, sottoponendo ai querelanti dei moduli intestati a tale istituto, atteso che i
soli moduli sottoposti erano quelli con i quali è stata realizzata l’operazione, in sé ineccepibile e alla
luce del sole, della richiesta di finanziamento: nessun modulo è stato invece fatto sottoscrivere con
riferimento alla successiva e solo virtuale operazione di reinvestimento.
Ancora, la difesa segnala come proprio il convincimento dei querelanti circa la estraneità della
operazione di investimento in titoli di altro cliente, rispetto ai rapporti con la banca, fosse
desumibile dalla circostanza che gli stessi non ritennero sospetto il fatto di non ricevere alcuna
documentazione o comunicazione da parte della banca su tale nuova operazione di investimento in
titoli.
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essere tutte le procedure più prudenti nella tenuta del rapporto con i clienti, comunicando loro

Comunque, evidenzia la difesa, nelle mansioni affidate a un promotore non rientra il proporre affari
tra clienti della Banca.
Una simile conclusione risulta legittimata dalla stessa impostazione dei capi d’imputazione, essendo
stato addebitato all’imputato, al capo C), di avere riscosso somme e fornito consulenze al di fuori
dei limiti del rapporto di agenzia.

Il motivo è infondato. Occorre dare atto, in primo luogo, che la disamina delle condotte dei coniugi Dragoni
è stata condotta, in sentenza, essenzialmente per colorire quello che, ad avviso dei giudici di merito, era un
interesse preciso degli stessi a dimostrare alla Banca l’esatto adempimento dei rispettivi obblighi. Con la
giudizio di motivato dubbio a proposito della relativa attendibilità, specialmente con riferimento alla tesi da
essi sostenuta secondo cui l’operazione condotta dal Deleo sarebbe stata presentata- alla Banca come ai
querelanti- come concernente e coinvolgente una Banca diversa dalla Banca Mediolanurn: posta in essere,
cioè, al di fuori del vincolo della occasionalità necessaria rispetto al rapporto con la Banca oggi citata come
responsabile civile.
Con riferimento, poi, alla denunciata mancanza di adeguata illustrazione, in sentenza, della culpa in
eligendo ed in vigilando della Banca Mediolanum appare decisiva la osservazione formulata dal giudice di
appello, anche con rinvio alle più diffuse argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, secondo
cui , a monte di ogni argomentazione sui fatti, va rilevato che la responsabilità della Banca per il fatto del
proprio promotore finanziario infedele è di natura oggettiva.
Val la pena qui richiamare la giurisprudenza della Cassazione civile secondo cui la società di
intermediazione mobiliare risponde a titolo oggettivo dei danni causati ai risparmiatori dai propri preposti,
sulla base dell’esistenza del solo nesso di occasionalità necessaria tra l’attività del promotore finanziario e
l’illecito, a prescindere da qualsiasi indagine sullo stato soggettivo di dolo o colpa della preponente (Sez. 3,
Sentenza n. 12448 del 19/07/2012 (Rv. 623354).
E ciò in quanto la responsabilità dell’impresa bancaria per i danni causati dall’illecita attività posta in essere
dall’agente in qualità di promotore finanziario, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. — non richiede la sussistenza
di un rapporto di dipendenza lavorativa, ma soltanto che il secondo sia inserito nell’impresa e che il
comportamento illecito sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli (vedi Sez. 1,
Sentenza n. 21729 del 22/10/2010 (Rv. 615475).
Quanto poi ai presunti limiti della illustrazione, in sentenza, del detto vincolo di occasionalità necessaria,
risulta che il provvedimento impugnata sia perfettamente in linea con il costante orientamento della
giurisprudenza di legittimità secondo cui la disposizione dell’art. 5, comma quarto, della legge 2 gennaio
1991, n. 1 ( rifluita, per quanto qui di interesse, nella successiva norma dell’art. 31 TUF), secondo la quale
la società di intermediazione mobiliare è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi nello
svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, anche se tali danni siano conseguenti a loro
responsabilità accertata in sede penale, richiede un rapporto di “necessaria occasionalità” tra incombenze
affidate e fatto del promotore, che è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il comportamento del promotore
rientri nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze di cui è investito.
Peraltro – prosegue lo stesso orientamento – non rileva che il comportamento del promotore abbia
esorbitato dal limite fissato dalla società, essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa
possibile dall’inserimento del promotore stesso nell’attività della società d’intermediazione mobiliare e si
sia realizzata nell’ambito e coerentemente alle finalità in vista delle quali l’incarico è stato conferito, in
maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l’attività posta in essere, per la consumazione
dell’illecito, rientrasse nell’incarico affidato ( Sez. 1, Sentenza n. 6829 del 24/03/2011 (Rv. 616357);
massime precedenti conformi: N. 10580 del 2002 Rv. 555999, N. 17393 del 2009 Rv. 609662).
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conseguenza che le loro testimonianze sono state analizzate, nel provvedimento impugnato, con un

E, a proposito della buona fede dei querelanti, non può dirsi che la sentenza evidenzi carenza di
motivazione o manifesta illogicità, essendo state in essa sottolineate in maniera esaustiva le ragioni per le
quali la Corte d’appello ha ritenuto plausibile che i Grgona hanno creduto che l’operazione di subentro
sarebbe dovuta consistere nell’acquisto da un cliente della stessa Banca Mediolanum e che tale operazione,
seppur nuova, rientrasse nelle competenze del family banker, anche in ragione del fatto che la Banca di
riferimento era sempre la Mediolanum.
I giudici spiegano anche che tale conclusione è avvalorata, in punto di fatto, dal rilievo che i querelanti si
aspettavano di riscontrare l’accredito bancario corrispondente agli interessi maturati e quindi una modalità
quale l’imputato aveva semplicemente opposto l’esistenza di un disguido di natura tecnica, tale da
giustificare — comunque dopo la consumazione del reato- la consegna di un assegno personale brevi manu
a titolo di anticipo.
E, alla luce dei principi giurisprudenziali sopra ricordati, non rileva neppure che il promotore finanziario
abbia esorbitato dal limite fissato dalla società, posto che una simile evenienza, se è sufficiente a far
ritenere integrato il reato sub C), non per questo inficia la configurabilità della responsabilità a carico della
Banca Mediolanum preponente.
4) la totale assenza di motivazione in ordine alla questione posta ai sensi dell’articolo 1227 comma
secondo CC e cioè alla previsione che nessun risarcimento è dovuto per i danni che il creditore
avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Nel caso di specie si sarebbero dovuti valorizzare, a riprova della colpa esclusiva delle persone
offese nella determinazione del danno, il fatto che queste ultime avevano sottoscritto un modulo
per la richiesta di finanziamento senza causale, il fatto che avevano fornito documenti richiesti per
il completamento dell’istruttoria, il fatto che la Palmieri aveva rilasciato all’imputato un assegno in
bianco sullo spazio dedicato al beneficiario e il fatto, infine i querelanti non avevano chiesto la
copia del contratto intestato alla banca, relativo al presunto investimento: adempimenti dovuti in
base all’ordinaria diligenza e, in quanto disattesi, tali da configurare in capo alle parti civili la colpa
esclusiva.

Il motivo è infondato per tutte le ragioni sopra esposte, in particolare dovendo qui essere richiamate
quelle articolate in replica al motivo sub 2).
In virtù del principio di soccombenza i ricorrenti debbono essere condannati a rifondere in solido alle parti
civili e spese sostenute in questo grado di giudizio, liquidate con un dispositivo.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, ciascuno, al pagamento delle spese del procedimento e, in solido,
alla rifusione delle spese del grado in favore delle parti civili, liquidate in euro 3478,50 in favore di Palmieri
Fulvia e di ro 3478,50 in favore di Grgone Vladimiro, oltre accessori di legge.
Roma 30 •
il Presid

bre 2012
il Consigliere est.

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di riscossione dei vantaggi dell’operazione finanziaria, in linea con le premesse dichiarate, rispetto alla

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