Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6183 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6183 Anno 2016
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Arkania Lasha, nato a Sukumi (Georgia) il 12/03/1979

avverso la sentenza del 22/10/2014 della Corte d’Appello di Bologna

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta
Marinelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata, dichiarata inammissibile l’istanza difensiva di
sospensione del procedimento con messa alla prova, veniva confermata la
sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 16/05/2008, con la quale Lasha
Arkania era ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen.,
1

Data Udienza: 10/11/2015

commesso in Reggio Emilia il 13/05/2008, in concorso con altra persona non
identificata, sottraendo dal negozio Mixerì due paia di pantaloni dai quali
venivano asportati i dispositivi antitaccheggio, e dal negozio West altro paio di
pantaloni, con destrezza consistita nel distrarre i commessi con una richiesta di
informazioni.
L’imputato ricorrente deduce:
1.

violazione di legge e vizio motivazionale sulla declaratoria di

inammissibilità dell’istanza di sospensione del procedimento con messa alla

istanza in fase di appello sarebbe erronea, rispetto alla giurisprudenza che
implicitamente ammetterebbe la possibilità di presentare l’istanza in tutti i gradi
di merito escludendola in sede di legittimità, e produttiva di irragionevole
disparità di trattamento fra imputati che si trovino in diverse fasi del
procedimento alla data di entrata in vigore della legge introduttiva dell’istituto; la
sentenza sarebbe altresì contraddittoria laddove, ritenuta non proponibile
l’istanza, ne motivava poi l’inammissibilità in base alla mancata formulazione
della stessa con motivi aggiunti di appello;
2. violazione di legge e vizio motivazionale sulla ritenuta inammissibilità dei
motivi di appello, relativi all’affermazione di responsabilità dell’imputato, in
quanto generici; la lettura di detti motivi ne evidenzierebbe invece la specificità,
altresì dimostrata dal fatto che nella sentenza impugnata il tema proposto veniva
comunque affrontato;
3. violazione di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza delle contestate
aggravanti della violenza sulle cose e della destrezza; difetterebbe la
motivazione sulla prova dell’attribuibilità all’imputato della rottura dei dispositivi
antitaccheggio; tale danneggiamento sarebbe poi incompatibile con l’aggravante
della destrezza, peraltro incongruamente configurata dalla Corte territoriale
nell’essere stata l’attenzione dei commessi distratta ed attivata solo dall’allarme
dei dispositivi, circostanza, quest’ultima, incoerente con la rottura dei dispositivi
stessi;
4. violazione di legge e vizio motivazionale sul diniego delle attenuanti
generiche; la decisione sarebbe stata inadeguatamente motivata nel generico
riferimento alla condotta e nel richiamo alla reiterazione della stessa, già
valutata ai fini della determinazione della pena, omettendo di esaminare la
mancanza di precedenti penali specifici, la condizione di straniero dell’imputato
ed il comportamento processuale dello stesso.

2

prova; l’affermazione della sentenza impugnata sull’improponibilità di detta

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi dedotti sulla declaratoria di inammissibilità dell’istanza

di

sospensione del procedimento con messa alla prova sono infondati.
L’affermazione della sentenza impugnata, per la quale l’istanza in esame
non può essere proposta in sede di appello, è conforme ai principi stabiliti dalla
Corte di Cassazione; essendo l’opposto assunto, formulato dal ricorrente,
fondato su una lettura parziale ed erronea delle decisioni in materia.

giudizio di cassazione, come asserito nel ricorso, ma anche al giudizio di appello,
in base alla considerazione, riferibile ad entrambi gradi indicati, per la quale il
beneficio dell’estinzione del reato, conseguente all’esito positivo della prova,
presuppone lo svolgimento di un iter processuale alternativo alla celebrazione del
giudizio, evidentemente escluso dalla pronuncia della sentenza di primo grado e
dalle relative impugnazioni (Sez. 5, n. 35721 del 09/06/2015, Gasparini, Rv.
264259; Sez. 3, n. 22104 del 14/04/2015, Zheng, Rv. 263666; Sez. 2, n. 18265
del 16/01/2015, Capardoni, Rv. 263792). Anche la lamentata disparità di
trattamento, fra soggetti che si trovino imputati in diversi gradi del processo
all’epoca dell’entrata in vigore della legge istitutiva della procedura della messa
in prova, è esclusa laddove, nel dichiarare manifestamente infondata l’eccezione
di illegittimità costituzionale sollevata sul punto, si è osservato che la questione è
oggetto di una scelta discrezionale e non palesemente irragionevole del
legislatore (Sez. 6, n. 47587 del 22/10/2014, Calamo, Rv. 261255). Ed è
insussistente la dedotta contraddittorietà della decisione impugnata con quanto
osservato nella sentenza in ordine all’intempestività dell’istanza, in una
prospettiva subordinata rispetto a quella delle valutazioni che precedono. Non
senza considerare che il ricorrente non esamina l’ulteriore rilievo della Corte
territoriale in ordine alla mancanza, in allegato all’istanza proposta, del
programma di trattamento previsto dall’art. 464-bis, comma quarto, cod. proc.
pen..

2. I motivi dedotti sulla ritenuta inammissibilità dei motivi di appello relativi
all’affermazione di responsabilità dell’imputato sono infondati.
Le censure proposte con l’appello erano in effetti generiche nella mera
affermazione per la quale la prova a carico sarebbe stata tratta da indizi
discordanti e incompleti e non avrebbe individuato l’Arkania come concorrente
nel reato, e non si confrontavano con la ricostruzione della sentenza di primo
grado; nella quale si osservava, in base alle dichiarazioni testimoniali delle
commesse dei negozi West e Mixerì, che di due uomini entrati nel primo esercizio
3

L’impraticabilità dell’istituto è stata infatti rilevata con riguardo non solo al

uno ad un certo punto si allontanava facendo azionare l’allarme e fuggiva
lasciando un paio di pantaloni sottratti in quello stesso negozio, mentre l’altro,
poi identificato nell’imputato, veniva fermato e trovato in possesso di due paia di
pantaloni, privati dei dispositivi antitaccheggio, sottratti nel negozio Mixerì, la cui
commessa lo riconosceva.

3. I motivi dedotti sulla sussistenza delle contestate aggravanti della
violenza sulle cose e della destrezza sono infondati.

nella sentenza impugnata, quanto a quella della violenza sulla cose per il furto
commesso presso il negozio Mixerì, la cui refurtiva, come si è detto al punto
precedente, era rinvenuta in possesso dell’imputato nel negozio West priva dei
dispositivi antitaccheggio, la cui rimozione integrava l’aggravante; e, quanto a
quella della destrezza, per il furto commesso presso il negozio West, nel quale
l’attenzione della commessa era distratta dall’imputato mentre il complice non
identificato tentava di allontanarsi con i pantaloni poi recuperati. La motivazione
sull’attribuibilità della prima aggravante, del quale il ricorrente lamenta la
mancanza, era pertanto argomentata nell’accertato possesso, in capo all’Arkania,
dei capi sui quali la violenza era stata esercitata mediante l’asportazione delle
placche antitaccheggio; mentre è insussistente la lamentata contraddittorietà nel
riconoscimento delle due aggravanti, riferite in realtà ai due diversi furti
contestati.

4. Sono infine inammissibili i motivi dedotti sul diniego delle attenuanti di cui
all’art. 62-bis doc. pen..
Le censure del ricorrente sono generiche nel lamentare il riferimento della
sentenza impugnata al solo dato della pluralità delle condotte e la mancata
valutazione della condizione di straniero e del comportamento processuale
dell’imputato, laddove i giudici di merito richiamavano altresì il precedente
specifico dell’imputato ed il rinvenimento in possesso dello stesso, oltre ai
pantaloni sottratti presso il primo negozio, di tre abiti femminili recanti ancora il
cartellino del prezzo, del quale l’Arkania non giustificava la provenienza.
Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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Dette aggravanti erano distintamente ravvisate, come chiaramente esposto

Così deciso il 10/11/2015

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