Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6178 del 23/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6178 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FRIGERIO ENRICO N. IL 28/10/1981
avverso la sentenza n. 2714/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
26/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Data Udienza: 23/10/2013

Fatto e diritto

La Corte di appello di Milano confermava nei confronti di FRIGERIO Enrico il
giudizio di responsabilità per il reato di lesioni colpose aggravate dalla
violazione della normativa antinfortunistica, commesso in data 17 marzo
2005, in qualità di amministratore unico della omonima società ed in tale

Sui motivi di appello, diretti ad ottenere l’assoluzione dell’imputato sul rilievo
che la responsabilità era stata fondata esclusivamente sulle dichiarazioni
inattendibili della parte lesa, la Corte di merito ne ha argomentato
l’infondatezza, valorizzandone l’attendibilità intrinseca ed estrinseca,
attraverso una dettagliata ricostruzione delle risultanze processuali.

La causa determinante dell’infortunio era da individuarsi secondo i giudici di
appello, in conformità a quanto riconosciuto dal giudice di primo grado, nella
omessa realizzazione di un parapetto sul perimetro delle aperture del tetto o,
comunque, nella mancata adozione di idonea cintura di sicurezza con fune a
di trattenuta collegata ad un punto solido della struttura. L’istruttoria svolta
aveva accertato che entrambe le misure di prevenzione, pur previste dal
piano operativo di sicurezza, non erano state adottate dal datore di lavoro e
che tale omissione aveva determinato l’infortunio allorchè il lavoratore,
durante l’esecuzione dei lavori di smantellamento di un tetto, a causa del
cedimento della grondaia, precipitava al suolo da un’altezza di otto metri,
riportando gravi lesioni descritte nella imputazione.

Il ricorrente deduce un unico motivo articolato sotto due profili.
Lamenta, innanzitutto, la manifesta illogicità della motivazione con riferimento
alla ritenuta attendibilità della persona offesa nel riferire i fatti del giudizio.
Si duole, in secondo luogo, della contraddittorietà della motivazione con
riferimento al trattamento sanzionatorio, sia

in relazione alla pretesa

eccessività della pena irrogata ( mesi due di reclusione, con il beneficio della
sospensione condizionale della pena) sia in relazione al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di
prevalenza sulla contestata aggravante,

veste datore di lavoro di Molteni Lorenzo.

Il ricorso è manifestamente infondato.
La prima doglianza si risolve in una censura di merito afferente la valutazione
dei mezzi di prova che sfugge al sindacato di legittimità, in quanto la
motivazione in proposito fornita dal giudice di merito appare logica e
congruamente articolata.
La responsabilità del Frigerio, nella qualità di datore di lavoro della persona
offesa, è stata correttamente ricondotta dai giudici di merito all’omessa

mancata adozione di idonea cintura di sicurezza con fune a di trattenuta
collegata ad un punto solido della struttura.

Questa conclusione è coerente con il ruolo del datore di lavoro e con le
responsabilità che da questo al medesimo derivano.

La decisione è in linea, in punto di diritto, con la giurisprudenza costante di
questa Corte secondo la quale è principio non controverso quello secondo cui
il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le
attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei
dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al
minimo i rischi connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendolo
ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente,
al disposto dell’articolo 2087 del codice civile, in forza del quale il datore di
lavoro è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia
della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che,
ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli
viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’articolo 40, comma 2,
c.p. (di recente, tra le tante, Sezione IV, 8 luglio 2009, Fontanella).

La

censura proposta

sulla attendibilità della persona offesa, le cui

dichiarazioni sono state vagliate conformemente dai giudici di merito alla luce
degli elementi emergenti in atti, si limita a proporre una diversa lettura del
compendio probatorio e si sostanzia nel sindacato di merito sulla valutazione
dei mezzi di prova [basato sulla contestazione dell’attendibilità della persona
offesa] che non può qui essere censurato a fronte di una motivazione
analitica, puntuale, che regge ampiamente il vaglio di legittimità.

realizzazione di un parapetto sul perimetro delle aperture del tetto ed alla

Non va del resto dimenticato che, secondo assunto pacifico, la deposizione
della persona offesa, come ogni altra deposizione, è soggetta ad una
valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca del teste. Ma una volta che
il giudice l’abbia motivatamente ritenuta veritiera, essa processualmente
costituisce prova diretta del fatto e non mero indizio, senza che abbisogni
neppure di riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a
dubitare della sua attendibilità. Ne deriva che, nel rispetto delle suddette

può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può essere anche da
sola assunta come fonte di prova della colpevolezza del reo (Sezione VII, 20
gennaio 2010, Nuzzo).

Quanto al secondo profilo di censura, afferente il trattamento sanzionatorio,
va, innanzitutto rilevato, in relazione all’adeguatezza della pena, appare,
invero, assolutamente corretto e insindacabile in sede di legittimità il rilievo
fattuale del giudice di merito in ordine ai connotati di gravità del fatto che
rendevano l’imputato immeritevole di un più mite trattamento sanzionatorio.

Manifestamente infondata ex art. 606, comma 3, c.p.p, è, infine, la censura
sull’asserito diniego del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti
generiche sulla contestata aggravante perché non risulta che la doglianza sia
stata prospettata al giudice dell’appello.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, che si ritiene equo liquidare in C 1.000,00 ( mille), a titolo di sanzione
pecuniaria, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di
colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso nella camera di consiglio del 23 ottobre 2013
Il Consigliere estensore

Il residente

condizioni, anche la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non

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