Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6176 del 14/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6176 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) MONTE VERDE CLAUDIO N. IL 26/10/1954
avverso la sentenza n. 1755/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
26/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Doti ez. kr0 LP ET
che ha concluso per j2., i i-Adt j
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Data Udienza: 14/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Claudio MONTEVERDE è stato ritenuto responsabile, con sentenza della Corte di Appello di
Ancona del 26-5-2011, in parziale riforma di quella del tribunale di Macerata in data 27-102009 (in quanto erano riconosciute attenuanti generiche equivalenti alla recidiva), del reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale, quale amministratore di fatto e socio occulto della MCM
1998 srl, dichiarata fallita il 28-3-2001.
merci acquistate presso terzi.
2. Con il ricorso proposto tramite il difensore avv. G. Giulianelli, Monteverde deduceva con un
primo motivo, inosservanza o erronea applicazione delle norme penali e di altre norme
giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale (legge 160/2007), in
quanto la società MGM non sarebbe più soggetta a fallimento in base alla nuova normativa. Il
ricorrente contesta la decisione di contrario segno di questa corte a sezioni unite, ritenuta in
contrasto con il principio di uguaglianza, secondo cui non si verte in tema di norme di cui si
deve tener conto nell’applicazione della legge penale, in quanto i nuovi contenuti dell’art. 1
legge fall. non incidono su un dato strutturale del reato di bancarotta, ma sulle condizioni di
fatto per la dichiarazione di fallimento.
2.1Con il secondo motivo si deducevano inosservanza o erronea applicazione delle norme
penali e mancanza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui
all’art. 219 legge fall. e in ordine all’applicazione della recidiva. Sotto quest’ultimo profilo il
ricorrente rilevava che la sentenza sulla cui base era stata ritenuta la recidiva era passata in
giudicato successivamente ai fatti oggetto del processo, e dopo il passaggio in giudicato
Monteverde non aveva commesso altri reati, per cui quello già giudicato era estinto e della
relativa sentenza non poteva tenersi conto ai fini del riconoscimento della recidiva.
La richiesta era quindi di annullamento della sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Tanto la questione della violazione di legge in relazione alla riforma del diritto fallimentare, a
tenore della quale la MGM 1998 srl non sarebbe più soggetta a fallimento, quanto quella
relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità e
alla mancata esclusione della recidiva, introducono temi nuovi, non proposti con i motivi di
appello. In questi ultimi si faceva soltanto vago ed aspecifico riferimento ad alcune di esse
laddove, nella parte in cui si censurava l’entità della pena inflitta, si legge ‘a parere di questa
difesa andavano riconosciute in favore dell’imputato Monteverde Claudio, vista anche la
relativa esiguità dell’eventuale danno causato ai creditori dalle distrazioni contestate e la
circostanza che, stante la nuova formulazione dell’art. 1 della legge fallimentare la MGM 1998
2

L’imputazione riguarda la distrazione dei corrispettivi della vendita di beni aziendali e quella di

srl con tutta probabilità non sarebbe fallita, attenuanti prevalenti o comunque equivalenti alla
contestata recidiva’. La questione della recidiva non era stata quindi affatto proposta, quella
dell’attenuante ex art. 219 legge fall. solo adombrata ai fini della concessione di non meglio
precisate attenuanti (la sentenza di secondo grado ha comunque riconosciuto attenuanti
generiche proprio in ragione del ‘disvalore patrimoniale non elevato’ delle condotte delittuose),
quella della non fallibilità in base alla nuova normativa fallimentare prospettata soltanto come
probabile e finalizzata esclusivamente alla mitigazione del trattamento sanzionatorio.

scalfire l’orientamento di questa corte a sezioni unite (Cass. Sez. U, 19601/2008), secondo il
quale il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e
seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento
quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti
soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche
apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12
settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui procedimenti
penali in corso.
Tale approdo giurisprudenziale riposa infatti sui chiari e condivisibili principi espressi dalle
sezioni unite, che di seguito si ricordano, ancorati al rilievo che il presupposto della bancarotta
è il fallimento e non la fallibilità dell’imprenditore o della società.
‘Non può dunque essere condiviso l’orientamento prevalso nella più recente giurisprudenza di
legittimità, a seguito della modifica apportata dagli artt. 2 e 3 c.p.p. alla disciplina delle
questioni pregiudiziali, secondo cui la sentenza dichiarativa di fallimento non ha efficacia di
giudicato nel processo penale e lo status di “imprenditore” (fallibile), in quanto richiamato dalle
fattispecie di bancarotta, andrebbe accertato autonomamente dal giudice penale. A ben
leggere gli artt. 216 e 217 I. fall., appare chiaro che in essi il termine “imprenditore” non rileva
di per sé ma solo in quanto individua il soggetto “dichiarato fallito”: esso compone cioè
un’endiadi che ha lo stesso valore connotativo del più breve riferimento al “fallito” contenuto
nell’art. 220 I. fall., del tutto analogo alla espressione “società dichiarate fallite” usata negli
artt. 223 e 224 I. fall. per il caso dei “reati commessi da persone diverse dal fallito”; e nessun
Indizio logico-giuridico può desumersi da dette fattispecie acché possa a ragione ritenersi che
al giudice penale sia demandato il compito di accertare in capo all’imputato la veste di
“imprenditore” ovvero, per la ipotesi di bancarotta impropria, di sindacare la veste societaria
assunta dalla fallita. D’altro canto, anche se ciò fosse, il giudice penale avrebbe, in tesi, solo il
compito di accertare una generica qualità di “imprenditore”, ma non quella di verificare se, in
base alla legge fallimentare, un “imprenditore”, quale che sia, “possa essere dichiarato fallito”,
posto che le norme penali qui considerate non si esprimono in questi termini, ma ancorano la
operatività della fattispecie a una dichiarazione di fallimento e non a un accertamento del
giudice penale sulla esistenza delle condizioni per le quali quell’imprenditore poteva essere
dichiarato fallito’ (così Cass Sez. U, sopra citata).
3

3.Le osservazioni critiche del ricorrente su quest’ultimo punto sono comunque inidonee a

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso seguono le statuizioni di cui all’art. 616 cod.
proc. pen., determinandosi in C 1000, in ragione della natura delle doglianze, la somma da
corrispondere alla cassa ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Roma, 14.11.2012

Il consigliere estensore

bo

e della somma di C 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

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