Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6159 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6159 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Flores Salvatore, nato il 03/08/1982;

Avverso l’ordinanza n. 213/2014 emessa il 27/11/2014 dalla Corte di
appello di Bologna;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Gabriele
Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata;

Data Udienza: 26/11/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 27/11/2014 la Corte di appello di Bologna,
quale giudice dell’esecuzione, in accoglimento dell’istanza proposta da Salvatore
Flores, ai sensi degli artt. 666 e 673 cod. proc. pen., rideterminava la pena che
era stata irrogata all’esecutato dallo stesso organo giurisdizionale con la
sentenza emessa il 18/07/2013, divenuta irrevocabile il 31/10/2013, alla luce
della sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2014.

dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, imposta dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 32 del 2014, il trattamento sanzionatorio che era stato
originariamente irrogato al Flores veniva rideterminato in anni uno e mesi nove
di reclusione e 9.000,00 euro di multa.

2. Avverso tale ordinanza, il condannato ricorreva per cassazione, a mezzo
del suo difensore, deducendo due motivi di ricorso.
Si deduceva, innanzitutto, che giudice dell’esecuzione, pur avendo
rideterminato la pena sulla base degli attuali parametri edittali, non aveva dato
conto dei criteri dosimetrici seguiti nella quantificazione della sanzione irrogata al
Flores, limitandosi a ricalcolarla alla luce della normativa vigente a seguito della
sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014. Ne conseguiva che il giudice
dell’esecuzione non aveva esplicitato i parametri alla stregua dei quali la pena
originaria era stata rideterminata, dando luogo a un vizio di motivazione del
provvedimento impugnato, riguardante le scelte dosimetriche seguite nel caso di
specie.
Si deduceva, inoltre, che il giudice dell’esecuzione ometteva di pronunciarsi
sulla concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della
non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, che
conseguivano alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio e che erano
stati espressamente richiesti dal Flores.
Per queste ragioni, l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Bologna
doveva essere annullata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
In via preliminare, deve rilevarsi che l’incidente di esecuzione proposto
nell’interesse del Flores pone il problema della disciplina applicabile nelle ipotesi
in cui si procede per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, dopo la
2

Per effetto di tale rideterminazione, conseguente alla riformulazione

sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, con cui veniva dichiarata
l’incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vides del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, in
quanto ritenuti in contrasto con i principi di ragionevolezza, uguaglianza e
proporzionalità della pena.
Com’è noto, questa pronunzia della Corte costituzionale aveva eliminato con
efficacia ex tunc la disciplina che aveva introdotto un trattamento più severo per
lo spaccio delle cosiddette droghe leggere, ripristinando il più mite trattamento
sanzionatorio previgente.

si determinava un contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte, che
imponeva l’intervento delle Sezioni unite (cfr. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014,
Gatto, Rv. 260700).
La questione ermeneutica che era stata demandata alle Sezioni unite,
originariamente, scaturiva dall’interpretazione della sentenza della Corte
costituzionale 5 novembre 2012, n. 251, con cui era stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 69 cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di
prevalenza dell’attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del
1990. Tuttavia, in tale ambito, compulsate sulle conseguenze derivanti dal
suddetto intervento della Corte costituzionale in sede esecutiva, le Sezioni unite
si pronunciavano anche sulle conseguenze della sentenza n. 32 del 2014, nel
frattempo sopravvenuta, affermando i principi di diritto, qui di seguito,
sinteticamente richiamati
Le Sezioni unite, innanzitutto, sulle conseguenze sistematiche prodotte dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, affermavano che, in questo
caso, l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima, sia sotto il profilo
oggettivo, in quanto derivante dall’applicazione di una norma di diritto penale
sostanziale dichiarata incostituzionale dopo il passaggio in giudicato della
sentenza, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non
può essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta
dall’art. 27, comma 3, Cost. Infatti, l’illegittimità della pena irrogata costituisce
un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché viene avvertita
come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già determinata dal
giudice nell’esercizio dei suoi legittimi poteri giurisdizionali, ma imposta da un
legislatore che ha violato la costituzione (cfr. Sez. U., n. 42858 del 29/05/2014,
Gatto, cit.).
Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, qui succintamente
richiamata, le Sezioni unite affermavano il seguente principio di diritto:
«Successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione
d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma
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Sulla portata sistematica e sulle conseguenze applicative di questa pronunzia

incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la
rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del
giudice dell’esecuzione» (cfr. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, cit.).

2. In questa cornice sistematica, passando a considerare il caso in esame,
deve rilevarsi che il giudice dell’esecuzione era tenuto a compiere una verifica
preliminare sulla rilevanza della sentenza emessa dalla Corte di appello di
Bologna il 18/07/2013, all’atto della domanda, sulla libertà personale del Flores,

verificandone l’incidenza sul suo trattamento sanzionatorio.
A tale operazione preliminare, in caso di esito positivo dell’accertamento,
occorreva fare seguire la rideterminazione della pena irrogata al condannato,
tenendo conto della ricostruzione del fatto – così come accertato nella sentenza
delta cui esecutività si controverte – e delle norme applicabili al momento della
decisione sotto il profilo della commisurazione della pena.
Tra queste disposizioni andavano valutate, in relazione alla posizione del
Flores, quelle interessate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del
2014, che ha fatto riespandere – per i fatti illeciti commessi nell’arco temporale
compreso tra il 28/02/2006 e il 06/03/2014 – la previgente disciplina
incriminatrice e il correlato trattamento sanzionatorio.
Ne discende che laddove, come nel caso di specie, il soggetto risultava
essere stato condannato per un fatto rientrante nel predetto intervallo
temporale, doveva ritenersi esportabile il contenuto delle affermazioni delle
Sezioni unite che si sono richiamate, relativamente all’abrogazione del
trattamento sanzionatorio vigente all’epoca della sentenza, in quanto contrario a
norme costituzionali.
Questa operazione comportava una rivalutazione complessiva del fatto di
reato, che non veniva effettuata in termini congrui dal giudice dell’esecuzione,
tenendo conto dell’originaria verifica giurisdizionale, eseguita nei confronti del
Flores dalla Corte di appello di Bologna, in conseguenza dell’assoluta carenza di
motivazione riscontrabile con riferimento ai parametri edittali e ai criteri
dosimetrici alla stregua dei quali la pena originariamente irrogata era stata
rideterminata.
In questa cornice ermeneutica, nel cui ambito non si orientava
correttamente il giudice dell’esecuzione, compiendo una rivalutazione esecutiva
dei fatti delittuosi contestati al Flores espressa in termini meramente assertivi,
occorre ribadire il seguente principio di diritto: «Per effetto delle sentenze della
Corte costituzionale nn. 251 del 2012 e 32 del 2014, il giudice dell’esecuzione,
ove il trattamento sanzionatorio non sia stato ancora interamente eseguito, deve
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per essere in esecuzione la pena derivante da una norma incostituzionale,

rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento
“correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli
avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i
limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da
quelle dichiarate incostituzionali» (cfr. Sez. 1, n. 53019 del 04/12/2014,
Schettino, Rv. 261581).
Nel caso di specie, l’incongruità del vaglio esecutivo della pena originaria,
così come quantificata nei confronti del Flores, emerge dalla motivazione dello

pena originariamente irrogata al Flores senza esplicitare i criteri dosimetrici
concretamente seguiti tenuto conto dei parametri edittali imposti dalla e n
) tenza
della Corte costituzionale n. 32 del 2014 e risultando conseguente” arente la
motivazione resa sul punto dalla Corte di appello di Bologna.
Analoghe considerazioni valgono in relazione all’ulteriore doglianza
difensiva, relativa alla concessione dei benefici della sospensione condizionale
della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario
giudiziale, che erano stati espressamente richiesti dal Flores, sui quali l’ordinanza
impugnata si mostra sprovvista di motivazione.

3.

Per queste ragioni processuali, l’ordinanza impugnata deve essere

annullata con rinvio alla Corte di appello di Bologna per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di
Bologna.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 novembre 2015.

stesso provvedimento, nella quale si procedeva a una rideterminazione della

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